Prove di cannibalismo nell’Europa paleolitica

Saturno

Un’ estesa ricerca sui resti umani provenienti da un sito occupato da cacciatori-raccoglitori per un breve periodo intorno ai 15.000 anni fa, la cava di Gough nel sudovest dell’Inghilterra, fornisce la prima prova di cannibalismo nel tardo paleolitico europeo

“È meglio riposare in pace nel caldo corpo di un amico piuttosto che nella fredda terra”. Era citato come proverbio delle popolazioni dedite a pratiche antropofaghe nella finzione cinematografica di un noto film italiano del 1980 appartenente a un filone che parlava del cannibalismo. Prima di essere riabilitati come musa ispiratrice di un grande regista come Quentin Tarantino, queste opere erano ritenute di infima qualità dalla critica, ma avevano dimostrato da subito il merito innegabile di riuscire a far parlare di sé, con i pochi mezzi a disposizione, sfruttando una grande fantasia insieme a una certa dose di cinismo.

Se poi dovessero essere estesi ad altri siti i risultati di una ricerca paleoantropologica, condotta da Silvia M. Bello, del Natural History Museum di Londra, nella cava inglese di Gough in collaborazione con ricercatori di varie università inglesi e spagnole e pubblicata sul Journal of Human Evolution, la fantasia degli autori della nota pellicola avrebbe finito per indovinare, senza saperlo, qualcosa di molto più vero e vicino a noi “civilizzati” europei di quanto credessero: secondo la ricerca infatti a praticare il cannibalismo come parte di un rito funerario sarebbero stati proprio i nostri diretti antenati.

La cava
La grotta di Gough fu scoperta nel 1880 e da subito sviluppata come attrazione turistica preistorica, sottoponendola a scavi non supervisionati da archeologi volti a renderla più accessibile. Solo sporadicamente la grotta è stata soggetta a indagini di tipo scientifico volti a recuperare reperti umani e animali. Le datazioni al radiocarbonio dimostrano che la grotta è stata occupata da cacciatori-raccoglitori per un breve periodo (2 o 3 generazioni) intorno a 15.000 anni fa, in corrispondenza di una breve pausa di riscaldamento nel corso dell’ultima glaciazione. I manufatti in pietra rinvenuti possono essere fatti risalire all’ultima grande cultura paleolitica: il magdaleniano.

Indizi indiretti di antropofagia
Molte malattie simili al morbo della mucca pazza (TSE: transmissible spongiform encephalopathie)  si trasmettono consumando il tessuto nervoso di animali o di persone decedute (durante pratiche di cannibalismo). Una versione moderna di queste malattie, detta kuru, affliggeva fino a tempi recenti le popolazioni della Nuova Guinea che avevano l’abitudine di consumare il cervello degli anziani deceduti per acquisirne la saggezza. Una particolare variante genetica di una proteina cerebrale umana rende gli individui che ne sono portatori resistenti alla trasmissione di queste malattie. Non ha quindi sorpreso i ricercatori scoprire una frequenza di questa variante più alta fra gli indigeni della Nuova Guinea. Più sorprendente è il fatto che tutti gli esseri umani moderni, compresi i caucasici, hanno una frequenza di questa variante più alta di quanto ci si potrebbe attendere, dal momento che essa non conferisce alcun vantaggio evolutivo noto, salvo la resistenza alle TSE. Dato che queste malattie sono praticamente sconosciute tra gli erbivori selvatici, e quasi di sicuro lo erano anche tra quelli oggetto di caccia da parte dei nostri antenati prima dell’avvento dell’allevamento, è molto probabile che tutti gli antichi umani siano stati in un qualche momento della loro storia esposti a TSE attrverso il cannibalismo. Il magdaleniano europeo, d’altra parte, è sempre stato un periodo fortemente sospettato di essere caratterizzato da pratiche antropofaghe, visto che i siti occupati da umani anatomicamente moderni, legati a questa cultura, presentano spesso resti di crani ben conservati che a volte mostrano chiare tracce di  lavorazione per trasformarli in contenitori per liquidi. Gli stessi siti presentano invece raramente resti di ossa umane post craniali intere e una grande quantità di frammenti di queste ossa.

Prove dirette
I frammenti ossei provenienti dall’ultima campagna archeologica di scavi organizzata presso la di Gough, e conclusasi nel 1992, sono stati esaminati dagli autori della ricerca che, dopo averli attribuiti con sicurezza alla specie umana e ad una specifica parte anatomica, li hanno esaminati con una lente alla ricerca di segni di alterazioni meccaniche non naturali. I frammenti sui quali erano stati individuati i segni più evidenti di manipolazione sono poi stati sottoposti a un’ indagine più approfondita tramite microscopio ottico a variazione di fuoco e microscopio elettronico a scansione. L’esame ha permesso di ottenere dettagliate ricostruzioni tridimensionali dei segni presenti sulle ossa, del tutto simili a quelli presenti sui resti di animali macellati trovati nel sito, mentre le ricostruzioni della forma degli utensili utilizzati per lasciare questi segni sono pienamente compatibili con gli attrezzi in pietra portati alla luce negli stessi scavi. La prova più incontrovertibile di atti cannibalismo, tuttavia, è la presenza su frammenti di ossa umane di segni che possono essere stati lasciati solo da denti umani nel corso della masticazione.

Forse in tutta Europa
Se i risultati di Bello e colleghi saranno replicati negli altri siti magdaleniani europei avremo non solo la prova definitiva che i nostri antenati paleolitici erano cannibali, ma anche forti indizi di una verità molto più disturbante per quella che è la nostra attuale cultura: la quasi assenza di resti post craniali integri, insieme all’uso dei crani come coppe, ci dicono che probabilmente i riti antropofagi dei magdaleniani erano di riti di endocannibalismo. I resti consumati cioè erano quelli di amici e parenti di chi li consumava. Riti di esocannibalismo (mangiare i nemici uccisi) o di cannibalismo giudiziario (mangiare i trasgressori di una regola sociale) avrebbero infatti lasciato una quantità di resti intatti maggiore. Per quanto possa apparire agghiacciante per il nostro modo moderno di pensare, quindi, l’abitudine di mangiare i resti dei loro morti dei magdaleniani era considerata probabilmente da parte loro un atto di pietà e vicinanza emotiva con il defunto. 

“…Meglio riposare in pace nel caldo corpo di un amico…” Per l’appunto.


Riferimenti: 
Bello, S.M., et al. Upper Palaeolithic ritualistic cannibalism at Gough’s Cave (Somerset, UK): The human remains from head to toe. Journal of Human Evolution (2015)