Le Americhe colonizzate oltre 20000 anni fa?

Mesolithic Neolithic and North American typology Wellcome M0015101

I ritrovamenti di nuovi reperti e la datazione di alcuni siti nord americani spostano indietro nel tempo le date delle prime migrazioni nel “nuovo mondo”. Ma c’è chi avanza dei dubbi. I risultati sono stati pubblicati da Nature


E’ da tempo che la comunità scientifica discute sulla possibilità di retrodatare la colonizzazione delle Americhe a oltre 20000 anni fa, ben 10000 anni prima di quanto comunemente ipotizzato fino a pochi anni or sono (Pikaia ne ha parlato qui e qui), e oggi due nuovi lavori pubblicati su Nature (qui e qui) avvallano e danno ulteriore sostanza a questa teoria.

Il team di Becerra-Valvidia e Higam, dell’Università di Oxford, UK, ha datato al radiocarbonio i primi insediamenti di 42 località in America settentrionale, stabilendo che le regioni interne dello Yukon, Canada, Alaska e degli Stati Uniti centrali erano ampiamente popolate già prima di 13000 anni fa; mentre gli scavi archeologici condotti nella grotta di Chiquihuite, nel Messico settentrionale, condotti da Ardelean e colleghi, dell’Universidad Autónoma di Zacatecas in Messico, indicano che l’occupazione umana di quelle terre potrebbe essere retrodata ad addirittura 33000 anni fa.

Becerra-Valvidia e Higam hanno rianalizzato i reperti rinvenuti in 42 siti nord americani e della Beringia (oggi definita come una regione della Siberia orientale e dell’Alaska occidentale), costruendo un modello cronometrico dei popolamenti locali in accordo con le informazioni reperibili sulle variabili climatiche note. Stando alle loro analisi, le popolazioni umane dovevano già essere presenti nel America del nord in un periodo compreso tra i 26 e i 19000 anni fa, ma la dispersione maggiore sembra essere avvenuto tra i 15000 e i 13000 anni fa, in corrispondenza con lo sviluppo delle culture di Clovis, della Beringia e del Western Stemmed. Inoltre, i lavori indicano una sovrapposizione temporale tra l’espansione umana nella regione e l’estinzione di 18 taxa di megafauna mammifera.

Per molto tempo si è ritenuto che le popolazioni afferenti alla cultura Clovis (dal nome della località in New Mexico, USA, dove furono rinvenuti i primi utensili riconducibili a queste popolazioni) fossero stati i primi abitanti umani delle Americhe, che avrebbero migrato dal nord del continente fino all’America meridionale, in tempi rapidissimi, a partire da circa 12000 anni or sono. Questo modello è stato comunemente accettato per un lungo periodo, fino a quando le testimonianze di possibili siti pre-Clovis (Pikaia ne ha parlato qui e qui) hanno iniziato a moltiplicarsi.

Resta però da comprendere quale sia stato il percorso seguito, e con quali tempistiche, dalle prime popolazioni americane per diffondersi fino all’America del sud. Tra 26000 e 19000 anni fa, infatti, una coltre di ghiaccio immensa impediva il passaggio a est delle Montagne Rocciose, fino ad oggi ritenuto il più probabile corridoio seguito dai primi nativi americani nelle loro migrazioni. Un’altra ipotesi, fino ad oggi carente di prove archeologiche, suggerisce invece che le prime migrazioni fossero proseguite lungo la costa pacifica, a ovest del continente, in accordo con la possibilità che lungo le coste pacifiche si fossero create delle zone rifugio per la fauna ittica. Coi ritrovamenti di Chiquihuite, Ardelean si spinge oltre e ipotizza la presenza dell’uomo in questa regione ben prima del massimo glaciale dell’ultima glaciazione.

La grotta si trova in una zona montuosa del Messico centro-settentrionale. Qui, i ricercatori hanno trovato una gran quantità di utensili e manufatti attribuibili a popolazioni umane primitive, ma a stupire sono soprattutto le datazioni attribuite a questi reperti: fino a 33000 anni fa. Si tratta di oltre 1900 manufatti in pietra, sepolti fino a 3 metri di profondità, rivelatori di una industria litica che sembrerebbe aver subito piccolissime evoluzioni per un lungo periodo di tempo. Più precisamente, le datazioni al radiocarbonio degli strati rocciosi in cui sono stati rinvenuti i reperti della grotta coprono un arco temporale che va dai 33000 ai 12000 anni fa circa.

La scoperta però non convince tutti e vengono espresse criticità che vanno dalla possibilità che gli oggetti siano precipitati in strati di terreno più antichi, fino alle posizioni di Kurt Rademaker, paleoantropologo della Michigan State University, USA, che interpellato su Nature avanza dubbi circa la natura artificiale dei reperti trovati nella grotta. Restano inoltre i nodi circa l’assenza di siti così antichi in America settentrionale e l’apparente assenza di tracce di queste antiche popolazioni nei discendenti dei primi americani. I sostenitori della antica colonizzazione ritengono che possa trattarsi di popolazioni che non sono sopravvissute abbastanza a lungo da lasciare tracce nei genomi moderni, mentre i siti potrebbero anche essere oggi sommersi a causa dell’innalzamento del livello del mare.

Quali che siano le cause, le ricerche in questo campo sono destinate a intensificarsi nei prossimi anni.


Riferimenti

Ardealean C.F., et al., 2020. Evidence of human occupation in Mexico around the Last Glacial Maximum. Nature 584: 87–92

Becerra-Valdivia, L. & Higham, T. 2020. The timing and effect of the earliest human arrivals in North America. Nature. 584: 93–97

Barras C. 2020. Controversial cave discoveries suggest humans reached Americas much earlier than thought. Nature news. 22/07/2020


Immagine: Mesolithic, Neolithic and North American typology. Wellcome Library, London. Creative Commons Attribution only licence CC BY 4.0, via wikimedia commons