Proprio non ci capiamo!

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Che le religioni siano un fenomeno storico non c’è alcun dubbio, ma questo è pressoché l’unico punto sul quale è possibile concordare con l’articolo “Ma il cervello è fatto per credere?” di Andrea Lavazza sull’Avvenire, in quanto, tanto per fare un esempio, in un’indagine scientifica non è poi così lecito chiedersi “se si ritiene che esista una “vera” religione rivelata […]

Che le religioni siano un fenomeno storico non c’è alcun dubbio, ma questo è pressoché l’unico punto sul quale è possibile concordare con l’articolo “Ma il cervello è fatto per credere?” di Andrea Lavazza sull’Avvenire, in quanto, tanto per fare un esempio, in un’indagine scientifica non è poi così lecito chiedersi “se si ritiene che esista una “vera” religione rivelata cui assentire per fede”… che cosa si intenda poi per “vera” religione rivelata rimane un mistero epistemologico ancora insoluto.

Tuttavia, è vero che negli ultimi anni si sono moltiplicati nuovi studi sull’evoluzione della spiritualità, strutturandosi sul paradigma evoluzionistico (darwiniano!) ma non sono poi così tanti (come Daniel Dennet ci ricorda nel suo “Rompere l’incantesimo”.

Il nodo gordiano s’aggroviglia a partire dal libro “Nati per credere” di cui quest’articolo sembra insieme farvi una recensione ed il verso. E dire che Lavazza premetta come lo psicologo Vittorio Girotto, il filosofo della scienza Telmo Pievani ed il neuroscienziato Giorgio Vallortigara si siano appuntati di riannodare le sfibrate trame della teoria evoluzionistica in materia di credenza religiosa.

Stupefatti si apprende come “moltissimi cattolici accettino i principi generali della teoria neodarwiniana dell’evoluzione e rifiutino il Disegno Intelligente” evidentemente ignari o confusi dagli altalenanti enunciati della chiesa in materia (?) di evoluzione biologica. Probabilmente l’intelligent design, notoriamente prodotto della cultura evangelica USA, altrettanto notoriamente contraria al cattolicesimo, non sarà accettato dai cattolici ma la sostituzione di una non-specificata-entità-intelligente con la divina provvidenza non renderà certo la loro “alternativa” più appetibile scientificamente.

La “parte più discutibile del volume”, sempre secondo Lavazza, è infatti… esattamente il messaggio centrale che gli Autori desiderano comunicarci! Per Lavazza la credenza nelle religioni NON sarebbe infatti il prodotto un meccanismo più generale che sappiamo esistente in natura, la quasi innominata selezione naturale – e forse la mente NON sarebbe nemmeno un prodotto dell’attività cervello. Le motivazioni di questo diniego risiederebbero nella varietà di culti sorti nel corso della storia (che, mi piace sottolineare, hanno perciò una delimitazione storica) e nel concetto di religione, secondo Lavazza deficitario, in quanto “manca l’elemento del sacro, della trascendenza, dell’alterità di Dio, della reverenza e del timore di fronte ad un essere ben al di là degli agenti causali che i nostri antenati potevano incontrare nella savana”. Tuttavia, il “concetto di religione” qui espresso mi sembrava fosse altro e si chiamasse “fede personale”.

Tuttavia Lavazza sfodera l’asso VIP e ci rassicura, in una sezione di Curiosità, che anche il filosofo Husserl,  anborn again christian ante litteram, asseriva la mente umana incapace di cogliere le “cose in sé” (si legga l’essenza) in quanto prodotto della selezione naturale, ne conseguirebbe quindi che la teoria dell’evoluzione sarebbe paradossale poiché prodotto di un processo contingente e insieme pretesa di descrizione della natura – ma se questo, ahilui, è vero, anche le religioni, con la loro pretesa di “Assoluto” e “Verità”, non sarebbero che “relative” e quindi una “vera” religione rivelata non sarebbe che pia illusione. Senza contare che, in barba ad Husserl e pure a Lavazza, la teoria dell’evoluzione – a differenza delle religioni – è, prima di tutto, un raffinato prodotto di una selezione di teorie scientifiche in competizione, e pertanto descrive la natura in modo estremamente fedele, essendo dotata di potere predittivo, euristico e capace di portare gli scienziati a innovazioni tecniche (si legga: applicazioni nella realtà), come nel campo della medicina e della conservazione della natura.

Ma se è vero che si può sfuggire alla “trappola evoluzionistica del soprannaturalismo” – è ingenuo chiedersi “se il cervello degli autori sia diverso da quello dei credenti (una conclusione obbligatoria visto che secondo la loro posizione il cervello coincide con la mente)” – poiché questo non sequitur significherebbe che le “menti” sarebbero diverse solo in quanto separate da un cervello, che quindi ogni cervello sarebbe inesorabilmente identico. Lavazza, seguendo ligiamente il famigerato argomento da incredulità personale di Dawkins “conclude” che le differenze culturali e cognitive non basterebbero a spiegare la differenza tra un credente ed un ateo, ma d’altronde, si sa, taluni memi sono particolarmente persuasivi nonché duri a morire, specialmente se legati al terrore della dannazione eterna.

Giorgio Tarditi Spagnoli