L’ultimo bacio
E’ un dato di fatto, la bocca di un varano di Komodo (Varanus komodoensis) è un ricettacolo di batteri; dalle ricerche effettuate ne sono state catalogate almeno 58 specie diverse, il 93% delle quali sono classificate come potenzialmente patogene. Parecchi ricercatori si sono già interrogati sulla possibile origine e sulle basi ecologiche di questa convivenza, arrivando a formulare due diversi […]
E’ un dato di fatto, la bocca di un varano di Komodo (Varanus komodoensis) è un ricettacolo di batteri; dalle ricerche effettuate ne sono state catalogate almeno 58 specie diverse, il 93% delle quali sono classificate come potenzialmente patogene.
Parecchi ricercatori si sono già interrogati sulla possibile origine e sulle basi ecologiche di questa convivenza, arrivando a formulare due diversi modelli: il primo sostiene che i varani acquisiscano passivamente i batteri dal loro ambiente, attraverso una varietà di meccanismi diversi; il secondo modello, sicuramente più affascinante, sostiene che le popolazioni batteriche patogene che vivono nella bocca dei varani, rappresentino per loro un vantaggio evolutivo, funzionando di fatto come un vero e proprio veleno che contribuisce ad uccidere le prede.
Nessuno di questi due modelli per ora è riuscito a trovare prove convincenti in quello che è l’effettivo stile di vita dei varani, mentre un terzo modello, raccontato da Bull, Jessop e Whiteley su PLoS One sembra essere più coerente con le osservazioni etologiche.
Questo modello, chiamato epidemico, parte dalla considerazione che a volte le prede dei varani riescono a sfuggire all’attacco, seppur con ferite da morso più o meno gravi. Se la preda riesce a sopravvivere al morso esiste la possibilità che una o più specie batteriche trasferitesi nella ferita tramite la saliva del varano provochino una sepsi, uccidendo la preda o indebolendola e rendendola più soggetta agli attacchi di altri varani. Un’altra osservazione viene incontro a questo modello: i varani mangiano spesso in gruppo. Diversi individui condividono prede o carcasse di prede, permettendo così agli eventuali batteri che la infettano di diffondersi nelle loro bocche, perpetuando “l’epidemia”. I batteri patogeni così si trasferirebbero da un varano all’altro tramite prede infette, sopravvissute alle ferite il tempo sufficiente da permettere ai batteri di diffondersi nei tessuti.
Le osservazioni sul campo e le abitudini alimentari dei varani sembrano supportare questa ipotesi, ma mancano ancora delle prove genetiche attendibili, che dimostrino la presenza in più individui diversi, non tanto di specie batteriche simili, ma piuttosto di ceppi batterici specifici, che riflettano la trasmissione di tipo epidemico.
Una cosa è certa, se già prima di leggere questo studio sarei stata piuttosto riluttante all’idea di baciare un simile rettile nella speranza che si trasformi in un principe azzurro, ora sono decisamente convinta che i principi sia meglio cercarli altrove.
Silvia Demergazzi
Riferimenti:
Bull JJ, Jessop TS, Whiteley M (2010), Deathly Drool: Evolutionary and Ecological Basis of Septic Bacteria in Komodo Dragon Mouths. PLoS ONE 5(6): e11097. doi:10.1371/journal.pone.0011097
Fonte dell’immagine: Wikimedia Commons
Parecchi ricercatori si sono già interrogati sulla possibile origine e sulle basi ecologiche di questa convivenza, arrivando a formulare due diversi modelli: il primo sostiene che i varani acquisiscano passivamente i batteri dal loro ambiente, attraverso una varietà di meccanismi diversi; il secondo modello, sicuramente più affascinante, sostiene che le popolazioni batteriche patogene che vivono nella bocca dei varani, rappresentino per loro un vantaggio evolutivo, funzionando di fatto come un vero e proprio veleno che contribuisce ad uccidere le prede.
Nessuno di questi due modelli per ora è riuscito a trovare prove convincenti in quello che è l’effettivo stile di vita dei varani, mentre un terzo modello, raccontato da Bull, Jessop e Whiteley su PLoS One sembra essere più coerente con le osservazioni etologiche.
Questo modello, chiamato epidemico, parte dalla considerazione che a volte le prede dei varani riescono a sfuggire all’attacco, seppur con ferite da morso più o meno gravi. Se la preda riesce a sopravvivere al morso esiste la possibilità che una o più specie batteriche trasferitesi nella ferita tramite la saliva del varano provochino una sepsi, uccidendo la preda o indebolendola e rendendola più soggetta agli attacchi di altri varani. Un’altra osservazione viene incontro a questo modello: i varani mangiano spesso in gruppo. Diversi individui condividono prede o carcasse di prede, permettendo così agli eventuali batteri che la infettano di diffondersi nelle loro bocche, perpetuando “l’epidemia”. I batteri patogeni così si trasferirebbero da un varano all’altro tramite prede infette, sopravvissute alle ferite il tempo sufficiente da permettere ai batteri di diffondersi nei tessuti.
Le osservazioni sul campo e le abitudini alimentari dei varani sembrano supportare questa ipotesi, ma mancano ancora delle prove genetiche attendibili, che dimostrino la presenza in più individui diversi, non tanto di specie batteriche simili, ma piuttosto di ceppi batterici specifici, che riflettano la trasmissione di tipo epidemico.
Una cosa è certa, se già prima di leggere questo studio sarei stata piuttosto riluttante all’idea di baciare un simile rettile nella speranza che si trasformi in un principe azzurro, ora sono decisamente convinta che i principi sia meglio cercarli altrove.
Silvia Demergazzi
Riferimenti:
Bull JJ, Jessop TS, Whiteley M (2010), Deathly Drool: Evolutionary and Ecological Basis of Septic Bacteria in Komodo Dragon Mouths. PLoS ONE 5(6): e11097. doi:10.1371/journal.pone.0011097
Fonte dell’immagine: Wikimedia Commons