L’evoluzione in azione. Una complessa combinazione di fattori ecologici e genetici
Gli straordinari lavori di Peter e Rosemary Grant sull’evoluzione dei fringuelli delle Galápagos hanno fornito un contributo significativo nel chiarire i meccanismi coinvolti nei processi evolutivi. In un recente articolo pubblicato su Science, i Grant presentano i risultati di recenti ricerche integrate in cui conoscenze in campo genetico ed ecologico si sono rivelate molto utili per gettare luce sulle fonti di variazione genetica e su come nuovi fenotipi si originino in risposta a cambiamenti ambientali
Rosemary e Peter Grant, biologi evoluzionisti presso la Princeton University, hanno dedicato ben quattro decenni di studio ai famosi fringuelli delle Galápagos, fornendo un contributo fondamentale alla comprensione dei meccanismi evolutivi. Essi hanno tracciato la storia evolutiva di quattordici specie di fringuelli, coinvolte in una vera e propria radiazione adattativa, mettendo in evidenza come un mix di fattori geografici e genetici, ambientali e comportamentali, climatici e geofisici, abbia dato luogo a eventi ripetuti di speciazione coinvolgendo differenti processi, quali selezione naturale e sessuale, deriva genetica, processi di ibridazione, dinamiche di evoluzione culturale.
Utilizzando una vasta gamma di dati eterogenei, la coppia di scienziati ha potuto registrare in presa diretta gli effetti della selezione naturale mentre agiva ripetutamente sulle popolazioni di fringuelli, spesso costretti a un contesto ecologico di scarsità di risorse e di forte siccità. In tali situazioni molti fringuelli muoiono di fame, e la sopravvivenza è dettata soprattutto dal tipo di cibo disponibile, dalla dimensione e forma dei becchi, dalla presenza o assenza di specie rivali. Una modifica anche leggera dei becchi e delle dimensioni corporee è già un passo importante verso la formazione di una nuova specie e, a tal proposito, i Grant e collaboratori hanno osservato che le differenze nei becchi in diverse specie di fringuelli sono regolate da cinque differenti geni codificanti molecole segnale, e variazioni nella loro regolazione sono collegate a divergenze morfologiche tra specie. Inoltre variazioni delle frequenze alleliche di un particolare fattore di trascrizione (HMGA2) sono associate a una selezione sui becchi.
Il caso dei fringuelli delle Galápagos è straordinario, perché offre la possibilità di documentare da vicino le dinamiche evolutive e speciative, e di comprendere al meglio il particolare intreccio tra componenti genetiche ed ecologiche che tali dinamiche implicano.
In un recentissimo articolo pubblicato su Science[1], i Grant approfondiscono l’argomento mostrando come uno sguardo incrociato sui fattori genetici ed ecologici possa illuminare anche i casi più enigmatici in campo evoluzionistico. “Oggi”, affermano gli autori, “gli scienziati usano la genetica per comprendere come le specie si moltiplicano e le conoscenze ecologiche e comportamentali per comprendere perché esse lo fanno”.
Ad esempio, la colorazione scura della falena delle betulle (Biston betularia) può essere compresa come una forma di mimetismo che sfrutta lo sfondo più scuro delle cortecce impregnate di fuliggine per nascondersi dai predatori. Un recente studio di van’t Hof et al.[2] ha rivelato che tale colorazione è opera di un “gene saltatore”, assegnando agli elementi trasponibili un ruolo ben più importante di quanto non si pensasse precedentemente nel generare variazione tra specie su tratti morfologici significativi dal punto di vista ecologico.
Altri recenti studi, notano i Grant, mostrano invece il ruolo preminente di mutazioni e inversioni per comprendere meglio alcuni rompicapo evolutivi, dalle transizioni asimmetriche di colore delle piante del genere Ipomoea e Penstemon[3], alle tre forme differenti di maschi degli uccelli “combattenti” (Philomacus pugnax), che si esibiscono davanti alle femmine in un’arena di corteggiamento[4], fino alla colorazione chiara del mantello del cosiddetto topo cervo del Nebraska (Peromyscus maniculatus)[5]. In tutti questi casi, i cambiamenti genetici sono stati meglio compresi una volta messi in relazione con il loro significato ecologico.
