L’antico legame evolutivo tra arti e pinne

Lepisosteus oculatus

Uno studio dimostra l’omologia tra lo scheletro delle pinne dei pesci e di quelle del tratto distale degli arti dei tetrapodi

Le evidenze che testimoniano la realtà del processo evolutivo sono sempre più numerose, provenienti dai campi di ricerca più diversi, ma quelle che furono presentate da Charles Darwin continuano a essere una valida risposta a coloro che chiedono «prove» dell’evoluzione. Tra i concetti che Darwin utilizzò in L’origine delle specie, argomentando a favore della propria teoria, c’è quello di omologia. L’esempio più noto, diventato classico, è quello costituito dall’arto anteriore dei tetrapodi. Avvicinando lo scheletro dell’arto anteriore di diversi tetrapodi (per esempio, uomo, pipistrello, balena, un uccello e un rettile), si può notare come la struttura scheletrica di base si ripeta nelle diverse specie. Per esempio, ogni osso che compone l’arto anteriore dell’uomo ha un corrispondente in quello del pipistrello, sebbene con forme diverse e differenti dimensioni relative tra le ossa.

La mera esistenza di ricorrenze nell’anatomia delle specie appariva evidente anche ai naturalisti vissuti molto prima di Darwin. La vera questione scientifica riguardava la ricerca di una spiegazione soddisfacente di questo fenomeno. Si ritiene che il primo a introdurre nel lessico scientifico il termine “omologia” sia stato il grande anatomista inglese Richard Owen, che nel 1843, nel glossario di una sua opera, definiva “omologo” «lo stesso organo in animali diversi sotto ogni varietà di forma e di funzione». Egli vedeva nell’omologia il riflesso di un archetipo strutturale, a cui doveva corrispondere un piano corporeo differente in ogni specie. Owen si poneva dunque al di fuori di un quadro evoluzionista, benché egli, forse, non rifiutasse davvero la possibilità di un processo evolutivo. Ma fu solo dopo Darwin che l’omologia divenne una delle prove della discendenza di un gruppo di specie da un antenato comune. La cladistica, più tardi, ha coniato il termine “sinapomorfia” per definire una caratteristica condivisa da due o più specie insieme a un antenato comune.

Con il tempo la ricerca di omologie tra le specie si è spinta molto oltre la morfologia e l’anatomia, arricchendosi delle scoperte nel campo della biologia dello sviluppo e della genomica. Oggi, grazie ai dati molecolari provenienti dall’analisi del DNA e dell’espressione dei geni durante lo sviluppo, è possibile stabilire se un determinato carattere sia davvero omologo, quando dal confronto morfologico e dai fossili non è possibile avere risposte definitive. L’utilità di questo approccio è testimoniata da una ricerca, pubblicata su Proocedings of The National Academy of Sciences, che dimostra come i meccanismi di regolazione di due geni (membri della famiglia di geni Hox) responsabili dello sviluppo delle ossa degli arti, in particolare di quelle del tratto terminale, siano conservati nei pesci e nei tetrapodi. In particolare le ossa che nei vertebrati terrestri formano il polso, la caviglia e le rispettive dita.

La questione riguarda il passaggio dei vertebrati dall’acqua alle terre emerse, che ha aperto la strada alla radiazione evolutiva dei tetrapodi. Nonostante i fossili finora scoperti mostrino la transizione avvenuta dalle ossa delle pinne dei pesci primitivi fino a quelle degli arti dei primi vertebrati terrestri, nelle specie viventi sembra non esserci una omologia evidente tra le ossa del polso e delle caviglie dei vertebrati e lo scheletro delle pinne pettorali dei pesci. Per trovare la risposta a questo problema gli autori hanno concentrato la loro attenzione sulle sequenze di regolazione dell’espressione di alcuni geni che durante l’embriogenesi governano la formazione dei segmenti ossei degli arti e delle pinne. Nei topi la formazione dei segmenti ossei degli arti dipende dai geni HoxD e HoxA e dalle sequenze di regolazione, chiamate “enhancers”, che modulano il tasso di trascrizione di questi geni durante le diverse fasi dello sviluppo.

Qual è, dunque, il livello di conservazione di queste sequenze nei pesci e quale il loro ruolo durante lo sviluppo embrionale dello scheletro delle pinne, rispetto a quanto avviene nei tetrapodi (il topo, in questo caso) ? Per identificare la presenza nel DNA dei pesci di sequenze omologhe a quelle murine, nella regione dei geni HoxD e HoxA, gli autori hanno confrontato il genoma del topo con quello del pesce zebra (Danio rerio, un organismo modello molto utilizzato dai biologi) e con quello di un altro pesce, il luccio maculato (Lepisosteus oculatus). La scelta di L. oculatus si deve alla posizione filogenetica di questa specie all’interno dell’albero evolutivo dei pesci ossei. Il luccio maculato, infatti, appartiene a una linea che si è separata dagli altri pesci ossei prima della duplicazione del genoma che ha interessato questo gruppo di organismi e che può aver portato i discendenti a sviluppare una maggiore diversificazione, anche dei meccanismi di regolazione dell’espressione genica correlati con lo sviluppo embrionale. In questo contesto, quindi, L. oculatus  rappresenta uno stadio ancestrale che potrebbe essere più vicino ai tetrapodi come il topo di quanto siano altri pesci.

L’analisi della diverse sequenze di regolazione nella regione dei geni HoxD e HoxA dimostrava, effettivamente, un livello di conservazione maggiore tra il genoma del topo e quello del luccio maculato rispetto al pesce zebra. Gli autori in seguito hanno analizzato il funzionamento di queste sequenze durante lo sviluppo embrionale. A questo scopo sono stati impiegati topi e pesci zebra transgenici, per evidenziare se le sequenze di regolazione di una specie fossero in grado di regolare lo sviluppo embrionale all’interno di un’altra specie. I risultati più interessati sono arrivati dalle sequenze di regolazione del luccio maculato, in particolare da alcune sequenze attive nelle fasi tardive dello sviluppo di arti e pinne. Gli esperimenti dimostrano che queste sequenze di L. oculatus sono capaci di regolare l’espressione dei geni HoxD e HoxA durante lo sviluppo embrionale del topo secondo uno schema del tutto simile a quello delle sequenze del mammifero. Come scrivono gli autori, questo rivela un livello di conservazione profonda, mai prima descritta, e suggerisce la presenza, nelle pinne dei pesci, di una omologia con gli arti dei mammiferi. Un’omologia che, come i fossili, testimonia ancora oggi la lunga strada percorsa dall’evoluzione, dall’acqua alle terre emerse.

 


Riferimento:
Andrew R. Gehrke, Igor Schneider, Elisa de la Calle-Mustienes, Juan J. Tena, Carlos Gomez-Marin, Mayuri Chandran, Tetsuya Nakamura, Ingo Braasch, John H. Postlethwait, José Luis Gómez-Skarmeta, and Neil H. Shubin. Deep conservation of wrist and digit enhancers in fish. PNAS, December 22, 2014 DOI: 10.1073/pnas.1420208112