Intervista a Karen Baab
Intervista esclusiva a Karen Baab, tra i massimi esperti mondiali di evoluzione umana: si parla di Homo floresiensis
Karen Baab ha conseguito il Ph.D. in Anthropology al City University of New York nel 2007. É Assistant Professor di Anthropology alla Stony Brook University ed è membra dell’Interdepartmental Doctoral Program in Anthropological Sciences in New York dal 2009. Dall’estate 2014 è Assistant Professor of Anatomy alla Midwestern University in Arizona. I suoi interessi di ricerca riguardano l’evoluzione umana, la variazione nei moderni scheletri umani e l’evoluzione dei primati. Molti dei suoi lavori hanno impiegato metodi di morfometria geometrica per quantificare la forma cranica di Homo sapiens, Homo erectus e Homo floresiensis nel Plio-pleistocene. Le sue ricerche più recenti si sono concentrate su Homo floresiensis, l’enigmatica specie di Flores, in Indonesia. Queste ricerche hanno confermato che questo materiale appartiene a una specie distinta con radici che risalgono agli early Homo.
http://www.karenbaab.com/
La gentile professoressa Baab è stata recentemente ospite a Erice per un workshop sull’evoluzione umana, e proprio in questa occasione si è colta l’opportunità di fargli qualche domanda.
PIKAIA: Potrebbe brevemente riassumere qual’è stata la storia della scoperta di Homo floresiensis e quali diverse ipotesi sono state proposte per spiegare questo strano ominide?
KAREN: Inizialmente vi è stata una prima descrizione nel 2004, nella quale Peter Brown e i suoi colleghi hanno suggerito che, nonostante la sovrapposizione temporale con gli uomini moderni, essi erano veramente differenti: erano piccoli, primitivi, avevano un piccolo encefalo e per questo non potevano essere umani moderni; così egli ha suggerito fosse una nuova specie: Homo floresiensis, probabilmente una forma rimpicciolita di Homo erectus, in quanto sono disponibili tracce della presenza di quest’ultima specie nella stessa area. Ma immediatamente altre persone hanno rifiutato questa proposta sostenendo si trattasse di un uomo moderno, magari una piccola popolazione con un piccolo corpo che viveva sull’isola, ed hanno aggiunto che il cranio LB1, il quale rappresenta l’olotipo della specie, sarebbe potuto essere il risultato di una qualche patologia umana. Negli anni seguenti diverse patologie sono state proposte: inizialmente hanno preteso fosse affetto da microcefalia, la quale è non è realmente una malattia, bensì un sintomo di differenti patologie; qualcun altro ha asserito si trattasse di cretinismo (definito anche ipotiroidismo) ed altri hanno suggerito avesse la sindrome di Laron, la quale è un disordine della crescita, infine, recentemente, è stato proposto fosse affetto dalla sindrome di Down. La questione è che se non è patologico potrebbe essere un Homo erectus rimpicciolito, ma alcuni pensano che forse possa risalire a un ramo collaterale ancora più antico nell’albero di discendenza umana, originatosi da una popolazione che casualmente sopravvisse per lungo tempo isolata, le cui radici affondano in qualcosa di ancora più primitivo rispetto a Homo erectus, forse riconducibile a Homo habilis ma questa specie finora è stata ritrovata soltanto in Africa.
P: Recentemente, come lei ha già riferito, è stato pubblicato un articolo dove si sostiene che Homo floresiensis fosse affetto dalla sindrome di Down, questo articolo ha suscitato vari tipi di critiche, ci può dire quali sono i problemi che presenta questa ipotesi?