In generale, chiariscono i Grant, le specie più strettamente imparentate spesso utilizzano percorsi genetici simili nei loro cambiamenti adattativi, mentre quelle più distanti dal punto di vista filogenetico fanno ricorso a percorsi differenti che dipendono dal loro peculiare substrato genetico.
Alla fine dell’ultima era glaciale, ad esempio, diversi gruppi di spinarelli marini (Gasterosteus aculeatus) del Nord America occidentale hanno ripetutamente invaso habitat di acqua dolce, hanno sviluppato isolamento riproduttivo e si sono differenziati dalla specie madre attraverso meccanismi genetici simili tra loro[6].
Un uso ripetuto del medesimo percorso genetico è stato riscontrato anche nell’adattamento di alcuni uccelli che vivono ad altitudini elevate, caratterizzate da bassi livelli di ossigeno. Un recente studio condotto su più di 50 specie di uccelli ha mostrato che l’evoluzione di una nuova funzione proteica in risposta a bassi livelli di ossigeno può verificarsi anche attraverso differenti meccanismi genetici[7]. I medesimi adattamenti fenotipici in due specie differenti possono cioè avere due diversi substrati molecolari dipendenti dalle diverse storie evolutive di ogni specie. Questo indica che le possibili soluzioni adattative in una specie non sono solo dipendenti dai fattori ecologici in gioco, ma anche dalla storia evolutiva pregressa e dai vincoli genetici e di sviluppo accumulati.
Anche in questo caso si osserva un’interazione stretta tra genealogia ed ecologia, un bilanciamento complesso tra vincoli genetici, fattori di sviluppo, e pressioni generate dalle condizioni ecologiche e ambientali.
Alcune differenze genetiche, proseguono i Grant, derivano anche da particolari fenomeni di ibridazione introgressiva, attraverso uno scambio di geni tra specie in conseguenza di reincroci tra ibridi e specie parentali. Tale processo è risultato molto potente per aumentare la possibilità di variazione fenotipica e dunque la capacità di adattamento a un ambiente alterato.
Su Daphne Major (Galápagos), ad esempio, una singola specie di fringuello immigrata sull’isola è risultata responsabile dell’origine di una nuova linea evolutiva, dopo essersi ibridata con una specie autoctona. Tale nuova specie ibrida ha potuto imporsi in seguito a straordinarie alterazioni climatiche[8].
Tra gli esempi citati dai Grant, molto sorprendente è il caso del tarlo asiatico del fusto (Anoplophora glabripennis), un parassita invasivo che colpisce varie specie di alberi e che ha acquisito da funghi e batteri, per trasferimento orizzontale, i geni che gli permettono di digerire le pareti cellulari delle piante[9].
Anche nella storia evolutiva umana si stanno sempre più accumulando evidenze a favore di uno scambio di geni avvenuto per ibridazione tra differenti specie ominine, il quale avrebbe favorito l’adattamento a differenti condizioni climatiche. Gli odierni Tibetani e gli antichi Denisoviani presentano alleli simili a un gene EPAS1, che rende capaci i suoi portatori di fronteggiare condizioni ambientali caratterizzate da bassa ossigenazione ed elevate altitudini. Questa somiglianza è probabilmente dovuta a un antico scambio di geni per ibridazione tra le antiche popolazioni denisoviane e i primi rappresentanti degli umani moderni[10].
L’ibridazione introgressiva si rivela dunque un mezzo potente per generare nuove variazioni, che oltrepassano la gamma di diversità dei fenotipi di entrambe le specie parentali della specie ibrida. Ciò permette ai nuovi individui di colonizzare ambienti inaccessibili alle loro specie di origine, come nel caso delle saline colonizzate dal particolare girasole Helianthus paradoxus[11].
