Polvere e ossa: la guerra di due paleontologi alla scoperta di nuovi mondi

imgonline com ua twotoone

Abbiamo chiacchierato dei retroscena di questa storia con Gabriele Ferrari, paleontologo, giornalista e autore del libro “Polvere e ossa. Edward Drinker Cope e Othniel Charles Marsh, due paleontologi a caccia di dinosauri nel Far West”.



Titolo:
Polvere e ossa. Edward Drinker Cope e Othniel Charles Marsh, due paleontologi a caccia di dinosauri nel Far West
Autori: Gabriele Ferrari
Editore: Codice edizioni
Anno: 2023
Pagine: 272
Isbn: 9791254500767

Sherlock Holmes e Moriarty, Spiderman e Goblin, Achab e Moby Dick. Molte delle storie che ci hanno tenuti incollati alle pagine di un libro — o a uno schermo — hanno la forma e il ritmo di un conflitto aperto, dell’incontro con una nemesi che cambierà per sempre la vita dei protagonisti. È incredibile pensare, però, che contrapposizioni così forti possano esistere non solo nel mondo reale, ma persino in quello scientifico. Stiamo parlando di quella che fu la guerra combattuta nella seconda metà dell’Ottocento, nel lontano Ovest statunitense, che tutti siamo abituati a conoscere come Far West, tra Edward Drinker Cope e Othniel Charles Marsh, due paleontologi a caccia di conoscenza e gloria. L’ha raccontata Gabriele Ferrari nel suo libro Polvere e ossa. Edward Drinker Cope e Othniel Charles Marsh, due paleontologi a caccia di dinosauri nel Far West (Codice edizioni, 2023).

Per cinquant’anni Cope e Marsh fecero a gara a chi accumulava più fossili e pubblicava più studi, spendendo considerevoli quantità di denaro per farlo e sabotandosi a vicenda. Fu una rivalità feroce, che coinvolse anche personaggi mitici come Buffalo Bill, il Generale Custer e Toro Seduto, consumatasi sullo sfondo dell’esplorazione del vecchio West. Una storia che un paleontologo che scrive anche di cinema, come l’autore del libro, non poteva non raccontare.
«Marsh e Cope li conoscevo perché, avendo studiato paleontologia, erano per me due nomi noti: la loro storia è una di quelle che ti raccontano sempre poiché è abbastanza assurda, quindi mi sono messo a fare ricerche più approfondite su di loro e mi sono reso conto, appunto, che questa storia aveva una qualità cinematografica, letteraria. — spiega Ferrari — Il modo in cui si sono svolti gli eventi, la struttura narrativa della loro guerra, sembra veramente scritta per un film. Infatti ho diviso il libro in tre atti che seguono proprio la divisione classica dei film o delle opere teatrali, non ho dovuto inventare nulla».

Edward Drinker Cope e Othniel Charles Marsh effettivamente sembrano in qualche modo disegnati per essere nemici: il primo belloccio e intraprendente, l’altro metodico e introverso. Nonostante abbiano due caratteri che evidentemente appaiono facili allo scontro, il motivo di una contrapposizione così profonda rimane un mistero.
«È un mistero perché ci sono un sacco di risposte perfettamente plausibili e probabilmente, come negli eventi ecologici, non c’è una singola causa ma delle concause che sono caratteriali, come ad esempio le diverse estrazioni sociali, anche il diverso modo di stare in società. Sembrava che fossero fatti apposta per essere sempre l’uno l’opposto dell’altro su tutto — l’autore aggiunge — Secondo me, alla fine, il dettaglio decisivo potrebbe essere che entrambi volessero primeggiare. Ho aperto il libro, con estrema arroganza, con una citazione di Cormac McCarthy: si parla di orsi che danzano, di quelli che stanno sul palco e quelli che non ci sono. Nell’America in cui vivevano Marsh e Cope, in quell’ambiente scientifico, non c’era posto per due orsi sul palco».

Polvere e ossa parla di nuovi mondi: la paleontologia a quei tempi era un nuovo mondo, una disciplina giovane e tutta da costruire; il Far West era un orizzonte altrettanto nuovo e gli studi di Marsh e Cope svelarono mondi sconosciuti come quelli dominati dai dinosauri o quelli che hanno visto l’esplosione dei mammiferi. Tutto questo si fonde con la missione dei due scienziati:
«Nel popolo americano c’era la sensazione che questa terra nuova fosse loro per diritto divino, ma sapevano anche che aveva un lungo passato alle spalle di cui loro non conoscevano ancora nulla. Per cui, scoprire che oltre 200 milioni di anni prima ci fossero i draghi volanti, sottomarini e terrestri contribuiva in grande misura al fascino di questo territorio ignoto, a farlo conoscere meglio e quindi, secondo me, Marsh e Cope si sentivano proprio come dei pionieri del passato».

