Perché ridiamo. Alla scoperta delle origini del riso tra etologia e neuroscienze
Il neuroscienziato Fausto Caruana e l’etologa Elisabetta Palagi ci guidano nella comprensione di questo comportamento attraverso un approccio naturalistico ed evoluzionista.
Titolo: Perché ridiamo. Alle origini del cervello sociale.
Autore: Fausto Caruana, Elisabetta Palagi
Editore: il Mulino
Anno: 2024
Pagine: 184
Isbn: 9788815389367
Ridere è una cosa seria. Ne era convinto Jorge da Burgos, monaco anziano ed erudito, personaggio del romanzo di Umberto Eco Il nome della rosa, che discorreva dell’argomento con Guglielmo da Baskerville, frate francescano giunto in un monastero benedettino, nel XIV secolo, per incontrare la delegazione del Papa e, già che c’era, indagare su una serie di omicidi.
«’Mi chiedo’, disse Guglielmo, ‘perché siate tanto contrario a pensare che Gesù abbia mai riso. Io credo che il riso sia una buona medicina, come i bagni, per curare gli umori e le altre affezioni del corpo, in particolare la melanconia’.
‘I bagni sono cosa buona’, disse Jorge, ‘e lo stesso Aquinate li consiglia per rimuovere la tristezza, che può essere passione cattiva quando non si rivolga a un male che possa essere rimosso attraverso l’audacia. I bagni restituiscono l’equilibrio degli umori. Il riso squassa il corpo, deforma i lineamenti del viso, rende l’uomo simile alla scimmia’.
‘Le scimmie non ridono, il riso è proprio dell’uomo, è segno della sua razionalità’, disse Guglielmo».
Leggendo Perché ridiamo. Alle origini del cervello sociale scritto dal neuroscienziato Fausto Caruana e dall’etologa Elisabetta Palagi (il Mulino, 2024) sorriderete, per l’appunto, di questo dialogo: scoprirete che per circa duemila anni abbiamo tentato di comprendere le origini della risata, che anche le scimmie e altri animali ridono e che non è per niente semplice capire ciò che accade nel nostro cervello quando lo facciamo.
Quando abbiamo iniziato a chiederci perché ridiamo?
Di teorie sul riso parlavano già Platone e Aristotele. Quest’ultimo aveva dedicato un’opera, la Poetica, alla tragedia e all’epica e in molti, nel corso dei secoli, avevano ipotizzato la presenza di un secondo libro in cui il filosofo avrebbe approfondito la commedia e l’arte del riso. Proprio questo testo, probabilmente inesistente, era il fulcro delle vicende raccontate da Eco nel suo romanzo. In due millenni, filosofi e scienziati hanno cercato di venire a capo di questo mistero, elaborando numerose ipotesi che convergono principalmente in tre teorie: la teoria della superiorità, la teoria dell’incongruenza e la teoria del sollievo.
La prima teoria asserisce che il riso scaturisca da un senso di superiorità verso altri individui. La comicità legata a personaggi come Fantozzi o Mr. Bean potrebbe corroborare tale ipotesi, che lo stesso Aristotele sosteneva. Ma il solo pensiero degli scambi di sorrisi tra madre e figlio nei primati umani e non umani mostra le lacune di questa prima lettura.
C’è poi la teoria dell’incongruenza, secondo cui ridiamo per un’aspettativa disattesa. Siamo a letto, sentiamo dei rumori provenire dalla cucina e ci alziamo temendo di trovare un ladro in casa, per poi scoprire che è solo il nostro cane che sta gustando qualche piccola bontà che abbiamo incautamente lasciato sul tavolo. E così scoppiamo in una fragorosa risata. Questa versione si accorda con le riflessioni di filosofi come Arthur Schopenhauer e Daniel Dennett e riconduce il riso a un fenomeno cognitivo di alto livello, spiegazione che allontana da un’interpretazione evoluzionista.
Infine, c’è la teoria del sollievo per cui il riso viene evocato da un improvviso rilascio di energia da parte del nostro sistema nervoso, dopo un momento di tensione. L’esempio precedente è calzante anche in questo caso: la paura di trovare un ladro in casa che si scioglie alla vista dello sguardo “colpevole” del nostro cane, beccato con le zampe nella marmellata. Questa ipotesi si basa su concetti di psicologia e fisiologia superati e ne troviamo tracce in autori del passato come Charles Darwin e Sigmund Freud.
Le tre teorie danno, però, per scontato che solo l’essere umano sia capace di ridere, proprio come asseriva frate Guglielmo. Oggi sappiamo che non è così.
Il riso non è solo umano
Ritroviamo il riso in altri primati come scimpanzé, gorilla e bonobo, ma anche in cani e iene. Queste ultime, ad esempio, vivono in gruppi sociali dalle relazioni complesse e le attività ludiche servono loro per costruire relazioni. Giocano sia i cuccioli, sia gli adulti, e mostrano espressioni rilassate a bocca aperta per comunicare le proprie buone intenzioni e diminuire il rischio di una svolta aggressiva nei giochi di lotta.
I bonobo ridono quando giocano, quando provano piacere nel compiere una determinata azione, come fare capriole o altre acrobazie, o quando fanno sesso (soprattutto tra femmine).
Ridere insieme è piacevole, crea intesa, è l’ingrediente per sviluppare relazioni sociali durature negli animali non umani come in quelli umani. Dagli studi etologici e dai dati raccolti dalle neuroscienze esposti nel testo emerge una teoria dell’interazione sociale basata su un approccio evoluzionista e naturalistico.
Un approccio naturalistico ed evoluzionista alla risata
Secondo la teoria dell’interazione sociale, il riso è:
«[…] un comportamento animale complesso che assolve ancestrali funzioni sociali — stringere legami, promuovere il gioco e le interazioni cooperative, diminuire la tensione — che condividiamo con molte altre specie animali».
Fausto Caruana ed Elisabetta Palagi ci guidano passo dopo passo nella comprensione delle origini del riso, partendo da un punto di vista neuroetologico, raccontandoci delle osservazioni svolte nel regno animale negli scorsi decenni e fornendoci un filo d’Arianna nel dedalo del funzionamento del nostro cervello, tra esperimenti impossibili e nuovi metodi di analisi. Una narrazione — arricchita da prospettive filosofiche, linguistiche e di psicologia sociale — che sembra portarci sempre più vicino al disvelamento del mistero del riso.
Chissà cosa avrebbe pensato Guglielmo da Baskerville nel sapere che Jorge da Burgos aveva in qualche modo ragione nel dire che «Il riso squassa il corpo, deforma i lineamenti del viso, rende l’uomo simile alla scimmia». Probabilmente si sarebbe fatto una irriverente risata.
Laureata in Scienza e Tecnologie per la Diagnostica e Conservazione dei Beni Culturali, dottoressa di ricerca in Geomorfologia e Dinamica Ambientale, è infine approdata sulle rive della comunicazione. Giornalista pubblicista dal 2014, racconta storie di animali umani e non umani e dell’ambiente in cui vivono. Potete ascoltare i suoi consigli di lettura sul canale Telegram Il Trilobite legge o iscrivervi alla sua newsletter Foglie sparse, in cui troverete riflessioni su natura, animali, scienza e comunicazione.