L’evoluzione dell’intelligenza simbolica nella storia del pensiero

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Una breve storia delle ricerche sull’intelligenza simbolica. Gli studi sulla cognizione dei primati e la paleoantropologia stanno cercando di delineare l’evoluzione di questa facoltà in Homo sapiens anatomicamente moderno

Charles Darwin, ne l’Origine dell’uomo e la selezione sessuale (1871), delineò quella che sarebbe stata l’impostazione seguita da tutti i moderni studi sulla cognizione nell’uomo e nelle altre specie: la necessità di un’impostazione storica e filogenetica. Invece di concepire una netta discontinuità tra l’uomo e gli altri animali, rilevò che anche le capacità intellettive dell’uomo, esattamente come le altre facoltà, dovevano derivare da forme di intelligenza precedenti, possedute da animali affini ai primati attualmente esistenti. L’idea era che anche le menti (oggi parleremmo di “processi cognitivi”) sono il risultato di un processo storico-adattativo.
Per quel che riguarda in particolare la presenza dell’intelligenza simbolica negli altri primati, celebri furono, nella prima metà del Novecento, gli studi dello psicologo gestaltista Wolfang Kohler con le scimmie antropomorfe, in particolare con gli scimpanzé. Le sue conclusioni, pubblicate nel suo libro del 1917 “L’intelligenza delle scimmie antropoidi”, furono che gli scimpanzé possiedono un’intelligenza e un’immaginazione pratiche, vincolate all’ambiente e al mondo fisico, non essendo capaci di isolare dalla loro percezione degli oggetti relazioni astratte, come quelle richieste dalle figure geometriche, con la medesima sistematicità propria dell’intelligenza e dell’immaginazione umane. Queste considerazioni portarono filosofi come Ernst Cassirer a sostenere che gli altri animali possiedono sistemi anche molto complessi di segni o segnali, ma non sistemi simbolici, posseduti unicamente dall’uomo, definito come “animal symbolicum” proprio per tale caratteristica specie-specifica. Sfortunatamente i risultati dei lavori pionieristici di Kohler (ma anche di un altro ricercatore come Robert Yerkes) non furono sviluppati durante la metà del secolo, per via del dominio del paradigma teorico comportamentista negli studi sul comportamento animale, che si focalizzava unicamente sul comportamento osservabile e quindi non si interessava dello studio delle facoltà cognitive. Gli studiosi del comportamento animale abbracciarono lentamente negli anni Settanta la rivoluzione cognitiva esplosa nel decennio precedente, e fu allora che si ebbe una svolta nello studio dei primati non-umani. Lo studio della cognizione dei primati si configurò rapidamente come una delle più innovative aree di ricerca all’interno delle scienze cognitive e comportamentali, di vitale importanza per rispondere alla domanda se noi esseri umani possiamo cercare con profitto spiegazioni evolutive dei nostri comportamenti più complessi e insondabili. Esempi paradigmatici furono gli studi di Sue Savage-Rumbaugh e di Duane Rumbaugh sulla capacità di linguaggio simbolico nelle scimmie antropomorfe, inizialmente con gli scimpanzé Sherman e Austin, i quali acquisirono una capacità di maneggiare e ricodificare almeno alcuni simboli semplici, ma soprattutto con il famoso bonobo Kanzi, capace di produrre le facoltà cognitive più avanzate espresse fino a oggi da una specie non umana. Il giovane Kanzi dimostrò infatti una raffinata comprensione dell’inglese parlato e anche la capacità di analizzare alcune costruzioni grammaticali. Tuttavia i progressi di Kanzi, probabilmente dovuti alla precocità del suo apprendimento, furono molto più lenti di quelli di un normale bambino umano, mancando del cosiddetto “generativismo” (la capacità di unire spontaneamente più parole o idee in nuove frasi o prodotti concettuali), caratteristico del linguaggio articolato umano. Questo ha portato studiosi come Ian Tattersall a ritenere discutibile la proposta di considerare le antropomorfe alla stregua di un modello adeguato delle capacità cognitive degli ominini estinti, eccetto forse che per gli stadi più antichi.
Persino per quel che riguarda le specie ominine estinte, vi sono tuttora in corso degli accesi dibattiti in merito a quando emerse per la prima volta l’intelligenza simbolica nei nostri antenati. Tuttavia soltanto per la nostra specie, Homo sapiens anatomicamente moderno, sembra certa la presenza della capacità di pensiero simbolico, come dimostrano le sue sofisticate produzioni artistiche e ornamentali, le sue complesse sepolture dei morti, e in generale la sua ricchezza culturale, testimoniata anche dall’elevata diversificazione degli artefatti in varianti locali. Tattersall definisce ciò che generalmente chiamiamo la “capacità umana” – quella differenza di capacità tra Homo sapiens attuale e i nostri progenitori – nei termini di quelle che in Biologia si chiamano “qualità emergenti”, per mezzo delle quali in sistemi complessi una nuova combinazione di caratteristiche produce casualmente un risultato inatteso, non precedentemente osservabile o prevedibile. E il migliore esempio di tale emergenza è proprio il cervello umano. Ciò che è accaduto nel corso dell’evoluzione è che abbiamo acquisito nuove capacità, non in sostituzione, ma in aggiunta a quelle vecchie. È grazie al linguaggio che la nostra mente ordina i suoi contenuti in categorie astratte: il linguaggio articolato permette infatti  il compimento di certi tipi di associazioni (i riferimenti simbolici) non solo tra parole e oggetti del mondo, ma anche tra parole e altre parole o concetti astratti. Per questo motivo il linguaggio articolato è sinonimo di pensiero simbolico. Il cervello umano è stato quindi “ex-attato” (cooptato funzionalmente) per il linguaggio e il ragionamento simbolico.
Anche per T.W. Deacon nel corso dell’evoluzione umana emerse una fondamentale correlazione tra l’utilizzo del linguaggio articolato e l’aumento di volume del cervello, soprattutto nella regione prefrontale (prefrontalizzazione). Al tempo stesso, si è notata l’esistenza di una corrispondente evoluzione linguistica: come gli organismi, anche le lingue si evolvono, adattandosi per sopravvivere alle richieste, cognitive e comunicative, dei loro ospiti umani. L’uomo moderno, in quanto specie simbolica, è il prodotto di questa “simbiosi evolutiva”, di questa “coevoluzione” tra linguaggio e cervello, tra evoluzione culturale ed evoluzione fisica. 
Davide Russo
Riferimenti:
E. CASSIRER, Saggio sull’uomo, a cura di L. Lugarini, Armando Editore, Roma 1971
C. DARWIN, L’origine dell’uomo e la selezione sessuale, a cura di Giuseppe Montalenti, Newton Compton, Roma 2011.
T. W. DEACON, La specie simbolica. Coevoluzione di linguaggio e cervello, a cura di S. Ferraresi, Giovanni Fioriti Editore, Roma 2001.
I. TATTERSALL, Il cammino dell’uomo. Perché siamo diversi dagli altri animali, a cura di L. Montixi Comoglio, Bollati Boringhieri, Torino 2011.
M. TOMASELLO-J. CALL, Primate Cognition, Oxford Uni. Press, N. Y.-Oxford 1997.