Un sito dove si può leggere il testo originale dell’Histoire Naturelle e c’è molto altro materiale su Buffon:
http://www.buffon.cnrs.fr/Histoire Naturelle générale et particulière (1749-1789)
Da: LA MANIERA DI STUDIARE LA STORIA NATURALE
[…]
Per quanto riguarda l’ordine generale e il metodo di distribuzione dei vari oggetti della Storia Naturale, potremmo già dire che esso è puramente arbitrario, e che si è quindi padroni di scegliere quello che si considera più comodo o più diffuso; ma prima di esporre le ragioni che potrebbero costringere ad adottare un ordine piuttosto che un altro è necessario fare ancora qualche riflessione, attraverso la quale cercheremo di determinare ciò che può esservi di reale nelle divisioni che sono state fatte dei prodotti naturali.
Per individuarlo dobbiamo disfarci per un istante di tutti i nostri pregiudizi, e spogliarci anche delle nostre idee. Immaginiamo un uomo che abbia dimenticato tutto o che si risvegli ignaro degli oggetti che lo circondano, collochiamolo in una campagna dove si presentino in rapida successione, ai suoi occhi, gli animali, gli uccelli, i pesci, le piante, le pietre. In un primo momento quell’uomo non distinguerà niente è confonderà tutto; ma lasciamo che le sue idee si consolidino a poco a poco attraverso la reiterazione di sensazioni degli stessi oggetti; ben presto egli si farà un’idea generale della materia animata, la distinguerà facilmente dalla materia inanimata e poco dopo distinguerà chiaramente la materia animata dalla materia vegetale e arriverà in modo naturale, a questa prima, grande divisione: Animale, Vegetale, Minerale; e poichè si sarà fatto nello stesso tempo un’idea precisa di quei grandi oggetti così diversi che sono la Terra, l’Aria e l’Acqua, giungerà in poco tempo a farsi un’idea particolare degli animali che abitano sulla Terra, di quelli che vivono nell’acqua e di quelli che si innalzano nell’aria, e di conseguenza concepirà facilmente da se stesso questa seconda divisione: Animali quadrupedi, Uccelli,Pesci; la stessa cosa avverrà, quanto al regno vegetale, per gli alberi e le piante, che egli distinguerà facilmente sia per la grandezza, sia per la sostanza, sia per la forma. Ecco ciò che gli ispirerà, necessariamente, la semplice ispezione, e che un’attenzione anche superficiale non potrà mancare di fargli riconoscere; ed è esattamente ciò che dobbiamo considerare reale e rispettare come una divisione stabilita dalla Natura stessa. Mettiamoci poi al posto di quest’uomo, o supponiamo che egli abbia acquisito tanta conoscenza, e ormai possegga tanta esperienza, quanta ne abbiamo noi: egli arriverà a giudicare gli oggetti della Storia Naturale a seconda dei rapporti che essi hanno con lui.
[…]
Non è meglio sistemare, non soltanto in un trattato di storia naturale, ma anche in un quadro, o dovecchessia, gli oggetti nell’ordine e nella posizione in cui si trovano ordinariamente, anzichè forzarli a trovarsi insieme in virtù di una supposizione? Non è meglio far seguire il cavallo, che è un solipede, dal cane che è un fissipede, e che ha l’abitudine di seguirlo effettivamente, anzichè da una zebra, che ci è poco nota e che non ha altro rapporto con il cavallo che l’essere solipede?