Fu la teoria del Destino Manifesto, ideata dallo storico statunitense Frederick Jackson Turner, per cui la colonizzazione degli Stati Uniti era una missione, a guidare in qualche modo anche Marsh e Cope, rendendoli complici dello sfruttamento del territorio e del genocidio dei nativi. In questo caso, e non per la prima volta, il progresso scientifico si scontra con la morale e con l’etica.
«È stato ovviamente l’argomento più delicato di tutto il libro: da un lato quella che sto raccontando è una storia di bianchi che fanno i coloni e quindi è riportata dal loro punto di vista. Raccontare una storia coloniale, ovviamente, non vuol dire essere d’accordo con il colonialismo e io ho cercato di problematizzare la situazione ogni volta che potevo». È un territorio complesso che Gabriele Ferrari ha attraversato con umiltà, chiarezza e lucidità, narrando delle violenze e dei soprusi subiti dai popoli nativi, ammettendo che le avventure e i successi di Marsh e Cope non sarebbero stati possibili se i nativi non avessero pagato un prezzo di sangue altissimo, ma anche evidenziando che stiamo parlando di un periodo storico con mentalità, conoscenza e consapevolezza molto lontane dall’attuale.

Quest’ultimo è un punto di osservazione importante anche per capire quanto i due protagonisti siano stati influenzati da Charles Darwin e dalla sua teoria dell’evoluzione e se abbiano contribuito in qualche modo a sostenerla.
«È interessante perché, secondo l’interpretazione più diffusa, questo sarebbe in realtà uno degli elementi centrali del contendere tra loro due. — rivela l’autore — La storia ha tramandato questa idea che Marsh fosse un darwinista convinto, mentre Cope fosse un lamarckiano e che quindi si odiassero per questo, perché sostenevano due idee completamente diverse. In realtà è molto più complicato perché, banalmente, entrambi erano lamarckiani all’inizio, come chiunque studiasse evoluzione prima dell’uscita de L’origine delle specie. È vero che Cope non ha mai abbracciato del tutto il darwinismo ed è sempre stato convinto che Darwin spiegasse solo una parte dell’evoluzione, quindi è sicuramente quello che si è dimostrato nel torto con il senno di poi. Marsh, invece, fu conquistato subito da Darwin avendolo studiato con Ernst Haeckel in Germania».
Questo si rifletté anche sulle modalità di raccolta dei fossili durante le loro leggendarie campagne di scavo, infatti
«per esempio, dove Cope era interessato a trovare tutto quello che gli capitava sottomano, Marsh era leggermente più selettivo perché quello che a lui interessava era cercare fossili che servissero a confermare le idee di Darwin. Al tempo ogni fossile poteva essere quello decisivo o comunque un pezzo del puzzle che dimostrava che Darwin aveva ragione. Quindi possiamo dire che Marsh lavorò attivamente per fornire prove alle idee che Darwin aveva espresso nel suo libro e in questo senso il suo contributo è stato decisivo».

Per Cope, invece, ci fu anche la religione ad allontanarlo dalla teoria dell’evoluzione di Charles Darwin:
«Lui era molto più credente di quanto fosse Marsh, era convinto che Dio c’entrasse nell’evoluzione in qualche modo, magari non attivamente, ma che le caratteristiche che ci hanno portato ad evolverci fossero state date da Dio. Era proprio in un vicolo cieco culturale dal quale non sarebbe mai potuto uscire perché Darwin, al tempo, era considerato un’eresia completa».

Man mano che vi perderete tra le pagine di Polvere e ossa, Edward Drinker Cope e Othniel Charles Marsh diventeranno due personaggi sempre più nitidi. La loro rivalità vi farà a volte sorridere, altre riflettere, il luogo e il periodo storico in cui hanno vissuto vi daranno una prospettiva per ripensare al passato e a quanto ad evolvere non siano solo gli esseri viventi ma anche le società. Al termine di questa chiacchierata con Gabriele Ferrari è stato inevitabile domandargli a quali attori farebbe interpretare i ruoli di questi due paleontologi che hanno fatto la storia della disciplina.
«Ho effettivamente già le risposte pronte. — confessa Ferrari — Marsh, secondo me, è Paul Giamatti. Sarebbe stato ottimo anche Philip Seymour Hoffman, ma purtroppo ci ha lasciati. Se guardi le foto di Marsh, ha un po’ il volto di Giamatti: pelato, con la barba, ha sempre gli occhiali da intellettuale e quella faccia da professore, però ha anche, sotto sotto, un caratteraccio. Mentre Cope era un personaggio molto divertente, infatti è quello che ha più di una biografia pubblicata su di lui. Era un bell’uomo e gli piaceva tanto questa cosa, era proprio l’avventuriero ‘figo’; quindi potrebbe essere un Matthew McConaughey. Non so se te lo ricordi quando recitava nelle commedie romantiche: in spiaggia a torso nudo con questi riccioloni. Magari non a torso nudo perché stare nel deserto a torso nudo non è una buona idea, ma con questi capelli vaporosi sì. Cope ci teneva molto, era un vanesio».

Non ci resta che sperare che un produttore di Hollywood compri i diritti di Polvere e ossa per rivedere questi strani eroi della paleontologia sul grande schermo. Nell’attesa, vi consigliamo di leggere il libro.