Il ritorno degli ultradarwinisti
Uno sforzo italo-giapponese quello che ha portato alla definizione di una nuova visione della teoria dell’evoluzione che ha come unità di selezione il genoma. Giorgio Bernardi, biologo molecolare alla Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli, con il supporto di Tomoko Ohta del National Institute of Genetics di Mishima, pubblicano su PNAS un interessante articolo che potrebbe rinvigorire il dibattito sulle […]
Uno sforzo italo-giapponese quello che ha portato alla definizione di una nuova visione della teoria dell’evoluzione che ha come unità di selezione il genoma. Giorgio Bernardi, biologo molecolare alla Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli, con il supporto di Tomoko Ohta del National Institute of Genetics di Mishima, pubblicano su PNAS un interessante articolo che potrebbe rinvigorire il dibattito sulle unità di selezione.
L’articolo divide la storia dell’idea di mutazione in periodi storici: Darwin (1859) propose l’esistenza cambiamenti deleteri (la maggior parte), neutrali e (in minima parte) vantaggiosi. Con la sintesi moderna (1918-1932) vennero negati i cambiamenti neutrali, ma per contro venne proposta la teoria neutrale dell’evoluzione da parte del genetista giapponese Motoo Kimura (1969-1983) secondo cui la maggior parte dei cambiamenti sarebbero neutrali. Questa divenne poi la teoria quasi-neutrale di Ohta (1972-2002), che prendeva in considerazione l’esistenza di cambiamenti tra neutrali e vantaggiosi e tra neutrali e deleteri. Nella nuova teoria neoselezionista dell’evoluzione viene proposta l’esistenza di cambiamenti critici, responsabili della transizione da mutazioni puntiformi a mutazioni regionali del genoma, implicando il cambiamento di struttura della cromatina e interferendo con la replicazione del DNA.
Se nell’ormai superata teoria neutrale dell’evoluzione la sopravvivenza non era del più adatto bensì del più fortunato (in quanto i cambiamenti di frequenza dei geni sono dovuti a fattori casuali), nella teoria neoselezionista è il genoma stesso (o regioni di questo) a essere sottoposto all’azione della selezione ritornando alla sopravvivenza del più adatto. Un organismo o un gamete potrebbero avere quindi un diverso grado di “fitness genomica” secondo il diverso arrangiamento di alcune regioni della cromatina.
Che vinca il più adatto.
Giorgio Tarditi Spagnoli
Riferimenti:
Giorgio Bernardi, The neoselectionist theory of genome evolution, PNAS vol. 104 no. 20: 8385-8390
L’articolo divide la storia dell’idea di mutazione in periodi storici: Darwin (1859) propose l’esistenza cambiamenti deleteri (la maggior parte), neutrali e (in minima parte) vantaggiosi. Con la sintesi moderna (1918-1932) vennero negati i cambiamenti neutrali, ma per contro venne proposta la teoria neutrale dell’evoluzione da parte del genetista giapponese Motoo Kimura (1969-1983) secondo cui la maggior parte dei cambiamenti sarebbero neutrali. Questa divenne poi la teoria quasi-neutrale di Ohta (1972-2002), che prendeva in considerazione l’esistenza di cambiamenti tra neutrali e vantaggiosi e tra neutrali e deleteri. Nella nuova teoria neoselezionista dell’evoluzione viene proposta l’esistenza di cambiamenti critici, responsabili della transizione da mutazioni puntiformi a mutazioni regionali del genoma, implicando il cambiamento di struttura della cromatina e interferendo con la replicazione del DNA.
Se nell’ormai superata teoria neutrale dell’evoluzione la sopravvivenza non era del più adatto bensì del più fortunato (in quanto i cambiamenti di frequenza dei geni sono dovuti a fattori casuali), nella teoria neoselezionista è il genoma stesso (o regioni di questo) a essere sottoposto all’azione della selezione ritornando alla sopravvivenza del più adatto. Un organismo o un gamete potrebbero avere quindi un diverso grado di “fitness genomica” secondo il diverso arrangiamento di alcune regioni della cromatina.
Che vinca il più adatto.
Giorgio Tarditi Spagnoli
Riferimenti:
Giorgio Bernardi, The neoselectionist theory of genome evolution, PNAS vol. 104 no. 20: 8385-8390