La volontà dell’evoluzione
Un delirante articolo pubblicato su una rivista scientifica teorizza il ruolo della Forza di volontà nel guidare l’evoluzione
La peer-review è il sistema di verifica dell’attendibilità scientifica che entra in gioco prima della pubblicazione di un risultato. Da tempo si parla di una sua crisi, per via di una serie di problemi legati alla sua affidabilità e al dilagare delle riviste predatorie. Ciò nonostante, rimane comunque il metodo finora più efficace per vagliare i risultati presentati dai gruppi di ricerca.
Per un revisore, individuare difetti o errori di un articolo scientifico può non essere semplice, soprattutto per quanto riguarda la replicabilità di una serie di esperimenti, poiché difficilmente cercherà di ripeterlo nel proprio laboratorio per vedere se ottiene gli stessi risultati. Questo tipo di verifica può avvenire in seguito alla pubblicazione di un articolo, quando altri studiosi lo useranno come punto di partenza per ulteriori ricerche, salvo poi rendersi conto che gli esperimenti non vengono.
Ci sono casi in cui uno studio scientificamente debole, inconsistente o addirittura falso sfugge alle maglie della peer-review e viene pubblicato, anche da riviste autorevoli. Come The Lancet, che nel 1998 ha pubblicato lo studio (poi rivelatosi un falso a scopo di frode) nel quale un gruppo di medici, guidato da Andrew Wakefield, sosteneva di aver trovato una correlazione fra il vaccino MPR e l’autismo.
Ci sono casi anche più evidenti come il CreatorGate, lo scandalo suscitato dalla pubblicazione, su PLoS ONE, di un articolo sulle caratteristiche biomeccaniche della mano nel quale si affermava che tali caratteristiche erano il prodotto dell’intervento del Creatore. Parola che compare nell’abstract, nell’introduzione e nell’ultimo paragrafo delle conclusioni. Difficile quindi non notarla.
E poi ci sono casi estremi, come quello rivelato dall’autore del blog Neuroskeptic, che nel luglio del 2017 ha creato un falso paper sui midi-chlorian – i microrganismi inventati da George Lucas per dare una vaga base scientifica alla Forza in Star Wars – e lo ha inviato a nove riviste appartenenti alla categoria dei predatory journals. Nonostante gli espliciti riferimenti alla saga cinematografica, dal ciclo di Kyloren agli elettroni del Lato Oscuro, l’articolo è stato accettato da ben quattro riviste su nove.
Casi simili purtroppo continuano a verificarsi e riguardano anche la teoria dell’evoluzione. Evolution: A Function of Will Force è il titolo di un articolo pubblicato nel 2017 su Proceedings of the Zoological Society da S. K. Raut, del Laboratorio di Ecologia ed Etologia dell’Università di Calcutta. Già il riferimento nel titolo a una fantomatica “will force” dovrebbe suscitare una certa perplessità e la lettura dell’abstract non migliora la situazione. Si parla infatti di diverse teorie formulate per spiegare l’evoluzione e di come nessuna di esse analizzi le cause iniziali di questo processo, né la ragione per cui esso sia stato mantenuto così a lungo.
L’articolo vero e proprio inizia con la seguente definizione generale di evoluzione, applicabile, secondo l’autore, sia a elementi organici che inorganici: “un processo graduale nel quale qualcosa si trasforma in una forma diversa, in genere più complessa o migliore”. Una definizione agghiacciante dal punto di vista biologico, già solo per quel “migliore” totalmente privo di senso. La fonte è il Free Dictionary ma, curiosamente, l’autore ha preso la prima delle voci riportate, quella più generica, ignorando quella esplicitamente riferita all’evoluzione biologica o a quella astronomica.
L’autore procede riassumendo lo stato attuale delle conoscenze sull’evoluzione con un breve paragrafo di poco più di trecento parole nel quale passa dal Big Bang alla comparsa della vita, chiedendosi come sia possibile che la materia generata dall’evoluzione cosmica abbia prodotto Homo sapiens sapiens (ignorando, a quanto pare, che la nomenclatura corretta è Homo sapiens). E qui viene introdotto il sito di riferimento che, secondo l’autore, descrive tutti i fatti sull’evoluzione da lui citati: il sito AllAboutGOD.
Chiarita la sua posizione sull’argomento, Raut definisce la ‘will force’ su cui è incentrata la sua ipotesi: “Secondo Newton un oggetto accelera solo se c’è una ‘forza risultante’ che agisce su di lui. Ciò significa che un elemento o un oggetto ha una ‘self-force’. Questa è la ‘will force’.”
Il lettore che si senta spiazzato da questa definizione non deve preoccuparsi e può continuare a leggere l’articolo di Raut senza curarsi della scientificità delle affermazioni che incontra.
La will force, che potremmo tradurre con Forza di volontà, è “la causa del viaggio di un elemento o oggetto”, che può interagire con altri elementi o oggetti formandone uno più complesso. La Forza di volontà non è eterna ma ha una sua durata, “proprio come la emivita di una sostanza radioattiva”, che può anche essere di milioni di anni. Dopo una parentesi sull’evoluzione inorganica, Raut arriva finalmente al cuore del problema: dopo aver citato Lamarck, Weismann e Darwin (come se non fosse accaduto null’altro nella biologia evolutiva), spiega che “il make up genetico di un organismo non cambierebbe senza che la sua volontà sia coinvolta.” Il che spiega come mai Weismann non riuscì, tagliando la coda a diversi ratti e facendoli accoppiare per cinque generazioni, a ottenere una progenie di ratti senza coda. Perché “né i maschi né le femmine di ratto volevano rimuovere le code dai loro corpi.” Ovvio.
Si arriva così alla conclusione che i geni sono gli strumenti necessari per regolare la struttura e le funzioni di un organismo ma non le cause dell’evoluzione. La comparsa di nuovi tipi di geni e variazioni strutturali è infatti dovuta alla Forza di volontà teorizzata da Raut. Che non fornisce alcuna prova delle sue affermazioni; niente esperimenti, nessuna osservazione che possa confermare la sua ipotesi. Solo un semplice ragionamento, che porta a una inevitabile conclusione: “È ovvio che gli organismi non sarebbero in grado di sopravvivere senza una volontà e di conseguenza senza la Forza di volontà.”
C’è da sperare in uno scherzo simile a quello orchestrato da Neuroskeptic, ma nessuno finora ha rivendicato tale impresa. Rimane quindi l’ipotesi peggiore: un articolo delirante dal punto di vista scientifico, che non solo cita un sito religioso come fonte di informazioni sull’evoluzione ma manca anche di una qualsiasi caratteristica assimilabile al metodo scientifico, è stato pubblicato su una rivista specialistica.
Proceedings of the Zoological Society fa parte del gruppo Springer ma il solo valore metrico che misuri l’impatto della rivista individuabile sulla sua pagina è l’h5 index usato da Google Scholar, che nel 2016 è stato di 7. Tanto per intenderci, Nature ha 366. Ma il dettaglio più interessante è il nome dell’associate editor: S. K. Raut, del Dipartimento di Zoologia dell’Università di Calcutta. Proprio lui, il teorico della Forza di volontà. Per fortuna, l’oblio sembra aver avvolto questa assurda pubblicazione: in rete non si trovano tracce di conferenze o articoli divulgativi che esaltino la Forza di volontà e la sua rivoluzionaria teorizzazione. Meno male, perché simili casi di pseudoscienza, che riescono a eludere la peer-review, possono avere una discreta risonanza a livello mediatico, generando confusione e fraintendimenti.