[…]
Linneo divide tutti gli animali in sei classi e cioè in Quadrupedi, Uccelli, Anfibi, Pesci, Insetti e Vermi. Questa prima divisione è, come si vede, molto arbitraria e incompleta, giacchè non ci prospetta alcuna idea di certi generi di animali che nondimeno sono molto importanti e molto diffusi, per esempio i serpenti, le conchiglie, i crostacei, e che al primo colpo d’occhio sembra che siano stati dimenticati; poichè non vien fatto, lì per lì, di pensare che i serpenti siano degli anfibi, i crostacei degli insetti e le conchiglie dei vermi; se, invece di contemplare solo sei classi, questo autore ne avesse previste dodici o più, e avesse parlato di quadrupedi, uccelli, rettili, anfibi, pesci cetacei, pesci ovipari, pesci molli, crostacei, conchiglie, insetti terrestri, insetti marini, insetti d’acqua dolce ecc., avrebbe parlato più chiaramente e le sue divisioni sarebbero state più vere e meno arbitrarie; quanto più aumenteremo il numero delle divisioni dei prodotti naturali, infatti, tanto più ci avvicineremo al vero, poiché in Natura non esistono realmente che individui e i generi gli ordini e le classi esistono solo nella nostra immaginazione.
Se esaminiamo i caratteri generali che egli utilizza, e il modo in cui stabilisce le sue divisioni particolari, troveremo difetti ancora più gravi; per esempio, un carattere generale come quello delle mammelle per la divisione dei quadrupedi dovrebbe quanto meno appartenere a tutti i quadrupedi: e fin da Aristotele è noto che il cavallo non ha affatto mammelle.
Egli divide la classe dei quadrupedi in cinque ordini: il primo Anthropomorpha, il secondo Ferae, il terzo Glires, il quarto Jumenta, il quinto Pecora; e questi cinque ordini contengono, secondo li, tutti gli animali quadrupedi. Dall’illustrazione e dal semplice dettaglio di questi cinque ordini vedremo subito che la divisione è non soltanto arbitraria ma anche, e molto, mal concepita; poichè questo Autore inserisce nel primo ordine l’uomo, la scimmia, il bradipo e il pangolino. Bisogna proprio aver la mania di classificare per mettere insieme degli esseri tanto diversi quanto l’uomo e il bradipo o la scimmia e il pangolino. Passiamo al secondo ordine, che Linneo chiama Ferae, l’ordine delle bestie feroci; egli comincia in effetti con il leone e la tigre, ma continua con il gatto, la donnola, la lontra, la foca, il cane, l’orso, il tasso, e termina con il riccio, la talpa e il pipistrello. Avreste mai creduto che il nome latino di Ferae, e cioè bestie selvagge o feroci, potesse essere dato al pipistrello, alla talpa, al riccio; e che animali domestici come il cane e il gatto fossero in realtà delle bestie feroci?
[…]
La descrizione esatta e la storia fedele di ogni cosa è, come abbiamo già detto, il solo scopo che ci si debba proporre all’inizio. Nella descrizione dobbiamo comprendere la forma, la grandezza, il peso, i colori, le condizioni di riposo e di movimento, la posizione delle parti, i loro rapporti, la loro figura, la loro azione e tutte le funzioni esterne; se a ciò è possibile aggiungere l’illustrazione delle parti interne, la descrizione risulterà più completa; ma dobbiamo guardarci dal cadere in dettagli troppo minuti, o dall’insistere nella descrizione di parti poco importanti, e dal trattare troppo superficialmente le cose essenziali e principali. La storia deve seguire la descrizione e riguardare solo i rapporti che le cose naturali hanno tra loro e con noi: la storia di un animale non deve essere la storia dell’individuo, ma dell’intera specie di quegli animali; essa deve comprendere il loro tipo di accoppiamento, la durata della gravidanza, l’epoca del parto, il numero dei piccoli, le cure del padre e della madre, il loro tipo di educazione, il loro istinto, i luoghi in cui vivono, il loro nutrimento, il modo con cui se lo procurano, le loro abitudini, le loro prestazioni, il loro tipo di caccia e infine tutti i servizi che possono renderci, tutte le cose utili o le comodità che ne possiamo trarre; e quando all’interno del corpo animale vi siano cose degne di nota, sia per la loro conformazione, sia per gli usi che se ne possono fare, dobbiamo aggiungerle o alla descrizione o alla storia; ma entrare in un esame anatomico troppo circostanziato sarebbe un’operazione estranea alla Storia Naturale, o quanto meno non è il suo obiettivo principale: dobbiamo riservare certi dettagli alle memorie di anatomia comparata.
