Lo famo strano: una rassegna degli organi copulatori dei vertebrati (Parte I)
Dai pesci agli uccelli, gli organi copulatori dei vertebrati si presentano in una grande varietà di forme e dimensioni
Non è quindi con l’ottica del voyeur zoofilo che vorrei che fosse letto questo post, ma con quella dell’evoluzionista che riesce ancora a stupirsi della incredibile fantasia della natura. Ho dovuto restringere il campo ai vertebrati per ragioni di semplicità e brevità, ma ciò, beninteso, non significa certo che gli invertebrati siano da meno.
Tra i vertebrati i pesci, bisogna ammetterlo, non sono noti per le loro capacità amatorie, preferendo di solito la riproduzione esterna, dato che hanno l’acqua a fare da mezzo di trasporto per le cellule della riproduzione, i gameti. Il sistema tuttavia è svantaggioso perchè non solo non elimina la difficoltà di cercare e corteggiare un partner, ma richiede anche la dispendiosa produzione di un numero altissimo di uova e spermatozoi. Se non altro però elimina il problema di fondo, che consiste nel convincere una femmina riottosa, poco intelligente e poco collaborativa a stare ferma durante il “rifornimento in volo”, e quindi, con ben poche eccezioni, viene preferito.
Laddove tuttavia le femmine hanno evoluto viviparità, cioè ritengono gli embrioni nel proprio corpo per proteggerli e nutrirli, i maschi hanno dovuto evolvere un pene per non doversi affidare al caso e garantirsi la paternità dei pochi embrioni. Ciò è avvenuto in diversi casi esemplari tra i pesci, in maniera indipendente e adottando la stessa soluzione all’annoso problema: da quale parte del corpo evolvere le tubature per il trasferimento dello sperma? La risposta a quanto pare è sempre la stessa: dalle pinne anali, le stesse da cui derivano le nostre gambe.
Tutti i condroitti, cioè i pesci cartilaginei come squali e razze, hanno un pene anche se non tutti sono vivipari (ma evidentemente lo era l’antenato comune, oppure sto confondendo la causa con l’effetto e l’evoluzione di un pene può portare alla viviparità). Ad essere precisi gli squali non hanno un pene, ma ben due emipeni (in termini tecnici, pterigopodi), per via che le pinne anali sono due e si sono solo modificate, e sono permanentemente rigidi (qui un’immagine). Sul lato interno di ciascun emipene c’è una specie di grondaia e al momento della copula i due emipeni entrano singolarmente o si possono unire facendo combaciare le grondaie e formando un solo organo dotato di un canaletto entro cui scorre lo sperma. Gli emipeni in inglese si chiamano “clasper” (afferratore), ma il nome è scorretto dato che non servono a tener ferma la femmina durante la copula, che in realtà spesso somiglia più ad uno stupro di massa che ad un atto d’amore. Per tener ferma la sventurata femmina i maschi le afferrano le branchie coi denti e molto spesso le lasciano profonde ferite che cicatrizzano vistosamente. Le chimere invece, un gruppo che si è separato molto presto dal resto degli squali e che depone le uova, hanno un terzo clasper retrattile sulla fronte, e forse neanche questo serve davvero a tener ferma la femmina.
