“L’evoluzionista riluttante”: il Darwin quotidiano raccontato da David Quammen

“L’evoluzionista riluttante” è un ritratto intimo e psicologico del padre della teoria dell’evoluzione, colto nelle sue ansie, contraddizioni e straordinarie intuizioni domestiche: il vero viaggio non fu sul Beagle, ma dentro sé stesso
Titolo: L’evoluzionista riluttante. Il ritratto privato di Charles Darwin e la nascita della teoria dell’evoluzione
Autore: David Quammen
Traduttore: Silvia Vivan
Editore: Raffaello Cortina Editore
Collana: Scienza e idee
Anno edizione: 2025
Pagine: 304 p.
“Cervellotico, sistematico e incline all’ansia”. Con queste parole David Quammen descrive Darwin alle prese con due dubbi per lui esistenziali: la soluzione del problema della trasmutazione delle specie e la decisione se convolare a nozze oppure rimanere scapolo. La soluzione per entrambi? Scribacchiare appunti. Ecco allora che un giovane Charles Darwin tratteggia due colonne sul suo taccuino, completando l’una con una serie di punti a favore del matrimonio, l’altra con gli elementi contro.
Lo scienziato britannico, padre della teoria dell’evoluzione, era propenso a cercare le risposte alle grandi domande della vita scomponendole in piccole parti e semplificandole, assegnando all’unione di elementi apparentemente insignificanti e trascurabili il compito di spiegare il tutto. Come in un palazzo che può essere sorretto da una miriade di spilli, Darwin era alla ricerca di una somma complessiva di elementi a favore della tua teoria, piuttosto che di una prova. È secondo questa logica che tanto l’origine dell’uomo quanto il problema generale della creazione delle forme viventi vennero da lui indagate: non chiamando in causa entità soprannaturali o di complessità superiore a ciò che cercavano di spiegare, bensì studiando gli animali più semplici e addirittura le strutture rudimentali di questi ultimi – ovvero degli abbozzi privi di una propria funzione. Sì, perché secondo Darwin la risposta alla domanda sull’origine dell’uomo era subordinata allo studio dei cirripedi – crostacei marini parassiti privi di qualsiasi struttura cerebrale – e delle ali inservibili al volo di certi coleotteri. Per non parlare del problema che maggiormente lo inquietava: “Perché gli uomini hanno i capezzoli?”.
Sacro e profano sono elementi che continuamente si mescolano nei taccuini di Darwin: il tutto emerge come una sorta di “metodo” che lo spinge ad affrontare i grossi problemi partendo dalla radice alla ricerca degli elementi nascosti, procedendo senza tabù e senza pregiudizi, scavando come un archeologo e ricomponendo i pezzi venuti alla luce, seguendo un filone di indagine nel quale gli autentici protagonisti sono i personaggi secondari: tutto ciò che viene dato per scontato o che è stato dimenticato. Oggi qualsiasi biologo evoluzionista sa che, in effetti, è proprio negli abbozzi, nelle strutture vestigiali prive di una funzione, che è iscritta la storia delle linee filetiche.
Il libro di Quammen non è una semplice biografia di Darwin, bensì una sorta di ritratto psicologico che cerca di individuare negli elementi di quotidianità dello scienziato, piuttosto che nell’eccezionalità delle sue esperienze e del ricco ambiente intellettuale col quale fu in contatto, l’emergere dell’intuizione che costituirà un fondamentale giro di boa per la biologia e la filosofia: l’idea della selezione naturale. Per questa ragione le rocambolesche avventure intellettuali descritte nel libro sono tutte successive al viaggio a bordo del Beagle: è tra le mura domestiche, sostiene Quammen, che le sue idee rivoluzionarie hanno preso forma. Dalla lettura del libro possiamo facilmente intuire come il tumulto interiore che ha attraversato l’intera esistenza di Darwin fosse superiore a qualsiasi tempesta il brigantino Beagle abbia incontrato negli oceani; le intuizioni sviluppate nelle stanze di Down House più avventurose della perlustrazione di un’isola sconosciuta. Le Galápagos rimangono dunque sullo sfondo della campagna londinese, e a questa secondarie.
