Il posto di Darwin: l’evoluzione in un caleidoscopio

caleidoscopio

Cos’hanno in comune un caleidoscopio e la selezione naturale? Un’affascinante analogia ci aiuta a comprendere alcuni particolari della teoria dell’evoluzione e a riesaminare un concetto di Darwin raramente evidenziato: il posto di ogni specie nell’economia della natura


Ognuno di voi sarà rimasto incantato almeno una volta dal funzionamento dei caleidoscopi. Dal gioco di riflessi tra specchi che riflettono l’un l’altro frammenti di vetro posti all’interno del cilindro, emergono affascinanti forme. Nemmeno il tempo per l’occhio di mettere a fuoco quelle configurazioni, che la nostra mano curiosa di novità ruota la parte mobile del cilindro provocando una trasformazione di tutte le parti e la creazione di una nuova immagine. Probabilmente vi sarà capitato anche di provare a ruotare all’indietro il cilindro nella speranza di ritrovare l’immagine precedente, ma purtroppo l’effetto è irreversibile. Poco male, perché le nuove forme sono altrettanto ammalianti.

In natura succede qualcosa di molto simile. Forse non in modo così drastico, ma le specie che condividono e costituiscono un ambiente – come i frammenti all’interno del caleidoscopio – tendono a coevolversi e ad adattarsi reciprocamente.  

Darwin aveva ben chiara l’idea. Alcuni dei suoi passaggi più suggestivi evocano proprio questo tipo di processi: “come si sono perfezionati tutti i meravigliosi adattamenti di una parte dell’organismo a un’altra, e alle condizioni di vita, e i rapporti di un organismo vivente con un altro? Il picchio e il vischio ci offrono gli esempi più chiari di questi mirabili coadattamenti” (p. 137).

Picchio e vischio, formiche e afidi, api e piante da fiori, barriere coralline: sono tutti casi di funzionalità reciproca diretta tra specie. Ma limitare il discorso sulla co-evoluzione al rapporto simbiotico tra coppie di specie sarebbe come aprire il vaso di Pandora per vedere se dentro ci stanno le caramelle.

Nell’ “Origine delle specie” c’è un termine – e il concetto che vuole esprimere – che poche volte viene citato nonostante la grande rilevanza che Darwin gli attribuisce. Stiamo parlando della parola “posto”. Se cercate nell’indice analitico non lo troverete sebbene sia ripetuto circa 30 volte, con qualche differenza tra le varie edizioni in lingua italiana[1] e con l’esclusione dei casi in cui viene utilizzato con altre funzioni grammaticali (in locuzioni come “posto che…” o nella coniugazione del verbo “porre”).

In alcune passaggi, inoltre, Darwin impiega il termine mentre si occupa di problemi di classificazione: “Qual meraviglioso anello intermedio nella catena dei mammiferi è il Typotherium dell’America Meridionale […] che non trova più posto in nessun ordine esistente di mammiferi” (p. 415). Anche questo tipo di uso è stato escluso dal conteggio.

Ecco invece alcuni degli esempi che ci interessano:

“tutti gli esseri viventi tentano di moltiplicarsi a ritmo rapido e di impadronirsi di ogni posto vuoto o parzialmente occupato nell’economia della natura” (p. 194);

 “Poiché le specie che appartengono allo stesso genere hanno generalmente, ma non invariabilmente, abitudini e costituzioni molto simili e presentano sempre somiglianze strutturali, la lotta sarà in genere più aspra tra di loro, quando esse vengano in concorrenza, che tra specie di generi distinti. […] Si può capire, sia pure confusamente, perché la lotta debba essere più accanita tra forme affini che occupano quasi lo stesso posto nell’economia della natura” (p. 150);

 “La selezione naturale agirà sempre secondo la natura dei posti che sono o non sono occupati o sono incompletamente occupati dagli altri esseri viventi; e ciò dipende da rapporti infinitamente complessi. Ma, come regola generale, quanto più i discendenti di una qualsiasi specie possono rendersi differenziati nella struttura, tanti più posti essi saranno in grado di occupare, e tanto più può aumentare la loro progenie modificata” (p. 187);

“le isole oceaniche sono talvolta sprovviste di intere classi di animali, il cui posto viene preso da altre classi; così i rettili nelle isole Galapagos e gli uccelli atteri giganti della Nuova Zelanda prendono o hanno preso di recente il posto dei mammiferi“ (p. 466);

Che insegnamenti possiamo trarre da queste osservazioni? Prima di tutto, ci dicono che Darwin avrà sempre il suo posto nella teoria dell’evoluzione: gli estratti citati si insediano a pieno diritto nei dibattiti più significativi della odierna prospettiva gerarchica (Eldredge, Pievani, et al., 2016).

Per intenderci meglio occorre tornare al nostro caleidoscopio. Possiamo affermare, con alcuni margini di approssimazione, che l’evoluzione degli organismi – come le singole parti dell’immagine che noi mettiamo a fuoco guardando nell’occhiello – dipende:

– dalle condizioni fisiche, l’analogo del materiale di cui sono composti i frammenti e la struttura della camera caleidoscopica che li contiene;
– dalle condizioni climatiche e da eventi catastrofici, la mano che ruota la parte mobile del cilindro o la fortuita e rovinosa caduta del nostro strumento ottico;
– dai vincoli morfologici, la combinazione cromatica dei frammenti e dei loro riflessi;
– dai vincoli di adattamento interni alla nicchia ecologica (ciò che Darwin intende con l’espressione “economia della natura” negli esempi sopra), che equivalgono alla modifica di tutti i frammenti interni al caleidoscopio e alla formazione di nuove e complesse configurazioni strutturali.