Il secondo gruppo di pesci superdotati (o, se non altro, dotati, a differenza degli altri) è quello dei Poeciliidae, che comprende i guppy, i platy e i black molly, pesci d’acqua dolce e calda comunissimi nelle vasche degli acquariofili dilettanti, ma anche le gambusie che si usano nella lotta alle zanzare. Tutti i pecilidi americani sono vivipari (la madre provvede anche nutrimento per l’embrione) e a fecondazione interna, mentre tutti quelli africani sono ovipari e a fecondazione esterna. In questi pesci la pinna anale alla pubertà si modifica: il terzo, quarto e quinto raggio si allungano moltissimo, gli altri raggi si accorciano e le due pinne si uniscono formando un gonopodio, una struttura tubolare che ha sia forma che funzioni di pene ed è in contatto con i vasi deferenti che portano lo sperma dai testicoli. Mi divertivo a osservare i guppy che avevo in acquario, dato che questi pesci sono dei veri e propri maniaci dei giardinetti, gli manca solo l’impermeabile: appena passava una femmina il gonopodio veniva eretto e portato in avanti, o lateralmente, puntando verso la femmina (qui un’immagine). Degli uncini terminali fanno si che l’aggancio regga anche se l’acqua è turbolenta, e lo sperma viene trasferito: basta che la femmina resti ferma accanto al maschio pochi secondi. Come compenso per la velocità, il gonopodio dei pecilidi può essere lungo anche metà della lunghezza totale del corpo del maschio. Anche i pesci delle famiglie Anablepidae, Goodeidae e Cottidae hanno il gonopodio che usano come organo copulatorio, e tutte le volte sembra si sia evoluto indipendentemente: come dire che la necessità crea l’organo. I Poeciilidae africani, piu’ romantici e meno pratici, usano invece il gonopodio come ventaglio, per spingere gli spermi verso la femmina.
Gli anfibi non sono molto diversi dai pesci sotto questo aspetto, e la fertilizzazione esterna è quasi la norma, con al meglio un contatto tra la cloaca del maschio e quella della femmina. Quasi, però. Ci sono infatti due eccezioni singolari: la prima riguarda una famiglia molto primitiva di rane nord-americane che comprende solo due specie (Ascaphus montanus e Ascaphus truei) dette saggiamente ”rane con la coda”, solo che la coda non è una coda (qui un’immagine). Si tratta invece di una estensione della cloaca che viene usata come organo copulatore per la fertilizzazione interna di queste rane: una mossa saggia, visto che vivono in corsi d’acqua molto veloci che porterebbero via le uova. Ne consegue che le rane con la coda femmine non hanno la coda, e che ancora una volta la “coda” si è evoluta del tutto indipendentemente, questa volta da un organo differente, la cloaca, che in queste rane è permanentemente estroflessa.
Il secondo gruppo di anfibi “con la coda” è costituito dalle cecilie. L’organo copulatorio del maschio in questo caso si chiama phallodeum ed e’ costituito dalla parte terminale della cloaca che viene estroflessa e poi reintroflessa alla fine della copula grazie a muscoli specializzati (qui un’immagine). La forma del phallodeum cambia da specie a specie, in alcune cecilie africane e’ addirittura spinoso, mentre la forma della cloaca femminile varia poco tra le specie. La copula nelle cecilie dura anche diverse ore, quindi i muscoli che evertono e tengono eretto il phallodeum devono essere possenti, ed infatti sono coinvolti anche i muscoli della parete del corpo. E’ presente anche una ghiandola (Mülleriana) il cui secreto crea il medium adatto per gli spermatozoi, un primitivo tentativo di prostata, se vogliamo, laddove negli squali lo sperma viene semplicemente mescolato ad acqua di mare. Diciamo che rispetto alle salamandre, che fanno sesso per corrispondenza dato che il maschio passa un pacchetto con gli spermi alla femmina, le cecilie sono da Kamasutra. E ancora una volta, molte cecilie sono vivipare o ovovivipare.
Anche tra gli uccelli gli organi copulatori non sono tenuti in particolare riguardo, dato che la maggior parte si limita al breve contatto tra le due cloache, detto romanticamente “bacio cloacale”. Esistono comunque eccezioni molto interessanti anche in questo caso: gli uccelli con un pene ammontano a circa il 3% di tutte le specie. Una spiegazione comune che viene data per la preferenza del bacio cloacale è che in questo modo le femmine possono evitare meglio accoppiamenti forzati e controllare con più facilità quale spermatozoo raggiungerà l’uovo. Io aggiungerei che nessun uccello è viviparo o ovoviviparo, e ancora una volte i due eventi (oviparità e assenza del pene) sembrano collegati, sebbene gli uccelli abbiano cure parentali estese.
