Pochi Neandertal per un grande continente

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Sono arrivati prima di noi nel Vecchio Continente e fino ad oggi sono quelli che lo hanno abitato più a lungo, ma nonostante questo incontrare un uomo di Neandertal in quell’epoca sarebbe stata egualmente un’impresa, o perlomeno lo studio condotto presso il Max Planck Institute of Evolutionary Anthropology di Leipzig da Svante Pääbo e Adrian Briggs e pubblicato su Science […]

Sono arrivati prima di noi nel Vecchio Continente e fino ad oggi sono quelli che lo hanno abitato più a lungo, ma nonostante questo incontrare un uomo di Neandertal in quell’epoca sarebbe stata egualmente un’impresa, o perlomeno lo studio condotto presso il Max Planck Institute of Evolutionary Anthropology di Leipzig da Svante Pääbo e Adrian Briggs e pubblicato su Science sembra dirci questo.

I due scienziati, famosi per aver messo a punto nuove tecniche per studiare mtDNA e DNA raccolti da reperti fossili (in particolare questo studio è stato reso possibile da una nuova tecnica, la primer extension capture, ideata da Briggs e molto meno costosa delle precedenti) e per aver lavorato a lungo al progetto genoma Neandertal, hanno analizzato i resti di sei individui vissuti tra i 70.000 e i 35.000 anni fa, l’ultimo periodo che ha visto la presenza Neandertal in Europa, e provenienti da diverse aree dell’Europa in cerca di informazioni riguardanti la variabilità genetica della nostra specie sorella. Da tempo si era ipotizzato che una delle possibili cause (o concause) della scomparsa di Homo neanderthalensis fosse da legare ad un basso tasso di fecondità o in generale a una scarsa presenza numerica, e scavi archeologici oltre che le analisi del DNA mitocondriale già effettuate avevano permesso di intuire come i Neandertal non vivessero in comunità molto numerose; la ricerca di Pääbo e colleghi non è quindi rivoluzionaria, ma è certamente la più completa e dirimente mai svolta finora in questo ambito.

In particolare, la variabilità genetica nel DNA mitocondriale di questa specie, solo 55 basi su 16000 tra i sei esemplari studiati, appare nel lavoro del gruppo di ricerca tre volte meno cospicua di quella presente negli uomini moderni, il che porta loro a stimare in circa 3500 gli individui di sesso femminili (più altrettanti maschili) presenti contemporaneamente in quel lungo periodo di tempo, e forse per tutta la storia di questa specie. Una stima del genere avrebbe una curiosa implicazione: i Neandertal sarebbero stati una specie a rischio praticamente dalla loro comparsa o comunque molto prima del nostro arrivo in Europa. In realtà gli stessi autori ammettono che il numero esiguo di campioni analizzati e il fatto che il DNA utilizzato fosse di tipo mitocondriale potrebbero aver portato a un risultato troppo basso, e una nuova stima ottenuta mediante un confronto con la popolazione finlandese attuale ha portato a un risultato leggermente maggiore: 70.000 individui, ad ogni modo ancora pochi.

Non sono mancate le critiche a questo studio, in particolare l’antropologa Anna Degioanni dell’università del Mediterrano di Marsiglia fa notare come la porzione di DNA mitocondriale utilizzata per la ricerca sia poco soggetta a mutazioni rispetto ad altre, che però si sposa bene con uno scenario già dedotto da altre tipologia di dati. Insomma, forse la stima è esageratamente bassa, ma all’interno di quel complicato puzzle riguardante la scomparsa dell’uomo di Neandertal il tassello del loro scarso numero è con tutta probabilità uno dei più rilevanti, e lo studio di Pääbo e Briggs permette certo di dare ad esso una forma più precisa.

Marco Michelutto


Riferimenti:
Adrian W. Briggs, Jeffrey M. Good, Richard E. Green, Johannes Krause, Tomislav Maricic, Udo Stenzel, Carles LaluezaFox,
Pavao Rudan, Dejana Brajkovi , eljko Ku an, Ivan Gu i , Ralf Schmitz, Vladimir B. Doronichev, Liubov V. Golovanova, Marco de la Rasilla, Javier Fortea, Antonio Rosas, Svante Pääbo, Targeted Retrieval and Analysis of Five Neandertal mtDNA Genomes, Science Vol. 325. no. 5938, pp. 318 321