K: Un primo problema è che noi non conosciamo nessuna patologia che presenti caratteri evolutivi primitivi, è possibile osservare caratteri di specie più antiche che cambiano in specie più recenti ma questo gruppo (floresiensis) ha mantenuto molti caratteri che possiamo considerare primitivi e non conosciamo nessuna singola malattia che possa produrre un’anca dalla forma primitiva, lunghe braccia e gambe corte, non conosciamo nessuna malattia che produca tutti questi effetti assieme. In generale coloro che hanno proposto un’ipotesi che riguardasse una patologia si sono concentrati su una serie di caratteri che sono stati identificati essere in comune tra la malattia supposta e lo scheletro, ma hanno ignorato molto di molti altri aspetti. Questo è un problema importante: circa la sindrome di Down ho fatto notare l’uso di un linguaggio non preciso, per esempio essi dicono: “le persone con la sindrome di Down sono meno alte e talvolta il loro cervello è più piccolo, difatti lo scheletro LB1 è piccolo con un piccolo cervello”. Ma non esiste nessun individuo affetto da questa sindrome che sia così tanto piccolo e che abbia un encefalo delle dimensioni comparabili con quelle di uno scimpanzé, le persone con la sindrome di Down hanno un cervello più piccolo ma non così tanto quanto LB1. Per questo il linguaggio da loro usato non è accurato: essi dicono che è “piccolo”, ma ci sono differenze nell’essere “piccoli”. Questo problema si ripresenta in altre parti per esempio quando si parla di “piedi piatti”: gli individui affetti da sindrome di Down hanno i piedi piatti e problemi con le articolazioni, le quali sono molto mobili e libere essendo il collagene affetto da questa patologia dei cromosomi, così quando essi camminano l’arco naturale nei loro piedi si appiattisce riemergendo successivamente quando rialzano il piede, ciò viene chiamato piede flessibile. Questo si può osservare anche in persone sane, per esempio nelle donne incinte o nelle persone che non possono entrare nell’esercito a causa dei piedi piatti. Ma ciò che si osserva nello scheletro LB1 è qualcosa di totalmente differente: l’architettura delle ossa del piede crea un piede piatto costante, che è eguale a ciò che si può osservare negli scimpanzé o nelle australopitecine, in quanto l’arco è qualcosa che è emerso divenendo bipedi, ma non è emerso immediatamente, difatto gli uomini moderni hanno l’arco e probabilmente anche Homo erectus lo aveva, ma non tutti gli ominidi lo possedevano e ciò non era a causa delle articolazioni estremamente libere. Per questo dire solo che essi avevano piedi piatti maschera il fatto che avevano altre differenti caratteristiche. Per questi motivi penso che gli autori dell’articolo siano stati un poco ingannevoli in alcune delle loro descrizioni e qualcos’altro non è risultato essere abbastanza accurato, per esempio affermano che il cranio non presenta seni nasali, ma ci sono e si possono vedere, di fatto son stati discussi in altri articoli, per questo non capisco perché riciclino queste informazioni scorrette.
P: Se Homo floresienis è una specie indipendente, quale potrebbe essere lo scenario evolutivo più plausibile che possa rendere conto della loro esistenza?
K: Penso vi siano due scenari possibili allo stato attuale delle nostre conoscenze: 1) si hanno prove dell’esistenza di popolazioni di Homo erectus in Giava, giusto un poco più a ovest, quindi è possibile che un piccolo gruppo sia migrato verso est o forse vi erano altri gruppi distribuiti in altre zone di cui non abbiamo rintracciato indizi, in ogni caso qualche piccolo gruppo arrivò a Flores, forse un milione di anni fa, possediamo strumenti litici ritrovati sull’isola che risalgono a quell’età, e durante questo lungo tempo essi rimpicciolirono, forse a causa delle risorse limitate, della mancanza di predatori o della mancanza di specifiche pressioni che costringessero ad avere grandi corpi; 2) la seconda ipotesi riguarda l’idea di una possibile migrazione fuori dall’Africa di una specie precedente Homo erectus, ma al momento non possediamo alcuna evidenza, alcun sito tanto antico, ma poco tempo fa non sapevamo nulla del sito di Dmanisi che si è constatato avere un età di 1.8 milioni di anni (Pikaia ne ha parlato qui), così possiamo pensare che vi sia ancora molto da scoprire là fuori e che forse qualcosa di simile a Homo habilis uscì fuori dall’Africa verso est e rimase isolato, non cambiando molto nel tempo in termini di taglia corporea e grandezza dell’encefalo.
P: possediamo ancora poche informazioni riguardo questo quadro e possiamo certo immaginare che molti altri indizi possano essere scoperti, essendo seppelliti là fuori in attesa di essere riportati alla luce. Quanto potrà essere cruciale per le future ricerche in paleoantropologia, al fine di ricostruire l’albero dell’evoluzione umana, una fertilizzazione incrociata con altre discipline come per esempio paleoclimatologia, paleogenetica, biogeografia?
