La dieta controcorrente di Australopithecus sediba
Un recente studio, che unisce strumenti ingegneristici alla paleontologia, ha permesso di ricostruire le attitudini alimentari di un australopiteco sempre più simile ai primi individui del genere Homo
Australopithecus sediba è un ominide vissuto circa due milioni di anni fa nell’odierno Sud Africa. L’analisi dei resti di due individui di questa specie, ritrovati ottimamente conservati nel 2008 (Pikaia ne ha parlato qui), hanno portato i paleontologi a stabilire si nutrissero di una varietà di prodotti vegetali, inclusi cibi duri, quali cortecce, frutta con guscio o semi (Pikaia ne ha parlato qui).
L’elevato interesse che ha circondato questi ominidi e la loro alimentazione è dovuto al fatto che A. sediba presenta molte più somiglianze con il genere Homo di tutte le altre specie di australopitechi finora note (Pikaia ne ha parlato qui). La conformazione cranica, i connotati del volto, la forma dei fianchi, lunghezza delle gambe e la struttura di mani e caviglie hanno spinto i ricercatori a individuare in A. sediba la specie di Australopithecus più vicina alla linea evolutiva del genere Homo. Di conseguenza, studiare e comprendere le abitudini di questi ominidi potrebbe aiutarci a comprendere come si è arrivati alla comparsa del nostro genere.
Tra le varie ricerche che stanno venendo condotte sui resti di questi nostri lontani parenti, uno studio recentemente pubblicato su Nature Communications va a precisare le prime supposizioni fatte sulla dieta di A. sediba e, al tempo stesso, a fornire interessanti ipotesi sui percorsi evolutivi che hanno coinvolto le diverse specie di Australopithecus. I ricercatori dell’Università del Witwatersrand (Sudafrica) hanno eseguito, su un modello computerizzato di cranio di A. sediba, un test biomeccanico del tutto simile a quelli che vengono condotti su aerei, macchine o altri dispositivi meccanici per testarne la stabilità durante l’uso. Questo test in particolare, mirava a determinare quali regioni del cranio sarebbero state più sollecitate (e in che misura) durante la masticazione di quei cibi duri di cui pare che A. sediba si nutrisse.
Pur non potendo ovviamente escludere che qualche individuo di quella specie (in particolare quelli ritrovati nel 2008) mangiasse cortecce o frutta con il guscio, lo studio mostra chiaramente che la struttura cranica dei A. sediba non era adatta a sostenere la masticazione di cibi duri. Se questi ominidi avessero morso con i denti molari utilizzando tutta la forza dei muscoli masticatori, si sarebbero slogati la mascella.
Poiché è improbabile che l’evoluzione abbia portato a sviluppare delle caratteristiche in controtendenza con le abitudini alimentari, ne consegue che gli alimenti basilari per l’alimentazione di questi individui dovevano essere più teneri e consumabili senza ricorrere a masticazioni troppo intense. Caratteristica, questa, che avvicina ulteriormente gli Australopithecus sediba agli Homo più che alle altre specie dello stesso genere: la maggior parte degli australopitechi (almeno tra quelli ad ora conosciuti e studiati) sfoggiava infatti denti e mascelle adatti alla masticazione di cibi anche molto duri.
Vi sarebbero state quindi popolazioni di australopitechi che hanno sviluppato progressivi adattamenti per incrementare la loro capacità di mordere e masticare con forza e alcune altre che si sono evolute nella direzione opposta. Tra queste ultime, una (o alcune) hanno poi portato alla comparsa del genere Homo ed è lecito supporre che le attitudini e le abitudini alimentari abbiano avuto anch’esse un ruolo in questo passaggio.
Riferimenti:
Mechanical evidence that Australopithecus sediba was limited in its ability to eat hard foods. Nature Communications, 2016; 7: 10596 DOI: 10.1038/ncomms10596
Riferimenti:
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