Meno compreso è invece il verificarsi di variazione criptica, un tipo di variazione nascosta e preesistente che fornisce un substrato per la selezione naturale quando l’organismo entra in un ambiente nuovo. Un chiaro e raro esempio è fornito da Astyanax mexicanus, un pesce d’acqua dolce che vive nel Messico nordorientale in acque sotterranee caratterizzate da completa oscurità. Tali pesci, trasferitisi migliaia di anni fa in questo particolare ambiente, vi si sono adattati perdendo la vista e la pigmentazione, diventate inutili e energeticamente costose, sviluppando nel contempo un apparato sensoriale per individuare le prede. Rohner et al[12] hanno spiegato questo adattamento invocando la presenza di variazioni nascoste nelle popolazioni di pesci che vivono in superficie, che normalmente non si esprimono, ma rimangono disponibili e si attivano in determinate situazioni di stress ambientale. L’interruttore che regola e attiva queste variazioni “criptiche” nei pesci messicani è una proteina sensibile ai cambiamenti dell’ambiente esterno (HSP90).
Anche in questo caso, un’integrazione tra conoscenze ecologiche e genetiche risulta fondamentale per meglio comprendere fenomeni evolutivi che altrimenti rimarrebbero oscuri. “Future ricerche genomiche e ecologiche sulle popolazioni naturali”, concludono i Grant, “forniranno una risposta più completa alla questione darwiniana sul perché il mondo è così straordinariamente ricco in numeri, diversità e complessità degli organismi”.
[1] P.R. Grant and B. R. Grant, “Watching speciation in action”, Science, 335, 2017: 910-911.
[2] A.E. van’t Hof et al., “The Industrial melanism mutation in British peppered moths is a transposable element”, Nature 534 (2016): 102-105.
[3] M. D. Rausher, L. F. Delph, “Commentary: When does understanding phenotypic evolution require identification of the underlying genes?”, Evolution 69 (2015): 1655-64.
[4] S. Lamichhaney et al., “Structural genomic changes underlie alternative reproductive strategies in the ruff (Philomachus pugnax)”, Nature Genetics 48 (2016): 84-88.
[5] C. R. Linnen et al., “Adaptive evolution of multiple traits through multiple mutations at a single gene”, Science 339, (2013): 1312-16.
[6] F. C. Jones et al., “The genomic basis of adaptive evolution in threespine sticklebacks”, Nature 484 (2012): 55-61.
[7] C. Natarajan et al., “Predictable convergence in hemoglobin function has unpredictable molecular underpinnings”, Science 354 (2016): 336-339.
[8] Lamichhaney S. et al., “A beak size locus in Darwin’s finches facilitated character displacement during a drought”, Science 352 (2016): 470-474.
[9] D.D. McKenna et al., “Genome of the Asian longhorned beetle (Anoplophora glabripennis) reveals key functional and evolutionary innovations at the beetle–plant interface”, Genome Biology, 17 (2016): 227.
[10] E. Huerta-Sanchez et al., “Altitude adaptation in Tibetans caused by introgression of Denisovan-like DNA”, Nature 512 (2014): 194-7.
[11] L. H. Rieseberg et al., “The genetic architecture necessary for transgressive segregation is common in both natural and domesticated populations”, Philos. Trans. R. Soc. 358 (2003): 1141-47.
[12] N. Rohner et al., “Cryptic variation in morphological evolution”, Science 342 (2013): 1372-5.
Andrea Parravicini è ricercatore presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Milano e i suoi interessi di ricerca spaziano dal pensiero di Darwin al pragmatismo americano, fino a tematiche legate all’evoluzione umana e alla filosofia della biologia contemporanee. In precedenza è stato assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova nell’ambito di un progetto internazionale sulla Teoria Gerarchica dell’Evoluzione. È autore di due monografie e di diversi articoli e capitoli di libri anche in ambito internazionale. È caporedattore di Nóema: Rivista Online di Filosofia, oltre che membro della redazione scientifica di Pikaia.