Quando in Europa c’erano i coccodrilli
Una nuova indagine morfologica su resti rinvenuti e conservati in Spagna avvalora l’ipotesi della presenza di esemplari del genere Crocodylus nell’Europa del Miocene e del Pliocene, arricchendo il mosaico della biodiversità del continente nel Cenozoico.
Era già noto come in Europa, in tempi geologicamente recenti, fossero presenti almeno tre generi di coccodrilli, identificati in base a elementi facilmente riconoscibili quali le ossa del cranio, le mandibole e gli osteodermi (placche ossee caratteristiche dell’ordine Crocodylia): Tomistoma, Diplocynodon e Crocodylus. L’Italia, nello specifico, vanta un numero consistente di resti ossei, in gran parte riconducibili a frammenti del cranio di questi animali.
Le prime prove fossili a sostegno della presenza del genere Crocodylus, che è quello su cui si concentrano gli autori dell’articolo, provengono dal promontorio del Gargano e risalgono al periodo a cavallo tra Miocene e Pliocene. Altri resti, anche in questo caso riconducibili alle ossa craniali e post-craniali, sono stati trovati in Toscana meridionale e sono conservati nelle collezioni dei musei geologici e di storia naturale di Siena, Firenze e Bologna. La terza e, finora, ultima prova della presenza di Crocodylus in Europa è stata rinvenuta a Scontrone, in Abruzzo. Si tratta, peraltro, della più antica oggi disponibile, con fossili risalenti almeno a 9 milioni di anni fa, laddove i più antichi resti africani risalgono “solo” a 7 milioni di anni fa (sebbene l’Europa non sia considerata dagli studiosi il centro di diffusione originario di questo genere).
Altri resti significativi, cioè non limitati ad alcuni denti isolati, sono tuttavia stati ritrovati anche nel territorio spagnolo di Venta del Moro, già noto per altri reperti come quelli del cammello Paracamelus, e sono attualmente conservati al Museo di Storia Naturale dell’Università di Valencia. Lo studio li descrive per la prima volta, dando un ulteriore contributo alla ricostruzione della storia zoologica del continente.
I ricercatori hanno fotografato e misurato resti cranici eterogenei come il giugale (punto di origine di un muscolo implicato nella masticazione, il massetere), l’osso squamosale e numerosi denti, caratterizzati da una notevole variabilità sia dal punto di vista delle dimensioni (dai 6,5 mm ai 39 mm di lunghezza) che della forma (alcuni sono sottili e allungati, altri più grossi e conici). A supporto dell’indagine comparativa vengono riportate anche tre vertebre isolate e un osteoderma. Sebbene frammentari, questi resti permettono di escludere sia l’appartenenza al genere Diplocynodon (più vicino agli alligatori) che al genere Tomistoma (gaviali). La sutura frontoparietale degli appartenenti a Tomistoma, per esempio, è rettilinea, mentre quella dei fossili iberici è profondamente concava. Inoltre, i resti suggeriscono chiaramente come il foramen aereo fosse posto vicino al margine dorsomediale del quadrato, e non nella zona dorsale come in tutti gli alligatoroidi (tra cui Diplocynodon). Per dettagli anatomici sull’ordine Crocodylia, si veda Grigg & Gans (1993).
Sebbene i resti disponibili non possano essere attribuiti con un accettabile grado di sicurezza a una specie (in precedenza si pensava a Crocodylus checchiai) o a un genere, i resti di questi animali sono compatibili con solo uno dei generi di coccodrilli europei finora noti, cioè Crocodylus. E visto che dai resti erano almeno due esemplari, è plausibile che lì si trovasse una popolazione.
L’ipotesi più semplice e accreditata per giustificare la possibile presenza del genere Crocodylus in Europa, ribadendo il fatto che quest’ultimo non ha sicuramente origine nel continente, è quella che propone ripetute fasi di dispersione. La migrazione di coccodrilli provenienti dall’Africa sarebbe avvenuta per attraversamento a nuoto del bacino Mediterraneo, che nel tardo Neogene era più piccolo e costellato da isole. A supporto di ciò, la nota capacità di sopravvivenza di questo genere in acqua salata, il fatto che tutte le località europee con ritrovamenti fossero, nel tardo Miocene, vicine alle rive settentrionali del Mediterraneo e la vicenda parallela e (probabilmente) analoga degli ippopotami del genere Hexaprotodon. Anche questi animali, ritrovati nella penisola iberica, sono verosimilmente giunti sul continente europeo a nuoto a partire dall’Africa. La migrazione per via acquatica, oltre a escludere la necessità di vie terrestri (gli ippopotami, d’altronde, sono stati ritrovati anche a Cipro, in Madagascar e a Creta), sarebbe in questo caso supportata dalla conformazione giovanile di questo taxon e dalla maggiore galleggiabilità garantita dall’acqua salata.
Dalla suggestiva vicenda dei coccodrilli europei è possibile intuire il senso profondo dell’indagine storica sulla vita. Una delle peculiarità dello studio della storia naturale, forse la più significativa in assoluto, risiede infatti nel necessario confronto con la realtà del cambiamento biologico. Il breve intervallo di tempo occupato da una vita umana non è, in genere, sufficiente per garantire l’osservazione di modificazioni ecosistemiche di grande portata, dandoci l’impressione ingannevole di trovarci all’interno di condizioni “fisse”, per esempio per quanto riguarda la distribuzione geografica di determinati gruppi di animali. Ecco allora che anche uno studio di revisione di reperti fossili relativamente scarsi in numero e frammentari nello stato di conservazione è in grado di rappresentare un importante catalizzatore immaginativo, suggerendo ancora una volta l’immagine di un mondo vivente in costante e intensa modificazione.
Questo nuovo tassello, aggiungendosi agli altri già in nostro possesso, dimostra ancora una volta la rilevanza dei grandi fenomeni di spostamento di specie animali sul pianeta. Questi fenomeni, così ricorrenti nella storia della vita, oltre a evidenziare l’importanza delle contingenze geografiche, spingendoci a pensare in maniera alternativa il mondo e la pervasività del cambiamento biologico, costituiscono un carburante irrinunciabile per l’incremento della biodiversità e, in ultima istanza, per l’evoluzione.
Riferimenti:
Delfino, Massimo & Hernández Luján, Àngel & Abella, Juan & Alba, David & Böhme, Madelaine & Perez, Alejandro & Tschopp, Emanuel & Morales, Jorge & Montoya, Plini. 2020. Late Miocene remains from Venta del Moro (Iberian Peninsula) provide further insights on the dispersal of crocodiles across the late Miocene Tethys. Journal of Paleontology 95(1): 184-192. doi: 10.1017/jpa.2020.62.
Grigg, Gordon & Gans, Carl. 1993. “Morphology And Physiology Of The Crocodylia”, in Fauna of Australia 2, editato da C.G.Glasby, G.J.B.Ross e P.L.Beesley. Canberra: AGPS Canberra.
Immagine: D. A. Iurino, CC BY 4.0, via Wikimedia Commons
Sono dottorando presso l’Università di Palermo con borsa Green dedicata a progetti legati al tema della biodiversità. Nella mia attività di ricerca, mi occupo di implementare sistemi complessi biologici con il software NetLogo e di indagarne le dinamiche per mezzo di simulazioni. I miei interessi principali riguardano soprattutto i meccanismi microevolutivi e l’evoluzione della plasticità fenotipica.