[…]
…e non bisogna immaginarsi, nemmeno attualmente, che nello studio della Storia Naturale ci si debba limitare unicamente a compiere descrizioni esatte ed ad accertarsi solamente dei fatti specifici, è la verità, come abbiamo già detto, il fine essenziale che dobbiamo proporci prima di tutto; ma bisogna cercare di elevarsi verso qualcosa di più grande e degno di maggiore interesse, cioè combinare le osservazioni, generalizzare i fatti, legarli insieme con la forza delle analogie e cercare di arrivare al quel livello di conoscenza superiore dove possiamo constatare come gli effetti specifici dipendano da effetti più generali, dove possiamo confrontare la natura con se stessa nelle sue grandi opere, dove possiamo infine aprirci delle strade per perfezionare i differenti settori della fisica. Una grande memoria, l’assiduità, e l’attenzione bastano per arrivare al primo scopo; ma serve qualcosa di più, servono delle visioni generali, un colpo d’occhio fermo e delle argomentazioni ottenute più con la riflessione che con lo studio; bisogna avere infine quella presenza di spirito che ci fa cogliere rapporti lontani e ce li fa unire per formare un corpo di idee ragionate, dopo averne apprezzato giustamente le verosimiglianze e averne soppesato le probabilità.
Da: L’ASINO
[…] si potrà giudicare se questa somiglianza nascosta non è più meravigliosa delle differenze apparenti, se questa conformità costante di progetto seguita dall’uomo ai quadrupedi, dai quadrupedi ai cetacei, dai cetacei agli uccelli, dagli uccelli ai rettili, dai rettili ai pesci, ecc… nei quali le parti essenziali, come il cuore, l’intestino, la spina dorsale, i sensi, ecc… si trovano sempre, non sembrano indicare che creando gli animali l’Essere supremo abbia voluto usare solo un’idea, e nello stesso tempo variarla in tutti i modi, perchè l’uomo potesse ammirare tanto la semplicità del progetto quanto la magnificenza dell’esecuzione.
[…]
Da questo punto di vista, non soltanto l’asino e il cavallo, ma anche l’uomo, la scimmia, i quadrupedi e tutti gli animali potrebbero essere considerati componenti della stessa famiglia; ma si deve concludere che in questa famiglia, grande e numerosa, concepita e creata dal nulla solo da Dio, vi siano altre piccole famiglie progettate dalla Natura e prodotte dal tempo, alcune composte da due soli membri, come l’asino e il cavallo, altre da un maggior numero, come quella comprendente donnola, martora, furetto, faina, ecc… allo stesso modo in cui nei vegetali vi sono famiglie composte da 10, 20, 30 e più piante? Se queste famiglie esistessero davvero, esse avrebbero potuto formarsi solo con la mescolanza, variazione successiva e degenerazione delle specie originarie; se si ammette una volta per tutte che vi siano famiglie nelle piante e negli animali, che l’asino esca dalla famiglia del cavallo e ne differisce solo per degenerazione, allo stesso modo si potrà dire che la scimmia è della stessa famiglia dell’uomo, che è un uomo degenerato, che l’uomo e la scimmia hanno origine comune come il cavallo e l’asino, che ogni famiglia animale e vegetale ha avuto una sola origine, e addirittura che tutti gli animali siano derivati da uno solo che, nella successione dei tempi ha prodotto, perfezionandosi e degenerando, tutte le razze degli animali.
I naturalisti che stabiliscono con tanta leggerezza famiglie animali e vegetali non paiono avere sentito l’estensione di tali conseguenze, che ridurrebbero il prodotto immediato della creazione ad un numero piccolo a piacere di individui. Se fosse provata la possibilità di stabilire con ragione queste famiglie, se fosse acquisita cioè fra animali e vegetali l’esistenza non dico di molte, ma di una sola specie prodotta dalla degenerazione di un’altra, se fosse vero che l’asino è un cavallo degenerato, non vi sarebbero più limiti alla potenza della Natura, e non si avrebbe torto a supporre che essa da un solo essere abbia ricavato, col tempo, tutti gli altri esseri organizzati.
