Maturità e pseudoscienza

Tracce di pseudoscienza nei temi proposti per la prima prova di maturità?

La “notte prima degli esami” immortalata dalla canzone di Venditti è ormai trascorsa ed è finita la caccia al posto strategico nelle file dei banchi allineati tra palestre e corridoi. Il toto-tracce è stato, come al solito, smentito; nello scorrere le fotocopie con le quattro tipologie testuali previste per la prima prova si oscilla tra la sorpresa, lo sconforto e il sollievo. Una breve riflessione per la scelta del tema, poi si impugna la penna sperando di trovare l’ispirazione.
Nell’augurare a tutti i maturandi che lo svolgimento del compito sia stato all’altezza delle aspettative, vorrei proporre qualche considerazione su uno dei temi proposti. Si tratta della traccia appartenente alla tipologia D, il tradizionale “tema di ordine generale”. Ecco che cosa si sono trovati di fronte i nostri studenti la mattina del 19 giugno:
«Fritjof Capra (La rete della vita, Rizzoli, Milano 1997) afferma: “Tutti gli organismi macroscopici, compresi noi stessi, sono prove viventi del fatto che le pratiche distruttive a lungo andare falliscono. Alla fine gli aggressori distruggono sempre se stessi, lasciando il posto ad altri individui che sanno come cooperare e progredire. La vita non è quindi solo una lotta di competizione, ma anche un trionfo di cooperazione e creatività. Di fatto, dalla creazione delle prime cellule nucleate, l’evoluzione ha proceduto attraverso accordi di cooperazione e di coevoluzione sempre più intricati”. Il candidato interpreti questa affermazione alla luce dei suoi studi e delle sue esperienze di vita.»
“Ma insomma, non siete contenti? Si parla di scienza!”, potrebbe dire qualcuno. No, la redazione di Scientificast non lo è affatto, per motivi che dovrebbero essere immediatamente evidenti a chi conosce la scienza e le sue ragioni.
Ma chiariamo bene i termini della questione. Per chi non lo sapesse, Fritjof Capra è un fisico austriaco noto per i suoi saggi dove interpreta teorie scientifiche, quali la relatività e la meccanica quantistica, in chiave spirituale, operando una discutibile sintesi di scienza e pseudoscienza. Ma veniamo all’affermazione selezionata per la traccia d’esame: qui non si tratta, infatti, di imbastire un argumentum ad hominem, una fallacia logica che ci guardiamo bene dall’adoperare. Anche un cultore della pseudoscienza potrebbe, infatti, in una specifica circostanza, fare un’affermazione rigorosa e inoppugnabile. Purtroppo non è questo il caso.
Chiariamo subito che l’intento dell’autore appare, sul piano etico, assolutamente lodevole e condivisibile. Si tratta di un richiamo alla solidarietà sociale, alla cooperazione tra individui, alla pace. Niente da eccepire in merito, come è logico.
Il problema non è nel messaggio, ma nelle argomentazioni pseudoscientifiche addotte per veicolarlo. Innanzitutto l’autore presenta il processo evolutivo come finalistico, guidato da un progetto etico e basato su “accordi” tra organismi. La cellula nucleata non è l’esito dell’evoluzione, ma sarebbe stata “creata”. È, inoltre, evidente l’uso tendenzioso del termine scientifico “coevoluzione”, che viene snaturato e piegato in chiave finalistica e filosofica. Assegnare una traccia simile vuol dire attribuire al sapere scientifico un significato ideologico e legittimare, così, la distinzione tra una scienza “buona” (dalla quale si ritiene di poter trarre una morale) e una “cattiva” (che prescinde dalle questioni etiche).
Ma la scienza – intesa etimologicamente come “conoscenza”, dal latino scio – non ha ideologia né colore politico. L’atto del conoscere è, di per sé, eticamente neutro e le scoperte che sono il frutto dell’agire dello scienziato mirano solo ad aumentare la nostra conoscenza dei meccanismi che soggiacciono ai fenomeni naturali, non già a trasmettere un insegnamento. Non ha, quindi, senso imporre limiti alla scienza sulla base di considerazioni morali, che riguarderanno, invece, le applicazioni pratiche delle conoscenze raggiunte. Discorsi come quello di Capra lasciano, invece, intendere che il fine del sapere sia quello di ricordarci che cosa sia giusto fare. E che in funzione di tale scopo sia anche lecito piegare il dato scientifico all’ideologia.
Resta la curiosità di sapere quale sia stata la reazione degli studenti di fronte a questa traccia. Personalmente ho grande fiducia nella loro capacità critica, mentre ne nutro un po’ di meno nei confronti di coloro che, invece di guidarli verso il consolidamento delle loro conoscenze scientifiche, sembrano piuttosto volerli indurre a una visione magico-mistica della realtà.
Anna Rita Longo