Un gruppo di uccelli interessante per la presenza di un vero e proprio pene sono i ratiti, ovvero gli struzzi, gli emù, i nandù, i casuari, i kiwi e i tinamou, più gli estinti uccello elefante e moa. L’organo copulatore anche in questo caso deriva da un’estroflessione della cloaca (qui un’immagine), ma a questo punto dobbiamo fare un passo indietro, visto che sto usando un po’ troppo questo termine: cos’è la cloaca? E’ l’apertura unica di quasi tutti i vertebrati, dove sfociano sia l’apparato riproduttore che quello escretore che quello digerente. Insomma, serve sia al passaggio di urina e feci che di spermatozoi e uova. Nome molto appropriato, direi. Noi mammiferi abbiamo invece un’uscita per ciascun apparato.
Il fallo è un tubo di tessuto contenuto all’interno della cloaca, di colore rosso vivo per via dei vasi sanguigni. Al momento della copula si gonfia non per il sangue come accade a noi ma per la linfa, e si rovescia fuoriuscendo. Immaginate il dito di un guanto rigirato all’interno che viene spinto verso l’esterno nella sua posizione normale: la superficie a contatto con la femmina è quella che a riposo è all’interno. Su questa superficie si trova un canaletto aperto, in cui scorre lo sperma proveniente dai tubuli seminiferi che sboccano nella cloaca. Per la prima volta in questo post, finalmente, anche le femmine hanno un organo comparabile, che viene per l’appunto detto clitoride ed è molto simile come struttura, solo più piccolo. In alcuni casi, come nel casuario il clitoride è così grande che la femmina viene considerata androgina o ermafrodita dalle tribù locali.
L’altro grande gruppo di uccelli superdotati sono gli anatidi (anatre, oche e cigni), che necessitano di un fallo per via delle abitudini sessuali spesso promiscue: in diverse specie, all’estremità del pene a forma di cavatappi c’è uno “spazzolino” che serve a pulire le vie genitali femminili dallo sperma dei concorrenti, e aumenta le probabilità di paternità; una specie di scovolino sessuale, insomma, che nelle anatre è in media tra i 5 e i 9 cm, nelle oche è più ridotto. Ed è proprio tra le anatre che si ritrova il John Holmes dei vertebrati, il gobbo rugginoso argentino (Oxyura vittata), di cui è stato rinvenuto un esemplare con un fallo di 42.5 cm, più lungo del corpo dell’animale, e per giunta ricoperto di spine lungo tutta la sua lunghezza (nell’immagine in alto). Le vie sessuali femminili, corrispondentemente, sono contorte e convolute, in modo da garantire alla femmina un minimo di controllo sulla paternità: se il maschio non imbocca la strada giusta, che si apre a sinistra nella cloaca, il che può accadere se il maschio ha fretta perché sta forzando l’accoppiamento, le possibilità riproduttive diminuiscono. E’ dimostrato però che i maschi con un organo copulatore più lungo, nelle anatre, hanno un maggiore successo riproduttivo, il che spiega la selezione di organi tanto anomali. Non è noto quale porzione di questo lunghissimo organo riproduttore venga introdotto nella femmina, ma l’ipotesi che la struttura venga utilizzata come una coda di pavone per impressionare la femmina è stata contestata come antropocentrica. In ogni caso, l’organo (come negli struzzi) è contenuto in una tasca all’interno della cloaca e presenta dei canali laterali a grondaia per il trasporto dello sperma.
Altri uccelli, come i fenicotteri, hanno un pene, ma è in generale di dimensioni più modeste.