Gli uccelli terrestri, ad esempio, si sono evoluti primariamente in aree geografiche in cui per lungo tempo sono stati assenti mammiferi o altre forme meglio adatte alla vita a terra, e si sono estinti proprio in seguito all’insediamento di specie meglio attrezzate per gli stessi compiti, le quali hanno generato ulteriori cambiamenti negli eco-sistemi locali (Diamond 1991, 1997). Ciò accade perché, se gli adattamenti funzionali di più specie o di varietà affini si sovrappongono, questo non implicherà necessariamente un conflitto diretto tra le specie competitrici, ma renderà di certo inevitabile una forte competizione indiretta per l’accesso alle medesime risorse (cibo, acqua, ripari, abilità di difesa dalle specie predatrici). È questo il motivo per cui Darwin segnala che la selezione naturale premia la differenziazione tra le specie (1859). Ognuna di esse sopravvivrà più facilmente se i suoi interessi non collideranno con quelli delle altre e, ancora di più, se i suoi adattamenti contribuiranno anche in minima parte all’omeostasi della nicchia ecologica di appartenenza.

L’analogia con il caleidoscopio è imperfetta nella misura in cui non riesce ad evidenziare che la variazione delle condizioni climatiche è essa stessa influenzata dalle componenti biologiche dell’ecosistema (pensate agli effetti della foresta amazzonica sull’intero pianeta). In altri termini, nella realtà del nostro mondo, la mano che ruota il cilindro non è l’agente causale unico e primo, ma è condizionata anch’essa dalle configurazioni che si creano all’interno del caleidoscopio. Il discorso non vale però per le trasformazioni provocate dall’impatto di meteoriti o dai movimenti della crosta terrestre, che invece assomigliano davvero all’inesorabile mano esterna che muove e stravolge il contenuto del cilindro.

Un altro limite dell’analogia è dato dal fatto che il materiale abiotico di cui è costituito il caleidoscopio non va incontro a mutazioni né si riproduce, e quindi non può descrivere in modo esaustivo i processi di mutazione e i vincoli morfologici delle singole parti. Al contempo, però, ci aiuta a registrare l’effetto sistemico delle variazioni (il cambiamento di una parte influenza il cambiamento delle altre) e l’irreversibilità delle configurazioni (una volta avviato il processo è pressoché impossibile tornare alla configurazione precedente).

Darwin aveva profondamente intuito questi aspetti dell’evoluzione, ma non li sviluppò in modo sistematico, lasciando ad altri il compito di farlo. Tra questi, Gregory Bateson, uno dei padri dell’epistemologia sistemica e sottovalutatissimo figlio del più celebre William, ha usato l’espressione “unità di sopravvivenza evolutiva” (1979) per descrivere l’irrimediabile legame funzionale tra le parti di un ambiente. Sulla stessa linea, tra le teorie macroevolutive, gli equilibri punteggiati di Gould e Eldredge (Eldredge & Gould 1972; Gould 2002), la “turnover pulses hypothesis” di Vrba (1985, 1992) e la “sloshing bucket theory” di Eldredge (2001; Pievani 2015) evidenziano l’accelerazione dei movimenti evolutivi di molte specie in determinati momenti della vita sulla Terra.

La prossima volta che guarderete dentro un caleidoscopio avrete un motivo in più per restare incantati e riporlo con cura al proprio posto.


BIBLIOGRAFIA
– Bateson G. (1984), Mente e natura, Adelphi, Milano;
– Darwin C. (1859), L’origine della specie. Bollati Boringhieri, Torino 2018;
– Diamond J. (1991), Il terzo scimpanzé. Ascesa e caduta del primate Homo Sapiens, Bollati Boringhieri, Torino 2006;
– Diamond J. (1997), Armi, acciaio e malattie. Breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni, Bollati Boringhieri, Torino 2006;
– Eldredge N., Gould S.J. (1972), Punctuated Equilibria: An Alternative to Phyletic Gradualism, in: Schopf T.J.M. (eds.) «Models in Paleobiology», Freeman, Cooper and Company, San Francisco, pp. 85-112;
– Eldredge N. (2001), The Nature and Origin of Supraspecific Taxa Revisited: With Special Reference to Trilobita, in: Adrain J.M., Edgecombe G.D. Lieberman B.S. (eds), «Fossils, Philogeny, and Form», Kluwer Academic Publishing, New York, pp. 341-375;
– Eldredge N., Pievani T., Serrelli E., Temkin Ilya (a cura di), Evolutionary Theory: A hierarchical Perspective, University of Chicago Press, Chicago 2016;
– Gould S. J. (2003), La struttura della teoria dell’evoluzione. Codice Edizioni, Torino 2012.
– Pievani T., How to Rethin Evolutionary Theory: A Plurality of Evolutionary Patterns, in: «Evolutionary Biology», vol. XLIII, n. 4, pp. 446-455;
– Vrba E. (1985), Environment and Evolution: Alternative Causes of the Temporal Distribution of Evolutionary Events, in: «South African Jouranl of Science, vol. 81, pp. 229-236»;
– Vrba E. (1992), Mammals as a Key to Evolutionary Theory, in: «Journal of Mammalogy», vol. 73, pp. 1-28.



[1] Le edizioni de “L’origine delle specie” prese in esame sono due
– Unione Tipografico-Editrice, Torino 1875 (disponibile gratuitamente alla pagina web http://darwin-online.org.uk/converted/pdf/1875_OriginItalian_F707.pdf)
– Bollati Boringhieri, Torino 2018, quinta ristampa.

I riferimenti alle pagine nell’articolo sono relative all’edizione Bollati Boringhieri.