Ma no, è certo, dalla rivelazione, che tutti gli animali hanno partecipato ugualmente della grazia della creazione, che i due primi esseri di ogni specie sono stati formati dalla mano del Creatore, e si deve credere che essi allora fossero circa uguali ai loro discendenti odierni…
[…]
Un individuo è un essere a parte, isolato, staccato, che non ha nulla in comune con gli altri esseri se non somiglianze e differenze: tutti gli individui simili che esistono sulla terra sono considerati membri della specie di tali individui; tuttavia non è il numero, nè l’insieme degli individui simili che fa una specie, ma la successione costante e il rinnovamento ininterrotto degli individui che la costituiscono: perché un essere che durasse per sempre non sarebbe una specie, non più di quanto lo sarebbe un milione di esseri simili pure eterni: la specie è dunque una parola astratta e generica, il cui significato esiste solo considerando la Natura nella successione dei tempi e nella distruzione e nel rinnovamento costanti degli esseri: comparando la natura di oggi a quella di altri tempi, e gli individui attuali a quelli passati ci siamo fatti un’idea precisa di quella che si chiama specie: il paragone del numero o della somiglianza degli individui non è che un concetto accessorio e spesso indipendente dal primo: l’asino somiglia al cavallo più di quanto un bassotto non somigli ad un levriero, tuttavia bassotto e levriero sono della medesima specie e producono individui a loro volta fertili, mentre asino e cavallo sono certamente specie diverse perché non producono che individui imperfetti e sterili.
[…]
Se [nell’uomo] il negro e il bianco non potessero, unendosi, riprodursi, se anche il loro prodotto rimanesse sterile, se il mulatto fosse un vero ibrido, allora ci sarebbero due specie distinte: il negro sarebbe per l’uomo ciò che l’asino è per il cavallo, o, piuttosto, se il bianco fosse l’uomo, il negro non sarebbe più un uomo, sarebbe un Animale a parte, come la scimmia, e noi saremmo autorizzati a pensare che il bianco e il negro non abbiano avuto una origine comune. Ma anche questa supposizione è smentita dai fatti e, poiché tutti gli uomini possono entrare in rapporto, unirsi e generare, tutti gli uomini provengono dallo stesso ceppo e dalla stessa famiglia.
Da: I MULI
Ho già riferito nel volume della Storia Naturale all’articolo del cane i tentativi da me fatti d’accoppiare un cane con una lupa. Vi si posson vedere tutte le cautele da me prese per riuscire nel mio intento: il cane e la lupa non oltrepassavano i tre mesi, allorchè furon posti insieme, e rinchiusi in un gran cortile senza far uso della minima violenza, e senza legarli. Per il primo anno vivevano in pace que’ giovani animali, e pareva che si amassero. Nel secondo cominciarono ad altercare sul cibo, comunque ne avessero oltre al bisogno: la rissa cominciava sempre dalla lupa. Dopo due anni le risse si fecero più frequenti: in tutto questo tempo la lupa non diede mai segnale di caldezza: solo alla fine del terzo anno si vide aver essa i medesimi sintomi delle cagne calde, ma ben lungi che questo stato li accostasse l’uno all’altro, divennero anzi ambedue più feroci, e il cane in luogo di coprire la lupa, finì con l’ucciderla. Dal mio esperimento, io ho creduto di poter conchiudere, che il lupo è di una differentissima natura da quella del cane: che ne sono lontane le specie a segno di non poterle facilmente appressare almeno in questi climi.
Il Sig. March. di Spotin-Beaufort avendo tentato questo medesimo accoppiamento del cane, e della lupa, v’è ottimamente riuscito, di me più fortunato a fin d’allora trovate le vie ed i mezzi nascosti nel seno della natura per approssimare alcuna volta gli animali che sembrano incongiungibili. Io fui tosto informato del fatto per una lettera, concepita ne’ seguenti termini:
Namur 9. Giugno 1773.
