Occhio per occhio
Da quando ho scritto questo libro (non preoccupatevi, non ce n’è quasi più in giro), mi sono interessato alla biologia ed evoluzione del mimetismo animale e vegetale. In particolare mi incuriosiva la “nascita” degli occhi finti, perché non riuscivo a farmi tornare i conti. Le farfalle o altri insetti che avevano evoluto gli occhi finti, come quella della foto, dovevano […]
Da quando ho scritto questo libro (non preoccupatevi, non ce n’è quasi più in giro), mi sono interessato alla biologia ed evoluzione del mimetismo animale e vegetale. In particolare mi incuriosiva la “nascita” degli occhi finti, perché non riuscivo a farmi tornare i conti. Le farfalle o altri insetti che avevano evoluto gli occhi finti, come quella della foto, dovevano basarsi su qualche tipo di paura innata degli occhi (o di qualsiasi struttura ad essi simile), mi dicevo, anche se i manuali insistevano che molto probabilmente la paura degli occhi, come “rappresentanti” dei predatori, era appresa.
È quindi con soddisfazione che leggo un articolo su Pnas che dice proprio questo. Il lavoro, intitolato “A tropical horde of counterfeit predator eyes“, prende in esame un numero molto elevato di bruchi e pupe di farfalle tropicali e giunge a una conclusione diversa da quella dei libri di testo. Cioè che gli uccelli o altri predatori che devono imparare quanto pericolosi possano essere due occhi che spuntano dalle foglie della foresta finiscono morti. E che quindi l’apprendimento non è alla base dell’avoidance da parte dei cacciatori di bruchi. Gli autori arrivano a questa conclusione non con esperimenti singoli, ma collazionando numerosi lavori scientifici a favore della propria tesi ed elencando una serie di osservazioni (ragionevoli, devo dire) che confermerebbero l’assunto. Per esempio che, contrariamente al classico mimetismo batesiano, ci sono molti più occhi finti che occhi veri (di predatori come i serpenti, per esempio) per ogni ettaro di foresta. O che non tutti gli “occhi” dei bruchi sono perfette rappresentazioni degli occhi veri, e che quindi la verosimiglianza non è affatto un criterio utile per giudicare queste strutture; insomma, funzionano anche due macchie rosse.
L’ipotesi generale è che nelle foreste tropicali (loro l’hanno studiato in un’area del Costa Rica) ci sia un’immensa rete di complessi mimetici che usano gli occhi come strumento, “sostenuti” dal fatto che i predatori di bruchi (uccelli in particolare) rispondono alla presenza degli occhi in maniera automatica e istintiva – se posso usare un termine un po’ desueto. Anche se alcune specie di predatori sono tutt’altro che ingannabili, bastano pochi uccelli un po’ più stupidi del normale (il termine è usato da loro) per far evolvere e mantenere la rete di mimetismi e la nascita di occhi finti.
Un’ultima nota riguarda il linguaggio usato dagli autori: iniziare un articolo scientifico con “You are a 12-gram, insectivorous, tropical rainforest bird, foraging inshady, tangled, dappled, rustling foliage where edible caterpillar and other insects are likely to shelter” non è proprio comune. Complimenti agli autori.
Da Leucophaea, il blog di Marco Ferrari
È quindi con soddisfazione che leggo un articolo su Pnas che dice proprio questo. Il lavoro, intitolato “A tropical horde of counterfeit predator eyes“, prende in esame un numero molto elevato di bruchi e pupe di farfalle tropicali e giunge a una conclusione diversa da quella dei libri di testo. Cioè che gli uccelli o altri predatori che devono imparare quanto pericolosi possano essere due occhi che spuntano dalle foglie della foresta finiscono morti. E che quindi l’apprendimento non è alla base dell’avoidance da parte dei cacciatori di bruchi. Gli autori arrivano a questa conclusione non con esperimenti singoli, ma collazionando numerosi lavori scientifici a favore della propria tesi ed elencando una serie di osservazioni (ragionevoli, devo dire) che confermerebbero l’assunto. Per esempio che, contrariamente al classico mimetismo batesiano, ci sono molti più occhi finti che occhi veri (di predatori come i serpenti, per esempio) per ogni ettaro di foresta. O che non tutti gli “occhi” dei bruchi sono perfette rappresentazioni degli occhi veri, e che quindi la verosimiglianza non è affatto un criterio utile per giudicare queste strutture; insomma, funzionano anche due macchie rosse.
L’ipotesi generale è che nelle foreste tropicali (loro l’hanno studiato in un’area del Costa Rica) ci sia un’immensa rete di complessi mimetici che usano gli occhi come strumento, “sostenuti” dal fatto che i predatori di bruchi (uccelli in particolare) rispondono alla presenza degli occhi in maniera automatica e istintiva – se posso usare un termine un po’ desueto. Anche se alcune specie di predatori sono tutt’altro che ingannabili, bastano pochi uccelli un po’ più stupidi del normale (il termine è usato da loro) per far evolvere e mantenere la rete di mimetismi e la nascita di occhi finti.
Un’ultima nota riguarda il linguaggio usato dagli autori: iniziare un articolo scientifico con “You are a 12-gram, insectivorous, tropical rainforest bird, foraging inshady, tangled, dappled, rustling foliage where edible caterpillar and other insects are likely to shelter” non è proprio comune. Complimenti agli autori.
Da Leucophaea, il blog di Marco Ferrari