K: Penso vi siano molte altre fonti di informazione, se potessimo ricavare del DNA antico potremmo chiarire il quadro e definire se si tratta di un uomo moderno o una specie a se stante. Ma in questo caso sorgono problemi limitanti a causa dell’età, certo abbiamo DNA di neanderthaliani che sono anche più antichi, ma nel sud est asiatico si ritrova un clima tropicale, è molto umido e il DNA degrada rapidamente. Ma quello che stiamo estrapolando dai neanderthaliani è un miglioramento eccitante comparato a quello che avevamo solo poco tempo fa, così possiamo pensare che il continuo miglioramento di queste tecniche ci permetterà di estrapolare sempre più dati, forse in 20 anni avremo informazioni sorprendenti che oggi non possiamo immaginare. Poi ci sono altre possibilità, per esempio l’uso dello scanner-sincrotrone sui denti, forse si riuscirà a rintracciare qualche nuova caratteristica informativa della struttura dei denti. Queste tecniche ci hanno permesso di sapere che Homo erectus si sviluppava più velocemente rispetto a Homo sapiens, più similmente agli scimpanzé, e forse si troverà qualche altra evidenza connessa a Homo floresiensis che indicherà il suo essere primitivo e non moderno, sarebbe perfetto trovare un giovane con i denti, ma bisogna andarlo a cercare. Quindi vi sono molte possibilità e più si migliorano questi campi più ne giova la nostra conoscenza. Se si dovesse trovare in qualche sito in Asia un Homo habilis si aprirebbero nuovi scenari evolutivi per Homo floresiensis. Se sapessimo di più riguardo a quanto possano essere facilmente attualizzabili convergenze funzionali potremmo chiarire la parentela con Homo erectus, se sia o meno suo antenato, in quanto ci sono tratti nello scheletro che sono più primitivi di quanto ci si potesse attendere. Ma quanto è semplice “ri-evolvere” tratti così simili? In generale i paleoantropologi non amano l’idea del “ri-evolvere” (tornare indietro), non so nemmeno se sia possibile, forse attraverso qualche processo un certo tratto può emergere nuovamente, potrebbero riemergere tratti caratteristici dei propri antenati, ma non sappiamo assolutamente quanto questo sia possibile.
P: Infine, possiamo dirci quasi sicuri del nanismo della specie H. floresiensis?
K: penso sia altamente probabile, ma se si pensa sia un discendente di Homo habilis il nanismo diverrebbe minimo poiché si trattava di una specie già di per sè di piccole dimensioni, in questo caso non si sarebbe rimpicciolito troppo. Chiacchierando con mio marito riguardo a ciò mi ha chiesto: “bene, e se un’altra specie avesse lasciato l’Africa e successivamente fosse rimpicciolita altrove e solo dopo avesse raggiunto Flores?” OK, tutto è possibile, ma suppongo, dopo aver osservato il cranio, che sia più probabile che possieda questi tratti essendo correlato più con Homo erectus rispetto ad altri, quindi si tratta probabilmente di nanismo insulare.
Olmo Viola
Tutti gli articoli di Pikaia su Homo floresiensis
Tutta la bibliografia originale su Homo floresiensis
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La gentile professoressa Baab è stata recentemente ospite a Erice per un workshop sull’evoluzione umana, e proprio in questa occasione si è colta l’opportunità di fargli qualche domanda.
PIKAIA: Potrebbe brevemente riassumere qual’è stata la storia della scoperta di Homo floresiensis e quali diverse ipotesi sono state proposte per spiegare questo strano ominide?
KAREN: Inizialmente vi è stata una prima descrizione nel 2004, nella quale Peter Brown e i suoi colleghi hanno suggerito che, nonostante la sovrapposizione temporale con gli uomini moderni, essi erano veramente differenti: erano piccoli, primitivi, avevano un piccolo encefalo e per questo non potevano essere umani moderni; così egli ha suggerito fosse una nuova specie: Homo floresiensis, probabilmente una forma rimpicciolita di Homo erectus, in quanto sono disponibili tracce della presenza di quest’ultima specie nella stessa area. Ma immediatamente altre persone hanno rifiutato questa proposta sostenendo si trattasse di un uomo moderno, magari una piccola popolazione con un piccolo corpo che viveva sull’isola, ed hanno aggiunto che il cranio LB1, il quale rappresenta l’olotipo della specie, sarebbe potuto essere il risultato di una qualche patologia umana. Negli anni seguenti diverse patologie sono state proposte: inizialmente hanno preteso fosse affetto da microcefalia, la quale è non è realmente una malattia, bensì un sintomo di differenti patologie; qualcun altro ha asserito si trattasse di cretinismo (definito anche ipotiroidismo) ed altri hanno suggerito avesse la sindrome di Laron, la quale è un disordine della crescita, infine, recentemente, è stato proposto fosse affetto dalla sindrome di Down. La questione è che se non è patologico potrebbe essere un Homo erectus rimpicciolito, ma alcuni pensano che forse possa risalire a un ramo collaterale ancora più antico nell’albero di discendenza umana, originatosi da una popolazione che casualmente sopravvisse per lungo tempo isolata, le cui radici affondano in qualcosa di ancora più primitivo rispetto a Homo erectus, forse riconducibile a Homo habilis ma questa specie finora è stata ritrovata soltanto in Africa.