Un’ultima considerazione: l’antenato comune degli amnioti, rettili, uccelli e mammiferi, aveva un pene. Questo significa che quest’organo è andato perso nel 97% degli uccelli, e probabilmente la “scelta” evoluzionistica di questa perdita è stata fatta dalle femmine. Se pensate che vostra moglie sia castrante, ringraziate di non essere un passero.
Tratto da L’orologiaio miope, il blog di Lisa Signorile
Tra i vertebrati i pesci, bisogna ammetterlo, non sono noti per le loro capacità amatorie, preferendo di solito la riproduzione esterna, dato che hanno l’acqua a fare da mezzo di trasporto per le cellule della riproduzione, i gameti. Il sistema tuttavia è svantaggioso perchè non solo non elimina la difficoltà di cercare e corteggiare un partner, ma richiede anche la dispendiosa produzione di un numero altissimo di uova e spermatozoi. Se non altro però elimina il problema di fondo, che consiste nel convincere una femmina riottosa, poco intelligente e poco collaborativa a stare ferma durante il “rifornimento in volo”, e quindi, con ben poche eccezioni, viene preferito.
Laddove tuttavia le femmine hanno evoluto viviparità, cioè ritengono gli embrioni nel proprio corpo per proteggerli e nutrirli, i maschi hanno dovuto evolvere un pene per non doversi affidare al caso e garantirsi la paternità dei pochi embrioni. Ciò è avvenuto in diversi casi esemplari tra i pesci, in maniera indipendente e adottando la stessa soluzione all’annoso problema: da quale parte del corpo evolvere le tubature per il trasferimento dello sperma? La risposta a quanto pare è sempre la stessa: dalle pinne anali, le stesse da cui derivano le nostre gambe.
Tutti i condroitti, cioè i pesci cartilaginei come squali e razze, hanno un pene anche se non tutti sono vivipari (ma evidentemente lo era l’antenato comune, oppure sto confondendo la causa con l’effetto e l’evoluzione di un pene può portare alla viviparità). Ad essere precisi gli squali non hanno un pene, ma ben due emipeni (in termini tecnici, pterigopodi), per via che le pinne anali sono due e si sono solo modificate, e sono permanentemente rigidi (qui un’immagine). Sul lato interno di ciascun emipene c’è una specie di grondaia e al momento della copula i due emipeni entrano singolarmente o si possono unire facendo combaciare le grondaie e formando un solo organo dotato di un canaletto entro cui scorre lo sperma. Gli emipeni in inglese si chiamano “clasper” (afferratore), ma il nome è scorretto dato che non servono a tener ferma la femmina durante la copula, che in realtà spesso somiglia più ad uno stupro di massa che ad un atto d’amore. Per tener ferma la sventurata femmina i maschi le afferrano le branchie coi denti e molto spesso le lasciano profonde ferite che cicatrizzano vistosamente. Le chimere invece, un gruppo che si è separato molto presto dal resto degli squali e che depone le uova, hanno un terzo clasper retrattile sulla fronte, e forse neanche questo serve davvero a tener ferma la femmina.
Il secondo gruppo di pesci superdotati (o, se non altro, dotati, a differenza degli altri) è quello dei Poeciliidae, che comprende i guppy, i platy e i black molly, pesci d’acqua dolce e calda comunissimi nelle vasche degli acquariofili dilettanti, ma anche le gambusie che si usano nella lotta alle zanzare. Tutti i pecilidi americani sono vivipari (la madre provvede anche nutrimento per l’embrione) e a fecondazione interna, mentre tutti quelli africani sono ovipari e a fecondazione esterna. In questi pesci la pinna anale alla pubertà si modifica: il terzo, quarto e quinto raggio si allungano moltissimo, gli altri raggi si accorciano e le due pinne si uniscono formando un gonopodio, una struttura tubolare che ha sia forma che funzioni di pene ed è in contatto con i vasi deferenti che portano lo sperma dai testicoli. Mi divertivo a osservare i guppy che avevo in acquario, dato che questi pesci sono dei veri e propri maniaci dei giardinetti, gli manca solo l’impermeabile: appena passava una femmina il gonopodio veniva eretto e portato in avanti, o lateralmente, puntando verso la femmina (qui un’immagine). Degli uncini terminali fanno si che l’aggancio regga anche se l’acqua è turbolenta, e lo sperma viene trasferito: basta che la femmina resti ferma accanto al maschio pochi secondi. Come compenso per la velocità, il gonopodio dei pecilidi può essere lungo anche metà della lunghezza totale del corpo del maschio. Anche i pesci delle famiglie Anablepidae, Goodeidae e Cottidae hanno il gonopodio che usano come organo copulatorio, e tutte le volte sembra si sia evoluto indipendentemente: come dire che la necessità crea l’organo. I Poeciilidae africani, piu’ romantici e meno pratici, usano invece il gonopodio come ventaglio, per spingere gli spermi verso la femmina.