Codesta lupa non aveva più di tre giorni, allorchè la comperai da un villano, che l’aveva presa nel bosco dopo aver ucciso la madre. Le feci per alcuni dì succhiare del latte, finchè fu in istato di nutrirsi di carne. Io raccomandai a quelli che doveano aver cura di lei di accarezzarla, e di continuamente starle d’attorno, affin di vederla domestica almeno con loro: essa riuscì così familiare, che io poteva condurla alla caccia ne’ boschi fino alla distanza di una lega dalla casa, senza rischio di smarrirla; ed anche alcuna volta ne’ giorni che io aveva potuto ricondurla, rivenne da se sola e di notte. Molto più sicuro io era d’averla presso di me, quando conduceva meco un cane; perciocchè essa gli ha sempre amati, e quelli ch’eransi spogliati della loro naturale ripugnianza, trastullavansi con essa, come se stati fossero due animali della medesima specie. Sino a quel punto non era stata infesta, fuorchè ai gatti ed alle galline, cui tosto strangolava, senza però volerne mangiare. Dopo ch’ebbe compiuto l’anno crebbe la sua ferocia, e cominciai ad avvedermi che s’avventava ai montoni ed alle cagne, singolarmente quando erano calde. Le tolsi allora la libertà, e facevala condurre da luogo a luogo incatenata, e colla museruola, dacchè era sovente che si fosse avventata al suo condottiere, che si opponeva a’ suoi capricci. Aveva essa almeno un anno allorchè le feci fare conoscenza del cane che la poi coperta. Fin dagli ultimi giorni dello scorso Novembre, si trova alla catena in città nel mio giardino, nel qual tempo più di trecento persone vennero a vederla. La mia casa è quasi nel centro della città, onde non può cader sospetto che sia mai verun lupo venuto a visitarla. Dappoichè essa incomincio a riscaldarsi, concepì una tale passione pel cane, e il cane per lei, che urlavano orribilmente ambedue, quando non erano insieme. A’ 28 Marzo fu coperta per la pria volta, e in seguito due volte il giorno per circa due settimane. Stavano forse essi accoppiati un quarto d’ora per volta, nel qual tempo la lupa dava indizio di soffrire assai e di lagnarsi, e il cane niente. Dopo tre settimane apparve a non dubbi segni la gravidanza. A’ 6 Giugno essa si sgravò di quattro ibridi, a’ quali dà il latte, comunque essi contino di già cinque settimane, ed abbiano denti molto acuti e lunghi. Sembrano veri cagnolini, avendo orecchi assai lunghi e cascanti: havvene uno affatto nero col petto bianco, ch’era il color del cane. Sono ben contento d’avere l’occasione di attestargliene pubblicamente la mia riconoscenza. Non è picciol guadagno nella storia della Natura la notizia di un fatto raro: i mezzi sono sempre difficili, ed a quel che se ne vede, spessissimo pregiudicievoli.