P: Recentemente, come lei ha già riferito, è stato pubblicato un articolo dove si sostiene che Homo floresiensis fosse affetto dalla sindrome di Down, questo articolo ha suscitato vari tipi di critiche, ci può dire quali sono i problemi che presenta questa ipotesi?
K: Un primo problema è che noi non conosciamo nessuna patologia che presenti caratteri evolutivi primitivi, è possibile osservare caratteri di specie più antiche che cambiano in specie più recenti ma questo gruppo (floresiensis) ha mantenuto molti caratteri che possiamo considerare primitivi e non conosciamo nessuna singola malattia che possa produrre un’anca dalla forma primitiva, lunghe braccia e gambe corte, non conosciamo nessuna malattia che produca tutti questi effetti assieme. In generale coloro che hanno proposto un’ipotesi che riguardasse una patologia si sono concentrati su una serie di caratteri che sono stati identificati essere in comune tra la malattia supposta e lo scheletro, ma hanno ignorato molto di molti altri aspetti. Questo è un problema importante: circa la sindrome di Down ho fatto notare l’uso di un linguaggio non preciso, per esempio essi dicono: “le persone con la sindrome di Down sono meno alte e talvolta il loro cervello è più piccolo, difatti lo scheletro LB1 è piccolo con un piccolo cervello”. Ma non esiste nessun individuo affetto da questa sindrome che sia così tanto piccolo e che abbia un encefalo delle dimensioni comparabili con quelle di uno scimpanzé, le persone con la sindrome di Down hanno un cervello più piccolo ma non così tanto quanto LB1. Per questo il linguaggio da loro usato non è accurato: essi dicono che è “piccolo”, ma ci sono differenze nell’essere “piccoli”. Questo problema si ripresenta in altre parti per esempio quando si parla di “piedi piatti”: gli individui affetti da sindrome di Down hanno i piedi piatti e problemi con le articolazioni, le quali sono molto mobili e libere essendo il collagene affetto da questa patologia dei cromosomi, così quando essi camminano l’arco naturale nei loro piedi si appiattisce riemergendo successivamente quando rialzano il piede, ciò viene chiamato piede flessibile. Questo si può osservare anche in persone sane, per esempio nelle donne incinte o nelle persone che non possono entrare nell’esercito a causa dei piedi piatti. Ma ciò che si osserva nello scheletro LB1 è qualcosa di totalmente differente: l’architettura delle ossa del piede crea un piede piatto costante, che è eguale a ciò che si può osservare negli scimpanzé o nelle australopitecine, in quanto l’arco è qualcosa che è emerso divenendo bipedi, ma non è emerso immediatamente, difatto gli uomini moderni hanno l’arco e probabilmente anche Homo erectus lo aveva, ma non tutti gli ominidi lo possedevano e ciò non era a causa delle articolazioni estremamente libere. Per questo dire solo che essi avevano piedi piatti maschera il fatto che avevano altre differenti caratteristiche. Per questi motivi penso che gli autori dell’articolo siano stati un poco ingannevoli in alcune delle loro descrizioni e qualcos’altro non è risultato essere abbastanza accurato, per esempio affermano che il cranio non presenta seni nasali, ma ci sono e si possono vedere, di fatto son stati discussi in altri articoli, per questo non capisco perché riciclino queste informazioni scorrette.
P: Se Homo floresienis è una specie indipendente, quale potrebbe essere lo scenario evolutivo più plausibile che possa rendere conto della loro esistenza?