David Quammen tratteggia l’immagine di un intellettuale di campagna appassionato ma insicuro, alle prese con alcuni problemi economici ma soprattutto con ricorrenti disturbi psicosomatici legati all’ansia: un uomo così vicino a ognuno di noi, ma caratterizzato da una incrollabile tenacia e da una straordinaria capacità di affrancarsi dal pensiero comune. Una indipendenza intellettuale così spiccata da spingerlo, in certi momenti, a prendere le distanze dal proprio stesso pensiero e dalle proprie propensioni. Nel libro L’evoluzionista riluttante emerge molto bene come entro la personalità di Darwin coesistessero degli opposti che, proprio come i variegati elementi naturali che andava raccogliendo – le “evidenze” della sua teoria – cercavano disperatamente una sintesi. Una sintesi che però non veniva da lui forzata. Sapeva essere straordinariamente coraggioso, come deve esserlo chi decide di dedicare la propria vita alla soluzione del problema dei problemi, ponendosi in opposizione a una tradizione religiosa e filosofica secolare. Ma poteva essere anche esasperatamente riluttante, per aver trasformato quello che lui definiva “un lungo ragionamento” in un parto travagliato durato decenni, che si è snodato tra continui avanzamenti e passi indietro.
Quammen risulta a tratti severo con Darwin nel forzare l’accento su queste contraddizioni e ritrosie, senza timore di metterlo a nudo, attingendo a piene mani da appunti, lettere e ogni genere di sua corrispondenza. Appare impietoso specialmente nell’ultima parte del libro, quella che tratta delle fasi che precedono la pubblicazione dell’Origine. Ma una tale descrizione, così spogliata di idealizzazioni, contribuisce a rendere Charles Darwin un uomo tra gli uomini, e questo accresce il nostro stupore nel renderci conto di come una mente imperfetta, contraddittoria, riluttante – insomma pienamente umana – possa aver concepito una spiegazione così ampia e comprensiva dei fenomeni naturali viventi che resiste a distanza di più di 160 anni dalla sua formulazione.
L’attitudine perfezionista di Darwin lo portò a squalificare l’Origine nelle pagine del suo stesso libro, definendolo un “riassunto imperfetto”; nei carteggi con il botanico Joseph Hooker parlò addirittura di “un abominevole volume”, in altre occasioni lo definì “il mio dannato libro”. Ma nutriva nei confronti della sua opera anche sentimenti di compassione: in una lettera di ringraziamento inviata all’editore Murray si riferì all’Origine definendola “il mio bambino”. Dopo averla ultimata sotto la pressione delle tempistiche di stampa (il libro perfetto che voleva scrivere avrebbe richiesto cent’anni, e infatti non venne mai completato), Darwin si dichiarò profondamente scontento della forma che aveva preso l’opera destinata a renderlo famoso – troppo breve, troppo superficiale, non sufficientemente precisa, etc. Soprattutto, inesorabilmente incompleta: d’altronde, come dargli torto? La teoria dell’evoluzione è tutt’oggi in fase di studio. In tutto ciò, va detto, Darwin non mise mai in dubbio il valore esplicativo dell’idea centrale, peraltro destinata a invecchiare benissimo: quella della selezione naturale.
Secondo Quammen invece, evidentemente attratto dall’imperfezione di Darwin così come Darwin lo era dalle imperfezioni del mondo vivente, si tratta di “un libro superlativo, precipitosamente redatto, avvincente e di certo imperfetto”. Avvincente perché imperfetto.

Gionata Stancher è un ricercatore e divulgatore scientifico che lavora come curatore della sezione di Zoologia della Fondazione Museo Civico di Rovereto. Laureato in Biologia evoluzionistica e dottore di ricerca in Neurobiologia, ha conseguito una specializzazione in giornalismo scientifico. Ha svolto attività di ricerca e didattica presso le Università di Trento, di Trieste e di Roma. È stato allievo del neuroscienziato Giorgio Vallortigara ed è autore di numerosi articoli su riviste scientifiche internazionali; cura inoltre mostre e organizza eventi pubblici su tematiche relative alle neuroscienze e alle scienze naturali.