Partenza anticipata
Sull’ultimo numero di Nature un interessante editoriale (“Pink salmon evolve to migrate earlier in warmer waters“) cerca di attirare l’attenzione su un articolo comparso sui Proceedings of the Royal Society B (“Genetic change for earlier migration timing in a pink salmon population“), dove si dimostra come il patrimonio genetico possa cambiare (=evoluzione) per permettere ad una specie di adattarsi ai […]
Sull’ultimo numero di Nature un interessante editoriale (“Pink salmon evolve to migrate earlier in warmer waters“) cerca di attirare l’attenzione su un articolo comparso sui Proceedings of the Royal Society B (“Genetic change for earlier migration timing in a pink salmon population“), dove si dimostra come il patrimonio genetico possa cambiare (=evoluzione) per permettere ad una specie di adattarsi ai cambiamenti dell’ambiente.
Si tratta della descrizione di una scoperta ottenuta solo studiando per 40 anni una popolazione di salmoni rosa che si riproduce in un fiume dell’Alaska, l’Auke Creek; nel patrimonio genetico di alcuni di questi individui era stato inserito negli anni ’80 un marcatore genetico che permetteva di distinguere i salmoni che migravano prima rispetto agli altri.
Si è scoperto che i salmoni oggi risalgono la corrente per deporre le uova con due settimane di anticipo rispetto a 40 anni prima, e che il fiume ha una temperatura maggiore di più di 1 grado rispetto a 40 anni prima. Grazie al marcatore genetico si è potuto verificare che che non si trattava di plasticità fenotipica (come avviene per il fenomeno del secular trend che ha portato, ad esempio in Italia, ad un aumento medio della statura di 10 cm in un secolo, 2,5 cm per generazione), ma proprio di un adattamento genetico, con un sempre maggior successo riproduttivo, e quindi una maggior frequenza delle forme che risalgono prima il fiume.
Si tratta quindi, essendo un cambiamento di frequenze alleliche, di un caso evidente di evoluzione, come si legge in ogni testo di biologia delle superiori. La conseguenza è stata (e anche questo dato è stato osservato) che è rimasto costante il numero complessivo di individui della popolazione, pur in presenza di variazioni nelle condizioni ambientali.
Questo è avvenuto in un tempo tanto breve (40 anni) da poter dimostrare che si è trattato di fenomeni evolutivi che modificano la composizione genetica della popolazione. L’articolo è importantissimo in quanto dimostra in modo convincente come purtroppo sia molto difficile poter analizzare ìn natura i diversi fattori (biologici, fisici e ambientali) che agiscono nel momento in cui avviene un meccanismo evolutivo. E’ evidente che questi rimarranno sempre esempi piuttosto rari ma indispensabili per permettere alle persone intelligenti di capire come anche eventi simili avvenuti nel passato possano – ma soprattutto debbano – essere spiegati.
L’editoriale su Nature rimanda poi ad altri articoli, recenti e di qualche anno fa, che presentano dati scientifici provati che confermano l’esistenza di meccanismi adattativi ai cambiamenti climatici: “Climate change linked to shrinking leaves” (un fenomeno che avviene in Australia), “Global warming wrecks moths’ rhythm“, “Warming world altering thousands of natural systems” (Il riscaldamento globale influenza circa 30000 fenomeni biologici e fisici).
Da L’Antievoluzionismo in Italia, il blog di Daniele Formenti