Omosessualità umana (maschile): quanto è lontana la soluzione del paradosso?
La persistenza, nei tempi storici ed evolutivi, di una minoranza omosessuale all’interno di società umane a maggioranza eterosessuale, è un fatto che non può fare a meno di stupire chiunque se ne intenda un poco di selezione naturale. Quelle che fino a qualche tempo fa erano soltanto delle ragionevoli assunzioni, sono ora delle certezze suffragate da dati empirici: 1) l’orientamento […]
La persistenza, nei tempi storici ed evolutivi, di una minoranza omosessuale all’interno di società umane a maggioranza eterosessuale, è un fatto che non può fare a meno di stupire chiunque se ne intenda un poco di selezione naturale. Quelle che fino a qualche tempo fa erano soltanto delle ragionevoli assunzioni, sono ora delle certezze suffragate da dati empirici: 1) l’orientamento omosessuale (più in generale, sessuale) di un individuo è condizionato, in buona parte, da fattori ereditari; e 2) gli omosessuali tendono a generare molti meno figli rispetto agli eterosessuali. Tenendo conto di questi due fatti, ci aspetteremmo che la selezione naturale elimini gradualmente i fattori ereditari predisponenti all’omosessualità, e che la frazione di omosessuali all’interno delle popolazioni si riduca sempre più nel corso delle generazioni. Invece no: come dicevamo all’inizio, gli omosessuali rappresentano sì una minoranza, ma una minoranza che sembra mantenersi stabile nel tempo. Com’è possibile ciò? La difficoltà, tra gli addetti ai lavori, è nota come ‘paradosso dell’omosessualità’, e non si pone soltanto per la nostra specie, ma anche per molte altre specie animali, anche se qui discuteremo soltanto di omosessualità negli esseri umani e nei maschi in particolare. L’attenzione dei ricercatori, infatti, si è focalizzata sull’omosessualità maschile, rispetto alla quale l’omosessualità femminile intrattiene dei rapporti che attendono ancora di essere chiariti: non è chiaro, cioè, se i due tipi di omosessualità siano due fenomeni distinti oppure due facce di una stessa medaglia.
Tra le ipotesi che sono state avanzate per risolvere il paradosso dell’omosessualità umana maschile, quella che risulta ad oggi maggiormente accreditata è nota come ‘ipotesi della selezione bilanciante’. Secondo tale ipotesi, i maschi omosessuali tenderebbero sì ad avere meno figli rispetto ai maschi eterosessuali, ma tenderebbero anche, in compenso, ad avere più parenti. La trasmissione, da una generazione all’altra, dei fattori ereditari predisponenti all’omosessualità, sarebbe così mediata, non tanto dai figli, quanto piuttosto dagli altri parenti degli omosessuali. La suddetta ipotesi è stata corroborata da una quantità di studi; studi diversi, però, hanno dato risultati diversi sulla distribuzione dei parenti in eccesso degli omosessuali: alcuni hanno riscontrato il surplus di parenti soltanto nella linea materna degli omosessuali; altri, soltanto nella linea paterna; ed altri ancora, in entrambe le linee. La questione delle linee non è affatto trascurabile, dato che una sua definitiva risoluzione potrebbe fornire indicazioni sull’esatta collocazione dei suddetti fattori (sugli autosomi o sui cromosomi sessuali? nel secondo caso, sul cromosoma X o su quello Y?).
Lo sviluppo di un fenotipo omosessuale, comunque, dipende solo in parte da fattori ereditari; oltre a questi, infatti, ci sono senz’altro numerosi altri fattori, non ereditari, che influenzano le probabilità che un individuo sia o no omosessuale. Uno di questi fattori non ereditari è stato individuato da numerosi studi, tutti concordi nel documentare un cosiddetto ‘effetto dell’ordine di nascita fraterno’: la probabilità che un maschio sia omosessuale, parrebbe che aumenti all’aumentare del numero di fratelli maggiori dell’individuo in questione; in altre parole, se una donna genera un maschio dopo averne generati già altri, quello ha più probabilità di risultare omosessuale, e tali probabilità sono tanto più alte quanto maggiore sia il numero di maschi generati in precedenza dalla donna.
