L’evoluzione è tutto

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Se è vero che niente ha senso in biologia se non alla luce dell’evoluzione, è altrettanto vero che l’evoluzione non ha senso se non illumina tutta la biologia. Un team di biologi americani (Ross H. Nehm, Therese M. Poole, Mark E. Lyford, Sally G. Hoskins, Laura Carruth, Brent E. Ewers, Patricia J. S. Colberg), nel loro articolo “Does the Segregation of […]

Se è vero che niente ha senso in biologia se non alla luce dell’evoluzione, è altrettanto vero che l’evoluzione non ha senso se non illumina tutta la biologia.
 
Un team di biologi americani (Ross H. Nehm, Therese M. Poole, Mark E. Lyford, Sally G. Hoskins, Laura Carruth, Brent E. Ewers, Patricia J. S. Colberg), nel loro articolo “Does the Segregation of Evolution in Biology Textbooks and Introductory Courses Reinforce Students’ Faulty Mental Models of Biology and Evolution?“spiegano come la loro esperienza nell’insegnamento dei corsi di introduzione di biologia sia fondamentale nel fornire la percezione di quella rete di connessioni tra tutte le scienze biologiche (ed eventualmente anche oltre queste). I modelli cognitivi degli studenti di biologia sono il punto di partenza per capire cosa non funzioni nell’insegnamento dell’evoluzione e quindi nella percezione della stessa e della biologia.

Gli Autori mostrano tre livelli di integrazione che sono tipici degli studenti fuori dalla scuola superiore: nel peggiore dei casi ogni materia che riguardi la biologia è percepita come slegata; nel secondo modello le varie materie sono percepite come legate le une alle altre, ma l’evoluzione e la diversità dei viventi è percepita come una materia qualunque; nel terzo modello, sicuramente il più accurato tra i modelli cognitivi, promettente base per una futura comprensione delle materie a livello universitario, è quello in cui l’evoluzione e la diversità dei viventi sottende a tutte le materie e ne contemporaneamente ne rappresenta il cardine.

Analizzando tre tra i libri di testo più usati negli stati uniti (Purves et al. del 2003, Campbell e Reece del 2004 e Freeman del 2004), si può vedere come la distribuzione dei termini evoluzionistici (metro scelto per scoprire quanto l’evoluzione compenetri il discorso generale) sia simile nei tre libri (il Campbell e Reece svetta per numero di termini). I termini sono per lo più relegati a quelle unità del libro di testo preposte a spiegare “Evoluzione” e “Diversità”. Sebbene questo possa sembrare ovvio, è proprio questo il punto debole dell’insegnamento e quindi del modello cognitivo associato alla comprensione della teoria dell’evoluzione.

Il limite di una esposizione ordinata e logica, che è intrinseco nell’insegnamento, può generare false idee intorno alla biologia. Infatti essa è una scienza complessa, formata da miriadi di altre scienze, che possono sembrare essere organizzate solo gerarchicamente, ma questa è solo l’apparenza che spesso viene data da come si insegna biologia. In realtà la biologia è un insieme di scienze a rete. I nodi di questa rete sono visibili e stanno insieme se e solo se si tratta della teoria dell’evoluzione.

Una presentazione segregata dell’evoluzionismo trova un “alleato diseducativo” nelle tendenze antievoluzionistiche più o meno celate, di taluni insegnati, a loro volta prodotto di concezioni erronee dell’evoluzione, dettate da ideologie preesistenti. Questa alleanza può produrre negli studenti un rifiuto ingiustificato e aprioristico per l’evoluzione.

Si potrà fare per ragioni di praticità ma non esiste, di fatto, una distinzione tra “biologia evoluzionistica” e “il resto della biologia”.

E, per quanto possa essere comodo, quanto si può rischiare affinché una consuetudine comoda leda un reale insegnamento?

Giorgio Tarditi Spagnoli