Gli anfibi non sono molto diversi dai pesci sotto questo aspetto, e la fertilizzazione esterna è quasi la norma, con al meglio un contatto tra la cloaca del maschio e quella della femmina. Quasi, però. Ci sono infatti due eccezioni singolari: la prima riguarda una famiglia molto primitiva di rane nord-americane che comprende solo due specie (Ascaphus montanus e Ascaphus truei) dette saggiamente ”rane con la coda”, solo che la coda non è una coda (qui un’immagine). Si tratta invece di una estensione della cloaca che viene usata come organo copulatore per la fertilizzazione interna di queste rane: una mossa saggia, visto che vivono in corsi d’acqua molto veloci che porterebbero via le uova. Ne consegue che le rane con la coda femmine non hanno la coda, e che ancora una volta la “coda” si è evoluta del tutto indipendentemente, questa volta da un organo differente, la cloaca, che in queste rane è permanentemente estroflessa.
Il secondo gruppo di anfibi “con la coda” è costituito dalle cecilie. L’organo copulatorio del maschio in questo caso si chiama phallodeum ed e’ costituito dalla parte terminale della cloaca che viene estroflessa e poi reintroflessa alla fine della copula grazie a muscoli specializzati (qui un’immagine). La forma del phallodeum cambia da specie a specie, in alcune cecilie africane e’ addirittura spinoso, mentre la forma della cloaca femminile varia poco tra le specie. La copula nelle cecilie dura anche diverse ore, quindi i muscoli che evertono e tengono eretto il phallodeum devono essere possenti, ed infatti sono coinvolti anche i muscoli della parete del corpo. E’ presente anche una ghiandola (Mülleriana) il cui secreto crea il medium adatto per gli spermatozoi, un primitivo tentativo di prostata, se vogliamo, laddove negli squali lo sperma viene semplicemente mescolato ad acqua di mare. Diciamo che rispetto alle salamandre, che fanno sesso per corrispondenza dato che il maschio passa un pacchetto con gli spermi alla femmina, le cecilie sono da Kamasutra. E ancora una volta, molte cecilie sono vivipare o ovovivipare.
Anche tra gli uccelli gli organi copulatori non sono tenuti in particolare riguardo, dato che la maggior parte si limita al breve contatto tra le due cloache, detto romanticamente “bacio cloacale”. Esistono comunque eccezioni molto interessanti anche in questo caso: gli uccelli con un pene ammontano a circa il 3% di tutte le specie. Una spiegazione comune che viene data per la preferenza del bacio cloacale è che in questo modo le femmine possono evitare meglio accoppiamenti forzati e controllare con più facilità quale spermatozoo raggiungerà l’uovo. Io aggiungerei che nessun uccello è viviparo o ovoviviparo, e ancora una volte i due eventi (oviparità e assenza del pene) sembrano collegati, sebbene gli uccelli abbiano cure parentali estese.