Io era dunque sicuro, che codesti animali, comunque ammansati con l’educazione, ripigliano col tempo la naturale loro fierezza; e volendo ovviare gl’inconvenienti inevitabili col tenere la mia lupa sempre rinchiusa col cane, confesso di non aver abbadato al cattivo metodo che io seguiva: perciocchè in questo stato di schiavitù e di noia, l’indole della lupa in luogo di mansuefarsi, s’inasprì a segno d’essere più feroce che nello stato di natura; e il cane essendo stato così per tempo disgiunto da’ suoi simili e da ogni società, aveva vestito un carattere salvatico e crudele, e dal cattivo umore della lupa viepiù maggiormente irritato, di guisa che negli ultimi due anni a tale crebbe la loro avversione, che unicamente agognavano di sbranarsi a vicenda. Nello sperimento del Sig. March. di Spotin, la cosa andò ben diversamente: il cane era già nello stato ordinario, aveva tutta la dolcezza e le altre qualità, che dall’usar coll’uomo acquista questo animale: la lupa d’altronde essendo stata educata libera e famigliare sin dalla tenera sua età col cane, il quale per questa non forzata abitudine perduta aveva la sua ripugnanza per lei, era divenuta capace di sentire amore per esso; ella pertanto lo accolse allorchè la Natura ne diede il segno; e comunque facesse sembiante di lagnarsi e di molto soffrire nell’accoppiamento, ha certamente prevaluto alla molesta sensazione il piacere, dacchè consentì che si rinnovasse ogni dì il giuoco per tutto quel tempo che durò la sua caldura. Oltredichè si è saputo cogliere il momento da far riuscire codesta disparata unione: la lupa non aveva che due anni, non avea peranche spiegato la sua indole feroce: tutte quelle circostanze, e forse più altre inosservate, hanno influito al successo dell’accoppiamento e della procreazione. Sembra da ciò che si è detto, che il mezzo più sicuro di rendere gli animali infedeli alla loro specie, quello sia di metterli, come l’uomo, in molta compagnia, accostumandoli poco a poco con quelli, pe’ quali senza ciò non avrebbono che dell’indifferenza, o anche dell’avversione. Comunque la cosa sia, si saprà oggimai, mercè le diligenze del Sig. March. di Spotin, e si avrà d’ora innanzi per fermo, che può il cane procreare colla lupa anche nè nostri climi: io avrei pur desiderato, che dopo sì felice sperimento, questo buon esito avesse impegnato il suo ch. Autore a tentare l’unione del lupo e della cagna, e quella delle volpi e de’ cani. Egli mi dirà per avventura, ch’è eccessiva la richiesta, e ch’io esprimo entusiasmo d’un incontentabile Naturalista. Ne convengo; e confesso che la scoperta d’un nuovo fatto della Natura mi ha in ogni tempo rapito.
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La parentela di specie, generalmente parlando, è uno di que’ profondi misteri della Natura, che l’uomo non potrà mai scoprire, che a forza di esperienze reiterate lunghe e difficili. Con qual metodo si giungerà mai a conoscere il grado di parentela fra animali di specie differente, se non vi si giunge con li prodotti dell’unione fra loro mille e mille volte tentata? L’asino è egli per avventura parente più prossimo del cavallo, che dello zebro? Il lupo è egli più vicino al cane, che non la volpe e lo zakal? In qual distanza dall’uomo porremo noi le grandi scimmie, che gli rassomigliano si perfettamente nella figura del corpo? Tutte le specie degli animali furono esse sempre quali noi le veggiamo? Il loro numero è egli cresciuto o piuttosto scemato? Le specie deboli non son forse state distrutte dalle più forti, o dalla tirannia dell’uomo, il cui numero è divenuto mille volte più grande di verun’altra specie di animali potenti? Quali rapporti potremmo noi fissare tra questa parentela di specie, ed un’altra parentela meglio conosciuta, qual’è quella delle differenti razze nella medesima specie? La razza generalmente non provien essa come la specie mista da una disconvenienza colla specie pura negli individui che sono i capi dello stipite della razza? Quante altre questioni si posson movere su questa sola materia, e quanto poche sciogliere! Di quanti fatti avremmo mestieri , prima di poter decidere ed anche congetturare? Quante esperienze dovrebbonsi tentare per discoprire codesti fatti, per riconoscerli, od anche solo prevenirli?
