Il senso del panda
La notizia è già stata consumata sulla Rete (Wildlife Extra, Mirror, Telegraph, Daily Mail, La Repubblica), come tutte le notizie che sfruttino un’affermazione controversa fatta da una persona conosciuta. In questo caso, Chris Packham, naturalista inglese, afferma “Ecco una specie che di suo accordo è andata giù in un cul-de-sac evolutivo. Non è una specie forte. Sfortunatamente è grosso e […]
La notizia è già stata consumata sulla Rete (Wildlife Extra, Mirror, Telegraph, Daily Mail, La Repubblica), come tutte le notizie che sfruttino un’affermazione controversa fatta da una persona conosciuta. In questo caso, Chris Packham, naturalista inglese, afferma “Ecco una specie che di suo accordo è andata giù in un cul-de-sac evolutivo. Non è una specie forte. Sfortunatamente è grosso e carino ed è un simbolo del World Wildlife Fund, e noi versiamo milioni di sterline sulla conservazione del panda. Riconosco che dovremmo staccare la spina. Lasciarli andare con un po’ di dignità.” Ed ecco che queste parole scatenano il dibattito, vera priorità dell’ambientalista stesso.
Innanzi tutto è bene precisare che l’affermare o solo suggerire che il panda si sia “volontariamente” specializzato è totalmente gratuito nonché falso. Non viviamo in un mondo lamarckiano perciò, in un ambiente naturale, per quanto gli esseri viventi possano “voler qualcosa”, non piegheranno mai la selezione naturale, proverbialmente cieca, al loro volere. Il panda è adattato al suo habitat, le foreste di bambù della Cina, tanto quanto ogni altro animale è adattato all’habitat dove si è evoluto. Mark Wright, consulente scientifico del WWF ha giustamente affermato che i “Panda si sono adattati a dove vivono. Vivono sulle montagne dove c’è parecchio del bambù che vogliono mangiare. È come dire che la balenottera azzurra è un cul-de-sac evolutivo perché vive nell’oceano.”
Nonostante l’errore grossolano nella logica di Packham e nonostante il chiaro intento pubblicitario, il problema esiste dal momento che non ci sia più un habitat dove poter reintrodurre un animale conservato in cattività, quale è il panda. Si calcola che, attualmente, vi siano solo 1600 panda selvatici e 180 tenuti in cattività. Il loro habitat è minacciato dalla deforestazione, grazie alla schizofrenica politica di conservazione della Cina che da una parte mira a far riprodurre i panda in cattività e dall’altra distrugge il loro habitat. E qui risiede la questione: i soldi che vengono impiegati per la conservazione del panda potrebbero essere impiegati in altre cause per la conservazione, con più speranze di riuscita. Ma è anche vero che, con un po’ di impegno, si potrebbe essere conservare il loro habitat.
L’uomo è una delle poche specie sulla Terra capace di invertire il normale rapporto causa-effetto dell’adattamento all’ambiente, adattando l’ambiente alle sue esigenze, e sicuramente è l’unica che riesca a far ciò su scala planetaria. Per questo motivo la nostra responsabilità nella conservazione dell’ambiente è più grande che per qualunque altra specie. Quanto ci sentiamo in colpa, come umanità, per l’estinzione del panda? Quanto conta che esso sia un animale simbolo per la conservazione? Riusciamo a percepire il valore intrinseco della biodiversità? Sono certamente più le domande che le risposte, ma nel frattempo speriamo che nessuno estenda queste conclusioni a qualunque altra specie dato che sicuro è che ogni specie che sia evoluta nel corso della storia della Terra, prima o poi, si estinguerà.
Dipende solo quanto velocemente ed in che modo, è questo il senso del panda.
Giorgio Tarditi Spagnoli
Innanzi tutto è bene precisare che l’affermare o solo suggerire che il panda si sia “volontariamente” specializzato è totalmente gratuito nonché falso. Non viviamo in un mondo lamarckiano perciò, in un ambiente naturale, per quanto gli esseri viventi possano “voler qualcosa”, non piegheranno mai la selezione naturale, proverbialmente cieca, al loro volere. Il panda è adattato al suo habitat, le foreste di bambù della Cina, tanto quanto ogni altro animale è adattato all’habitat dove si è evoluto. Mark Wright, consulente scientifico del WWF ha giustamente affermato che i “Panda si sono adattati a dove vivono. Vivono sulle montagne dove c’è parecchio del bambù che vogliono mangiare. È come dire che la balenottera azzurra è un cul-de-sac evolutivo perché vive nell’oceano.”
Nonostante l’errore grossolano nella logica di Packham e nonostante il chiaro intento pubblicitario, il problema esiste dal momento che non ci sia più un habitat dove poter reintrodurre un animale conservato in cattività, quale è il panda. Si calcola che, attualmente, vi siano solo 1600 panda selvatici e 180 tenuti in cattività. Il loro habitat è minacciato dalla deforestazione, grazie alla schizofrenica politica di conservazione della Cina che da una parte mira a far riprodurre i panda in cattività e dall’altra distrugge il loro habitat. E qui risiede la questione: i soldi che vengono impiegati per la conservazione del panda potrebbero essere impiegati in altre cause per la conservazione, con più speranze di riuscita. Ma è anche vero che, con un po’ di impegno, si potrebbe essere conservare il loro habitat.
L’uomo è una delle poche specie sulla Terra capace di invertire il normale rapporto causa-effetto dell’adattamento all’ambiente, adattando l’ambiente alle sue esigenze, e sicuramente è l’unica che riesca a far ciò su scala planetaria. Per questo motivo la nostra responsabilità nella conservazione dell’ambiente è più grande che per qualunque altra specie. Quanto ci sentiamo in colpa, come umanità, per l’estinzione del panda? Quanto conta che esso sia un animale simbolo per la conservazione? Riusciamo a percepire il valore intrinseco della biodiversità? Sono certamente più le domande che le risposte, ma nel frattempo speriamo che nessuno estenda queste conclusioni a qualunque altra specie dato che sicuro è che ogni specie che sia evoluta nel corso della storia della Terra, prima o poi, si estinguerà.
Dipende solo quanto velocemente ed in che modo, è questo il senso del panda.
Giorgio Tarditi Spagnoli