Un gruppo di uccelli interessante per la presenza di un vero e proprio pene sono i ratiti, ovvero gli struzzi, gli emù, i nandù, i casuari, i kiwi e i tinamou, più gli estinti uccello elefante e moa. L’organo copulatore anche in questo caso deriva da un’estroflessione della cloaca (qui un’immagine), ma a questo punto dobbiamo fare un passo indietro, visto che sto usando un po’ troppo questo termine: cos’è la cloaca? E’ l’apertura unica di quasi tutti i vertebrati, dove sfociano sia l’apparato riproduttore che quello escretore che quello digerente. Insomma, serve sia al passaggio di urina e feci che di spermatozoi e uova. Nome molto appropriato, direi. Noi mammiferi abbiamo invece un’uscita per ciascun apparato.
Il fallo è un tubo di tessuto contenuto all’interno della cloaca, di colore rosso vivo per via dei vasi sanguigni. Al momento della copula si gonfia non per il sangue come accade a noi ma per la linfa, e si rovescia fuoriuscendo. Immaginate il dito di un guanto rigirato all’interno che viene spinto verso l’esterno nella sua posizione normale: la superficie a contatto con la femmina è quella che a riposo è all’interno. Su questa superficie si trova un canaletto aperto, in cui scorre lo sperma proveniente dai tubuli seminiferi che sboccano nella cloaca. Per la prima volta in questo post, finalmente, anche le femmine hanno un organo comparabile, che viene per l’appunto detto clitoride ed è molto simile come struttura, solo più piccolo. In alcuni casi, come nel casuario il clitoride è così grande che la femmina viene considerata androgina o ermafrodita dalle tribù locali.
L’altro grande gruppo di uccelli superdotati sono gli anatidi (anatre, oche e cigni), che necessitano di un fallo per via delle abitudini sessuali spesso promiscue: in diverse specie, all’estremità del pene a forma di cavatappi c’è uno “spazzolino” che serve a pulire le vie genitali femminili dallo sperma dei concorrenti, e aumenta le probabilità di paternità; una specie di scovolino sessuale, insomma, che nelle anatre è in media tra i 5 e i 9 cm, nelle oche è più ridotto. Ed è proprio tra le anatre che si ritrova il John Holmes dei vertebrati, il gobbo rugginoso argentino (Oxyura vittata), di cui è stato rinvenuto un esemplare con un fallo di 42.5 cm, più lungo del corpo dell’animale, e per giunta ricoperto di spine lungo tutta la sua lunghezza (nell’immagine in alto). Le vie sessuali femminili, corrispondentemente, sono contorte e convolute, in modo da garantire alla femmina un minimo di controllo sulla paternità: se il maschio non imbocca la strada giusta, che si apre a sinistra nella cloaca, il che può accadere se il maschio ha fretta perché sta forzando l’accoppiamento, le possibilità riproduttive diminuiscono. E’ dimostrato però che i maschi con un organo copulatore più lungo, nelle anatre, hanno un maggiore successo riproduttivo, il che spiega la selezione di organi tanto anomali. Non è noto quale porzione di questo lunghissimo organo riproduttore venga introdotto nella femmina, ma l’ipotesi che la struttura venga utilizzata come una coda di pavone per impressionare la femmina è stata contestata come antropocentrica. In ogni caso, l’organo (come negli struzzi) è contenuto in una tasca all’interno della cloaca e presenta dei canali laterali a grondaia per il trasporto dello sperma.
Altri uccelli, come i fenicotteri, hanno un pene, ma è in generale di dimensioni più modeste.
Un’ultima considerazione: l’antenato comune degli amnioti, rettili, uccelli e mammiferi, aveva un pene. Questo significa che quest’organo è andato perso nel 97% degli uccelli, e probabilmente la “scelta” evoluzionistica di questa perdita è stata fatta dalle femmine. Se pensate che vostra moglie sia castrante, ringraziate di non essere un passero.
Tratto da L’orologiaio miope, il blog di Lisa Signorile