Da: LA DEGENERAZIONE DEGLI ANIMALI
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Negli animali, questi effetti sono più immediati e più consistenti, poiché essi dipendono dalla terra più strettamente che non l’uomo, poiché il loro cibo è più uniforme, più costantemente lo stesso e, non essendo affatto preparato, la sua qualità è più spiccata e il suo effetto più forte; poiché, d’altra parte, gli animali non possono né vestirsi né ripararsi né far uso dell’elemento fuoco per scaldarsi e quindi rimangono nudi ed esposti e in piena balia dell’azione dell’aria e di tutte le intemperie. Per questo motivo ciascuno di essi ha, secondo la sua natura, scelto la propria zona e la propria regione; per questo stesso motivo essi vi sono trattenuti e, anziché espandersi e disperdersi come l’uomo, restano per la maggior parte concentrati nei luoghi che più si confanno loro. E quando sono stati costretti, da rivoluzioni sulla terra o dalla forza dell’uomo, ad abbandonare il luogo d’origine, quando sono stati scacciati e relegati in climi lontani, la loro natura ha subito alterazioni così grandi e profonde da non essere più riconoscibile a prima vista e da richiedere, per essere valutata, il ricorso all’indagine più attenta, e anche agli esperimenti e all’analogia. Se a queste cause naturali di alterazione degli animali in libertà si aggiunge quella rappresentata del dominio dell’uomo sugli esseri che egli ha ridotto in servitù, si rimarrà sorpresi nel vedere fino a qual punto la tirannia possa deteriorare, sfigurare la natura. Su tutti gli animali si troveranno le stimmate della cattività e il segno dei ceppi, si vedrà che queste piaghe sono tanto più grandi, tanto più incurabili quanto più sono vecchie e che, nello stato in cui noi li abbiamo ridotti, forse non sarebbe più possibile riabilitarli né ridar loro la forma primitiva e gli altri attributi della natura che abbiamo sottratto loro.
La temperatura del clima, la qualità del cibo e i mali della schiavitù: ecco le tre cause del cambiamento, dell’alterazione e della degenerazione degli animali
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Ma dopo una panoramica sulle varietà che ci indicano le particolari alterazioni di ciascuna specie, si presenta una considerazione più importante e di ben più vasta portata. Si tratta del cambiamento delle specie stesse, di quella degenerazione più antica e risalente a tempi immemorabili che sembra aver avuto luogo in ogni famiglia o, se si vuole, in ognuno dei generi nei quali di possono comprendere le specie affini e poco diverse fra loro. Fra tutti gli animali abbiamo solo qualche specie isolata che, come l’uomo, sia al tempo stesso specie e genere: l’elefante, il rinoceronte, l’ippopotamo e la giraffa formano generi o specie semplici, che si diffondono solo in linea retta, senza rami collaterali; tutte le altre sembrano formare famiglie in cui si nota, di norma, un ceppo principale e comune dal quale sembrano essere derivate linee diverse e tanto più numerose quanto più gl’individui, in ciascuna specie, sono piccoli e fecondi.
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Se facessimo ugualmente l’elenco degli animali proprii e particolari al Nuovo Mondo, troveremmo che vi sono circa 50 specie diverse che possono ridursi a 10 generi e quattro specie isolate;…
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Non accade lo stesso con il Pecari che, sebbene sia di una specie diversa del maiale, appartiene tuttavia allo stesso genere; assomiglia al maiale nella forma e in tutti t caratteri, ne differisce per piccoli caratteri come l’apertura sul dorso, la forma dello stomaco e degli intestini, ecc… Si potrebbe dunque pensare che questo animale abbia la stessa origine del maiale e che in altri tempi sia migrato da Vecchio al Nuovo Mondo, nel quale, per influenza della terra, ha degenerato al punto da dar luogo ad una specie distinta da quella originaria…
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…caprioli e daini, come pure le puzzole hanno più specie e varietà, sono più grandi e forti nel nuovo continente che nel vecchio; si potrebbe dunque immaginare che siano originarii, ma poichè non possiamo dubitare che tutti gli animali siano stati creati nel Vecchio Mondo, bisogna ammettere che siano migrati da questo a quello e che invece di degenerare, come tutti gli altri, vi si siano perfezionati, e per convenienza e favore del clima abbiano superato la loro natura prima…
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…infine vi sono quattro generi e due specie isolate, cioè gli opossum, i coati, gli armadilli, i bradipi, il tapiro ed il cabiai che non possono essere ricondotti o paragonati a nessun genere o specie del Vecchio Mondo.
