Quando le forme di transizione estinsero gli anelli mancanti

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L’ “anello mancante” è una di quelle espressioni che tanto hanno carpito l’immaginazione delle persone al di fuori della scienza, quanto sono inadeguate in termini di logica. L’espressione deriva dai lavori di Ernst Haeckel, che infuse tutta la “Naturphilosophie” tedesca (terribilmente metafisica) nella teoria di Darwin (terribilmente antimetafisica). Siccome Haeckel era più loquace ed istrionico del pacato Darwin, la mancanza […]

L’ “anello mancante” è una di quelle espressioni che tanto hanno carpito l’immaginazione delle persone al di fuori della scienza, quanto sono inadeguate in termini di logica. L’espressione deriva dai lavori di Ernst Haeckel, che infuse tutta la “Naturphilosophie” tedesca (terribilmente metafisica) nella teoria di Darwin (terribilmente antimetafisica). Siccome Haeckel era più loquace ed istrionico del pacato Darwin, la mancanza di “anelli mancanti” nel record fossile fu, fin dalla pubblicazione dell’”Origine delle specie” nel 1859, una delle critiche più spesso rivolte alla “teoria della discendenza con modificazioni”, malgrado le molte parole spese sul concetto nell’Origine.

Il gioco di parole diventa pericoloso nel momento in cui la retorica creazionista s’impossessa di quello che, ad hoc, viene definita come una “lacuna incolmabile della teoria dell’evoluzione”, “una contraddizione autoevidente in grado di distruggere la teoria” se solo gli evoluzionisti se ne accorgessero… D’altro canto gli evoluzionisti insistono che, se solo i creazionisti si accorgessero che l’espressione “anello mancante” la usano solo loro…

Un articolo di Louise S. Mead su Evolution: Education & Outreach spiega in modo più che comprensibile perché le “forme di transizione” non siano gli “anelli mancanti”: siccome l’evoluzione procede localmente nello spazio e nel tempo produce di volta in volta diversificazioni a partire da un antenato comune, producendo un albero genealogico e non una scala naturae. I paleontologi, quando trovano un fossile, non sono in grado di dire se questo sia certamente un antenato in linea diretta di altri taxa, ma certamente possono studiare i suoi caratteri e quindi individuare sia i caratteri rimasti nello stato primitivo, rispetto ad altri taxa simili, sia quelli in stato derivato, cioè trasformato rispetto ad altri taxa simili. In altre parole è possibile sempre studiare chi sia cugino di chi.

Il lavoro di riconoscimento dei caratteri permette poi la costruzione di matrici di taxa e caratteri che vengono poi analizzate secondo metodi di analisi filogenetica. Il risultato sono alberi filogenetici, generalmente cladogrammi (se si usano metodi cladistici). Ai cladogrammi, che mostrano le relazioni di parentela tra taxa, si possono aggiungere figure specifiche per ogni carattere di cui si voglia evidenziare la transizione da uno stato primitivo ad uno derivato: questo diagramma ad albero è chiamato “evogramma”, molto utili nell’educazione, abbinando la logica filogenetica all’immagine.

L’Italia ha un’arretratezza filogenetica notevole. Sarebbe bello vedere nei libri di testo qualche evogramma invece della vetusta gerarchia linneana, che, dopo anni di onorato servizio, merita un pensionamento storico.

Giorgio Tarditi Spagnoli