Mostrami la dentina e ti dirò chi sei
La morfologia della corona dei denti svolge un ruolo fondamentale nella sistematica e nell’identificazione delle specie di ominini viventi (ad esempio negli scimpanzé, si veda Pilbrow, 2006) e soprattutto fossili. Ma la superficie dello smalto (outer enamel surface, OES) si usura già nel corso della vita di un organismo con la masticazione, e vengono così a confondersi e cancellarsi tratti […]
La morfologia della corona dei denti svolge un ruolo fondamentale nella sistematica e nell’identificazione delle specie di ominini viventi (ad esempio negli scimpanzé, si veda Pilbrow, 2006) e soprattutto fossili. Ma la superficie dello smalto (outer enamel surface, OES) si usura già nel corso della vita di un organismo con la masticazione, e vengono così a confondersi e cancellarsi tratti caratteristici come il numero e la posizione delle cuspidi e di altre formazioni. Inoltre nei fossili lo smalto dei denti si può presentare più o meno danneggiato o frammentato.
Al di sotto dello smalto rimane la dentina, che viene normalmente intaccata dalla masticazione più tardi dello smalto e che quindi spesso si trova in un migliore stato di conservazione. Ma quanto è correlata la sua superficie con la OES? Presenta anch’essa i caratteri tanto utili della superficie dello smalto o è completamente diversa e disconnessa?
Attraverso la “microCT” – una tecnica di analisi non distruttiva difficile, costosa e molto esigente in termini di software e di apparati informatici – Bernard Wood, Matthew Skinner ed altri colleghi si sono impegnati nell’elaborazione di modelli tridimensionali della giunzione tra la dentina e lo smalto (enamel-dentine junction, EDJ) nei denti di ominini viventi (scimmie antropomorfe e umani) e fossili, confrontandola con la corrispondente superficie dello smalto. Questo lavoro è riuscito a mostrare che i tratti della superficie dello smalto sono in larga parte legati alla forma della giunzione dentina-smalto. Nello sviluppo, la deposizione dello smalto non modifica i caratteri legati alla dentina, e non ne aggiunge di nuovi.
Ecco allora un passo in più nella ricerca dei caratteri affidabili e delle fonti indirette che stanno portando – grazie all’impegno, all’inventiva e al rigore degli scienziati – a una visione sempre più ricca dell’evoluzione della nostra specie e dei suoi parenti più stretti (si veda la review di Wood & Lonergan, 2008).
Due risultati di questo studio renderanno più complicata la ricostruzione filogenetica:
– la grande variabilità intraspecifica riscontrata in molti gruppi, che rientra nel problema più generale della delimitazione delle specie e dell’attribuzione di un fossile a una specie piuttosto che a un’altra (ovvero: quanto deve/può essere diverso un esemplare perché venga attribuito a un’altra specie? Si veda su questo l’ottima rassegna ancora in Wood & Lonergan, 2008);
– l’osservazione che tratti che appaiono simili tra più gruppi potrebbero essere in realtà il risultato di processi di sviluppo differenti, il che limiterebbe molto il loro valore per la ricostruzione filogenetica.
La buona notizia, però, è che l’avvaloramento della dentina come fedele indicatore dei caratteri un tempo cercati nello smalto estenderà il campione su cui si possono fare queste analisi anche a tutti i fossili in cui lo smalto non si è conservato. E sono molti.
Emanuele Serrelli (con la consulenza di Jacopo Moggi)
Riferimenti:
Skinner, M.M., B.A. Wood, C. Boesch, A.J. Olejniczak, A. Rosas, T.M. Smith, J.-J. Hublin, (2008), “Dental trait expression at the enamel-dentine junction of lower molars in extant and fossil hominoids”, Journal of Human Evolution 54, 173-186.
Wood, B.A., N. Lonergan (2008), “The hominin fossil record: taxa, grades and clades”, J. Anat. 212, pp. 354–376.
Pilbrow, V. (2006), “Population systematics of chimpanzees using molar morphometrics”, Journal of Human Evolution 51, pp. 646-662.
Bernard Wood, professore di “Human Origins” al Dipartimento di Antropologia dell’Università di Washington, è ospite abituale del prof. Jacopo Moggi (http://www.unifi.it/dbalan/CMpro-v-p-45.html) e dei paleontologi Fiorentini, che ogni anno lo invitano a portare oltre agli sviluppi più recenti in campo paleoantropologico la sua autorevole esperienza: anatomista di formazione, Bernard Wood partecipò alla metà degli anni Settanta alle spedizioni di Richard Leakey, che portarono a un’esplosione dei ritrovamenti fossili e alla fine a una radicale ristrutturazione del nostro modo di ricostruire le nostre origini. La pagina web di Wood (http://home.gwu.edu/~bwood/) c ontiene i riferimenti bibliografi ci alla sua ampia e illustre produzione scientifica. In particolare si consigliano il libro Human Evolution: A Very Short Introduction (2005, Oxford University Press, New York) e il recentissimo numero di aprile 2008 del Journal of Anatomy (http://www.blackwell-synergy.com/toc/joa/212/4), da lui curato, che contiene aggiornatissimi paper tratti da un simposio tenutosi ad Oxford nel 2007.