Un altro approccio ancora allo studio dell’omosessualità maschile è consistito nella ricerca di eventuali correlati fenotipici di tale orientamento sessuale. L’attenzione dei ricercatori si è focalizzata su due caratteri: la mano prediletta nello svolgere il maggior numero di mansioni (l’essere, cioè, destrimani o mancini), ed il senso di rotazione nel quale crescono i capelli (orario od anti-orario). I risultati di tali studi, però, non sono stati affatto unanimi: benché alcuni abbiano trovato una correlazione positiva tra omosessualità e mancinismo, oppure tra omosessualità e senso di rotazione dei capelli anti-orario, altri non hanno riscontrato la benché minima regolarità di associazione.
Come si vede, lo studio evoluzionistico dell’omosessualità umana maschile è un campo contraddistinto ancora da molte incertezze. Gli studi sull’argomento non mancano, ma essi sono spesso parziali e condotti su campioni diversissimi tra loro, il che complica il confronto e la valutazione dei risultati ottenuti. Perfettamente consapevole di queste problematiche, un gruppo di ricercatori statunitense ha recentemente condotto uno studio di più ampio respiro, nel quale si è lavorato su di un campione di dimensioni ragguardevoli e si è cercato di controllare più variabili contemporaneamente.
I ricercatori si procurarono un campione di 1.588 uomini, di cui 894 eterosessuali e 694 omosessuali, reclutandoli in occasione di manifestazioni pubbliche tenutesi in diverse località degli Stati Uniti e del Canada tra il 2006 ed il 2007. Le informazioni utili furono raccolte dai ricercatori somministrando un questionario ai partecipanti e sottoponendo questi ad una ispezione diretta (per reperire l’informazione sul senso di rotazione dei capelli). Analizzando statisticamente i dati così ottenuti, i ricercatori hanno potuto confermare alcune delle scoperte presenti, tra quelle annunciate nella letteratura precedente, e smentirne altre.
La prima conferma fu che l’omosessualità presenta famigliarità, indipendentemente, peraltro, dal tipo di linea: tra i parenti (sia paterni che materni) degli omosessuali, infatti, il tasso di omosessualità risultò maggiore di quello registrato tra i parenti (sia paterni che materni) degli eterosessuali. Non solo: tra i più numerosi parenti omosessuali dei soggetti omosessuali, risultarono esserci non solo uomini, ma anche donne, a suggerire che l’omosessualità maschile e quella femminile possano essere davvero caratteri che varrebbe la pena di studiare congiuntamente.
Le due più importanti conferme, però, furono quella dell’ipotesi del bilanciamento e quella dell’effetto dell’ordine di nascita fraterno: gli omosessuali, infatti, risultarono avere più parenti (diversi dai figli, che avevano invece in quantità minore) rispetto agli eterosessuali, sia nella linea paterna che in quella materna; e fu riscontrata una correlazione positiva tra soggetti omosessuali e soggetti con il più alto numero di fratelli maggiori.
Questo per quanto riguarda le conferme; sul fronte delle smentite, invece, lo studio non ha evidenziato alcuna correlazione, né a due né tantomeno a tre, tra mano preferita, senso di rotazione dei capelli ed orientamento sessuale.
Se c’è una lezione che potremmo e dovremmo trarre da questo studio, essa è sicuramente la seguente: il significato evoluzionistico dell’omosessualità, nell’uomo, è ancora ben lungi dall’essere pienamente compreso.
Alessandro Rocca
Riferimenti
Schwartz, G. et al. Biodemographic and Physical Correlates of Sexual Orientation in Men (2010); Arch. Sex. Behav. 39, 93-109 (DOI 10.1007/s10508-009-9499-1)