Non è cane, non è lupo: il genoma di Balto

Balto

I ricercatori hanno recentemente analizzato il genoma di Balto, scoprendo una diversità genetica dei cani da slitta di inizio ventesimo secolo ormai andata perduta. Il genoma di Balto contiene inoltre delle varianti genetiche sconosciute finora e che potrebbero aver contribuito alla straordinaria resistenza e tenacia di questi fantastici animali.

Tutti noi conosciamo la storia di Balto. Il cane da slitta che nel 1925 riuscì coraggiosamente nell’impresa di trasportare l’antitossina fino alla remota e isolata cittadina di Nome, Alaska, salvando così molti bambini colpiti dalla difterite. In realtà Balto completò una staffetta avviata centinaia di chilometri prima e che vide impegnati una lunga sfilza di valorosi cani e conduttori di slitte, tra i quali si distinsero fra tutti Leonhard Seppala e il suo cane Togo, i quali da soli compirono un’attraversata di quasi 150 km in condizioni a dir poco terrificanti. Balto, immortalato all’arrivo e giustamente celebrato, riassume in sé la resistenza e la tenacia non solo dei cani che compirono quell’eroico gesto ma di tutti i cani da slitta. Recentemente un team di scienziati ha voluto indagare le sue caratteristiche fenotipiche partendo dal suo genoma, grazie anche alla possibilità di prelevare un piccolo campione di tessuto addominale proprio da Balto stesso, tassidermizzato ed esposto al museo di storia naturale di Cleveland.

Il fenotipo di Balto

Nell’articolo pubblicato su Science, gli scienziati si sono serviti delle stime di vincoli evoluzionistici (proprietà di un tratto di un organismo che ne limita o impedisce il cambiamento evolutivo) provenienti da un archivio di 240 allineamenti di mammiferi, tra cui il cane, e di ben 682 genomi di cani tra i quali, sia cani di razza come Husky e Malamutes tradizionalmente usati per condurre le slitte sia popolazioni di cani da “lavoro” cioè cani da slitta non di una razza ben definita, ovviamente tutti del ventunesimo secolo. Per prima cosa è apparso chiaro come Balto discendesse da cani provenienti dalla Siberia, visto la sua affinità genetica con gli husky siberiani e, anche se in percentuali minori, con i cani da villaggio cinese e i cani da slitta della Groenlandia. Analizzando i geni implicati nella formazione di caratteri quali l’altezza, costituzione del mantello e del suo colore nei cani odierni, gli scienziati hanno tentato di inferire il possibile aspetto di Balto. Studiando il suo genotipo i ricercatori avevano previsto un animale di circa 55 cm al garrese, con un doppio strato di pelliccia (uno superiore che protegge l’animale dai forti raggi del sole e uno inferiore che diventa più o meno spesso a seconda della stagione) di colore nero-marrone, con il muso scuro ma con una macchia di bianco sul ventre. Ed incredibilmente Balto era proprio così, dimostrando che le varianti genetiche che determinano l’aspetto dei cani odierni erano le stesse anche per i cani del ventesimo secolo.

Da un secolo all’altro

Molto interessante è anche quello che ci racconta il genoma di Balto su di lui e i suoi contemporanei, in confronto ai cani odierni. Balto, ad esempio, è risultato più bravo a digerire l’amido rispetto ad un lupo ma non rispetto a un cane del ventunesimo secolo. Un risultato atteso dato che la maggiore capacità di digerire l’amido è una conseguenza evoluzionistica dell’interdipendenza e della vicinanza tra uomo e cane. Balto e i cani da “lavoro” sono anche risultati geneticamente più in salute: mostrano, infatti, meno varianti genetiche dannose e rare (potenzialmente dannose) rispetto ai cani di razza, anche da slitta come l’Husky e il Malamutes. Anche questo è un risultato che non stupisce purtroppo. Cento anni di selezione per dei caratteri estetici ben definiti, identificativi di una particolare razza, hanno visto gli allevatori di queste razze intenti a incrociare tra di loro animali più o meno strettamente correlati (inbreeding), aumentando l’insorgenza di mutazioni dannose o potenzialmente dannose e, quindi, a scapito della salute stessa della razza canina. Nei cani da “lavoro” così come ai tempi di Balto, invece, gli allevatori selezionano caratteri utili alla resistenza degli individui non preoccupandosi di mantenere una coerenza o dei canoni estetici, a quanto pare mantenendo così in salute la popolazione di questi cani. Ma Balto ed i suoi coetanei avevano qualcosa in più anche rispetto ai cani da “lavoro” odierni: nel genoma di Balto, infatti, i ricercatori hanno scoperto varianti genetiche nuove, comuni tra i cani da lavoro del tempo come testimoniato dalla loro omozigosità.  Studi su patologie umane ci dicono che varianti di questi geni potrebbero aver avuto implicazioni sullo sviluppo di ossa ed epitelio includendo lo sviluppo delle articolazioni, la coordinazione, il peso e lo spessore della pelle, e conferendo forse a Balto e i suoi contemporanei, un vantaggio nelle dure condizioni climatiche dell’Alaska di inizio novecento. Nel genoma di Balto potrebbe quindi risiedere il segreto della forza, tenacia ed incredibile resistenza di questi animali, utilizzati per tutta la prima parte del novecento come mezzo di locomozione tra i ghiacci dell’artico e dell’antartico.

Riferimenti:
Katherine L. Moon et al.,​Comparative genomics of Balto, a famous historic dog, captures lost diversity of 1920s sled dogs. Science380,eabn5887(2023). DOI:10.1126/science.abn5887 Immagine: University of Washington, Public domain, via Wikimedia Commons