L’acqua e la sua vita

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L’interesse di questo testo consiste nel mettere al centro dell’attenzione il modo in cui la società e la comunità scientifica si sono posti di fronte alle acque come oggetto di conoscenza e come fonte di cibo. Questo tema è di estrema attualità sia perché oggi l’itticoltura concorre per il 50% al fabbisogno alimentare mondiale, contribuendo da una parte a contrastare […]

L’interesse di questo testo consiste nel mettere al centro dell’attenzione il modo in cui la società e la comunità scientifica si sono posti di fronte alle acque come oggetto di conoscenza e come fonte di cibo. Questo tema è di estrema attualità sia perché oggi l’itticoltura concorre per il 50% al fabbisogno alimentare mondiale, contribuendo da una parte a contrastare la fame, ma causando dall’altra anche un progressivo inquinamento dovuto all’eutrofizzazione delle acque; ma anche – non va dimenticato – perché e nel 2015 l’Esposizione universale di Milano avrà come tema proprio “il diritto fondamentale dell’umanità ad un’alimentazione sana, sicura, efficiente ed equilibrata.” Ciò che rimarrà dopo l’esposizione sarà un parco di serre della biodiversità ed anche, come il comune ha annunciato, un nuovo grande acquario che sorgerà non lontano da quella distrutto nel 1943.

Il libro, costituito da una raccolta di dieci saggi di diversi autori e curato da Pietro Redondi, è il risultato di una giornata di studio organizzata all’Acquario di Milano sulla nascita delle scienze della vita marina e acquatica, e sui  primi laboratori sorti in Italia in tale campo. I primi cinque saggi che compongono il volume sono dedicati alle esplorazioni dei fondali marini fra la fine del XIX secolo ed i primi del XX secolo ed alle loro raffigurazioni iconografiche. I restanti cinque si concentrano sulle istituzioni della biologia marina in Italia nella seconda metà del XIX secolo.

Al centro dell’attenzione però sta la Stazione di Biologia e Idrobiologia Applicata di Milano, un’istituzione nata nel 1908, due anni dopo l’esposizione internazionale che si tenne nel capoluogo lombardo, nel pieno dell’età giolittiana e diversa da tutte le altre, in quanto, come stazione di idrobiologia, faceva riferimento ad uno dei nuovi saperi che agli albori del XX secolo hanno costituito le premesse della moderna ecologia. Questa “straordinaria” istituzione, che si poneva come istituto di ricerca applicata, attenta ai rapporti fra scienza e attività produttive, ebbe vita molto breve e morì giovanissima, per opera del regime fascista che la chiuse nel 1928, nell’ottica di una politica di centralizzazione che mirava a smantellare tutte le istituzioni che rispondevano in modo autonomo a specifiche esigenze del territorio.

La Stazione di Biologia e idrobiologia applicata di Milano è figlia di un’epoca, quella positivista e delle esposizioni universali appunto (che videro la loro nascita a Londra nel 1851), durante le quali gli acquari avevano lo scopo di ospitare mostre di prodotti dell’industria ittica. Tre furono i motivi per cui venne istituita: per emulare il grande acquario di acqua dolce dell’esposizione universale del 1878 a Parigi; per svolgere ricerche applicate alle specifiche esigenze ittiche del territorio milanese e della città, che stava subendo le negative conseguenze ambientali di un’industrializzazione a tappe forzate; infine per impiantare anche in Lombardia, sulla base di ricerche applicative e miranti ad incrementare il profitto, il settore degli allevamenti ittici con il metodo della stagnicoltura.

La stazione costituiva una sezione distaccata della sezione di zoologia afferente al Museo di Storia Naturale di Milano, con il quale ebbe fin dall’inizio rapporti molto difficili, come dimostra il saggio di Elena Canadelli, in quanto veniva percepito come corpo estraneo, essendo dedicato alla ricerca applicativa e non a quella puramente teorica.

In verità l’ambito di ricerca e di lavoro cui era dedicata la Stazione, cioè l’idrobiologia, era quanto mai importante, dato che si occupava di studiare tutti i fattori dalle cui interrelazioni dipendeva la vita di un ambiente acquatico ed era quindi interessata a prendere in esame tutto il complesso di forme vitali che interagivano in una comunità biotica interdipendente. Si trattava in sostanza dell’inizio di un approccio ecologico alla produzione ittica: se un agricoltore, prima di decidere a quale coltura destinare il proprio terreno, doveva analizzarne le caratteristiche, allo stesso modo un itticoltore doveva conoscere le condizioni di vita offerte dalle acque in cui intendeva allevare i pesci e verificare se questi erano in grado di utilizzarle. La stazione operava in questa importantissima direzione: conoscere per utilizzare al meglio. Sta di fatto che in meno di vent’anni le ricerche sperimentali organizzate dalla stazione avevano generato un’industria esportatrice (migliaia di carpe venivano esportate verso Austria, Germania e Francia) ed un indotto. Ciò non valse ad evitarne la chiusura nel 1928 da parte del regime fascista, che intendeva cancellare le autonomie locali. Le bombe del 1943 daranno il colpo mortale alla Stazione idrobiologica.

Si potrebbe dire che nel 2015 Milano dovrebbe tornare alle origini: si tratta anche oggi di fare dell’acquacoltura una scommessa per vincente per l’alimentazione mondiale.

Massimo Bernardi

Libro recensito:
Pietro Redondi (a cura di), L’acqua e la sua vita. All’alba dell’ecologia: La stazione di biologia e idrobiologia applicata di Milano, Guerini e Associati, Milano 2010.