K: Penso vi siano due scenari possibili allo stato attuale delle nostre conoscenze: 1) si hanno prove dell’esistenza di popolazioni di Homo erectus in Giava, giusto un poco più a ovest, quindi è possibile che un piccolo gruppo sia migrato verso est o forse vi erano altri gruppi distribuiti in altre zone di cui non abbiamo rintracciato indizi, in ogni caso qualche piccolo gruppo arrivò a Flores, forse un milione di anni fa, possediamo strumenti litici ritrovati sull’isola che risalgono a quell’età, e durante questo lungo tempo essi rimpicciolirono, forse a causa delle risorse limitate, della mancanza di predatori o della mancanza di specifiche pressioni che costringessero ad avere grandi corpi; 2) la seconda ipotesi riguarda l’idea di una possibile migrazione fuori dall’Africa di una specie precedente Homo erectus, ma al momento non possediamo alcuna evidenza, alcun sito tanto antico, ma poco tempo fa non sapevamo nulla del sito di Dmanisi che si è constatato avere un età di 1.8 milioni di anni (Pikaia ne ha parlato qui), così possiamo pensare che vi sia ancora molto da scoprire là fuori e che forse qualcosa di simile a Homo habilis uscì fuori dall’Africa verso est e rimase isolato, non cambiando molto nel tempo in termini di taglia corporea e grandezza dell’encefalo.
P: possediamo ancora poche informazioni riguardo questo quadro e possiamo certo immaginare che molti altri indizi possano essere scoperti, essendo seppelliti là fuori in attesa di essere riportati alla luce. Quanto potrà essere cruciale per le future ricerche in paleoantropologia, al fine di ricostruire l’albero dell’evoluzione umana, una fertilizzazione incrociata con altre discipline come per esempio paleoclimatologia, paleogenetica, biogeografia?
K: Penso vi siano molte altre fonti di informazione, se potessimo ricavare del DNA antico potremmo chiarire il quadro e definire se si tratta di un uomo moderno o una specie a se stante. Ma in questo caso sorgono problemi limitanti a causa dell’età, certo abbiamo DNA di neanderthaliani che sono anche più antichi, ma nel sud est asiatico si ritrova un clima tropicale, è molto umido e il DNA degrada rapidamente. Ma quello che stiamo estrapolando dai neanderthaliani è un miglioramento eccitante comparato a quello che avevamo solo poco tempo fa, così possiamo pensare che il continuo miglioramento di queste tecniche ci permetterà di estrapolare sempre più dati, forse in 20 anni avremo informazioni sorprendenti che oggi non possiamo immaginare. Poi ci sono altre possibilità, per esempio l’uso dello scanner-sincrotrone sui denti, forse si riuscirà a rintracciare qualche nuova caratteristica informativa della struttura dei denti. Queste tecniche ci hanno permesso di sapere che Homo erectus si sviluppava più velocemente rispetto a Homo sapiens, più similmente agli scimpanzé, e forse si troverà qualche altra evidenza connessa a Homo floresiensis che indicherà il suo essere primitivo e non moderno, sarebbe perfetto trovare un giovane con i denti, ma bisogna andarlo a cercare. Quindi vi sono molte possibilità e più si migliorano questi campi più ne giova la nostra conoscenza. Se si dovesse trovare in qualche sito in Asia un Homo habilis si aprirebbero nuovi scenari evolutivi per Homo floresiensis. Se sapessimo di più riguardo a quanto possano essere facilmente attualizzabili convergenze funzionali potremmo chiarire la parentela con Homo erectus, se sia o meno suo antenato, in quanto ci sono tratti nello scheletro che sono più primitivi di quanto ci si potesse attendere. Ma quanto è semplice “ri-evolvere” tratti così simili? In generale i paleoantropologi non amano l’idea del “ri-evolvere” (tornare indietro), non so nemmeno se sia possibile, forse attraverso qualche processo un certo tratto può emergere nuovamente, potrebbero riemergere tratti caratteristici dei propri antenati, ma non sappiamo assolutamente quanto questo sia possibile.
P: Infine, possiamo dirci quasi sicuri del nanismo della specie H. floresiensis?
K: penso sia altamente probabile, ma se si pensa sia un discendente di Homo habilis il nanismo diverrebbe minimo poiché si trattava di una specie già di per sè di piccole dimensioni, in questo caso non si sarebbe rimpicciolito troppo. Chiacchierando con mio marito riguardo a ciò mi ha chiesto: “bene, e se un’altra specie avesse lasciato l’Africa e successivamente fosse rimpicciolita altrove e solo dopo avesse raggiunto Flores?” OK, tutto è possibile, ma suppongo, dopo aver osservato il cranio, che sia più probabile che possieda questi tratti essendo correlato più con Homo erectus rispetto ad altri, quindi si tratta probabilmente di nanismo insulare.
Olmo Viola
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