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…è più ragionevole pensare che un tempo i due continenti fossero contigui o continui, e che le specie che si erano confinate in zone del Nuovo Mondo a causa di terre e cieli più convenienti alla loro natura, vi furono richiuse e separate dall’irruzione dei mari che divisero Africa ed America.
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Da: EPOCHE DELLA NATURA
Sesta Epoca:
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Eccoci, come mi sono proposto, discesi dalla sommità della scala del tempo sino ai secoli vicino al nostro, abbiam passato dal caos alla luce, dalla roventezza del globo al suo primo raffreddamento, e questo periodo di tempo è stato di venticinque mille anni. Il secondo grado del raffreddamento ha permesso la caduta delle acque, ed ha prodotto la depurazione dell’atmosfera dai venticinque ai trentacinque mille anni. Nella terza epoca seguì lo stabilimento del mare universale, la produzione delle prime conchiglie, dei primi vegetabili, la costruzione della superficie della terra in letti orizzontali opere di quindici, o venti altri mille anni. Sulla fine della terza epoca, ed al principio della quarta di ritirarono le acque, le correnti del mare scavarono i nostri valloni, ed i fuochi sotterranei cominciarono con i loro scoppi a disordinare la terra. Tutti questi ulteriori movimenti durarono altri dieci mille anni, ed in somma totale, questi grandi avvenimenti, queste operazioni e queste costruzioni suppongono almeno una successione di sessanta mille anni. Quindi la natura nel suo primo movimento di riposo diede le sue più belle produzioni, la quinta epoca ci presenta la nascita degli animali terrestri. Egli è ben vero che quel riposo non era assoluto; la terra non era ancora del tutto tranquilla, poiché dopo la nascita degli animali terrestri si separarono i continenti, accaddero le gran mutazioni esposte in questa sesta epoca. Nella settima ed ultima epoca «la potenza dell’uomo ha assecondato quella della natura».
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Dalla Settima Epoca
I primi uomini, testimoni dei moti convulsi della terra, ancora tremendi e frequentissimi, non avendo che le montagne come asili contro le inondazioni, sovente scacciati da questi stessi asili dal fuoco dei vulcani, tremebondi su d’una terra, che tremava sotto i loro piedi, nudi di spirito e di corpo, esposti alle ingiurie di tutti gli elementi, vittime del furore degli animali feroci di cui non potevano evitare di divenire preda, tutti egualmente penetrati del comune sentimento d’un terrore funesto, tutti egualmente costretti dalla necessità, non avran essi cercato di prontissimamente riunirsi, prima per difendersi col numero, poi per aiutarsi a lavorare di concerto e farsi un domicilio e delle armi? Essi principiarono ad attrezzare in forma di ascia le selci, i diaspri e le pietre di fulmine, che si credevano cadute dalle nubi, e formate dal tuono, e che nulla di meno non sono che i primi monumenti dell’arte dell’uomo nello stato di natura pura. Poi nelle contrade settentrionali dell’Asia s’innalzò il tronco delle cognizioni dell’uomo; e fu su questo tronco dell’albero della scienza che si è alzato il trono della sua potenza: più egli ha saputo, più egli ha potuto: ma altresì meno egli ha fatto, meno egli ha saputo.
Croce La natura come storia, senza storia da noi scritta, «La Critica » 37, p. 146, 1939.
«… isgombrare l’illusione che basti, come nei manuali e nelle storie universali, mettere innanzi alla storia orientale una sezione di “preistoria”, magari preceduta da un’altra di storia “della natura” o “della Terra”. Prologo che ora si vede in molte trattazioni del g e n e re, e che non solo non vivifica l’intelletto ma mortifica l’animo, il quale alla storia chiede la nobile visione delle lotte umane e nuovo alimento all’entusiasmo morale, e riceve invece l’immagine di fantastiche origini animalesche e meccaniche dell’umanità, e con essa un senso di sconforto e di depre s s i o n e e quasi di vergogna a ritro v a rci noi discendenti da quegli antenati e sostanzialmente a loro simili, nonostante le illusioni e le ipocrisie della civiltà, brutali come loro».