Quando le tartarughe impararono a nuotare

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Alcuni scienziati della University College London e del Natural History Museum di Londra  sono finalmente riusciti a dare una risposta ad una delle fondamentali questioni riguardanti queste magnifiche creature, ovvero: quando le tartarughe si sono adattate all’ambiente acquatico? Il responso ci è pervenuto grazie ad uno studio effettuato sull’Isola di Skye, situata sulla costa nord occidentale della Scozia. I ricercatori […]

Alcuni scienziati della University College London e del Natural History Museum di Londra  sono finalmente riusciti a dare una risposta ad una delle fondamentali questioni riguardanti queste magnifiche creature, ovvero: quando le tartarughe si sono adattate all’ambiente acquatico? Il responso ci è pervenuto grazie ad uno studio effettuato sull’Isola di Skye, situata sulla costa nord occidentale della Scozia. I ricercatori sono infatti riusciti a trovare, all’interno di una lastra rocciosa, i resti fossilizzati e ben conservati di sei tartarughe. Che cosa c’è dunque di strabiliante in tutto ciò? Il fatto è che si tratta dei fossili di tartaruga più completi finora rinvenuti risalenti al Giurassico Medio (tra i 180 e i 160 milioni di anni fa) e ciò ha consentito di approfondire la storia evolutiva di questi animali dalla loro nascita fino ai giorni nostri.

La specie alla quale i resti in questione appartengono è stata nominata Eileanchelys waldmani. Essa rappresenta un gradino intermedio tra le primitive tartarughe terrestri (tra le quali Proganochelys quenstedti e Kayentachelys aprix), apparse nel Triassico Superiore (circa 210 milioni di anni fa), e le moderne tartarughe d’acqua, di cui il più antico esemplare fossilizzato risale al Giurassico Superiore, in quanto presenta una morfologia intermedia tra queste, contraddistinta da un mosaico di caratteri derivati e plesiomorfici. Le analisi filogenetiche e quelle morfologiche effettuate a livello craniale e postcraniale, hanno messo in evidenza differenze e somiglianze con le tartarughe terrestri primitive e quelle moderne d’acqua. Le peculiarità più evidenti di questa specie sono il vomere ed il guscio dalla forma a cupola, lungo circa trenta centimetri e piuttosto leggero, che la rendono più vicina alle proprietà tipiche delle tartarughe d’acqua che a quelle primitive terrestri (le quali al contrario possedevano un carapace molto pesante, spesso e con sculture a scopo di difesa).

Eileanchelys waldmani, pertanto, copre quel lungo periodo in cui gli scienziati hanno sempre pensato che le tartarughe primitive avessero cominciato ad adattarsi all’ambiente acquatico, ma senza avere in mano un’evidenza fossile a riguardo. Anche la paleocologia di questa specie, ricostruita dagli studiosi, ha fornito ulteriori conferme sul fatto che si trattasse di una specie acquatica; infatti la maggior parte dei resti fossili rinvenuti nel medesimo luogo appartengono a specie tipicamente  adattate all’ambiente marino. I resti, tra l’altro, facevano parte di sedimenti appartenenti ad orizzonti del suolo composti da limi, argille friabili e pietra calcarea, tipici di ambienti rappresentati da lagune a bassa concentrazione salina, laghi e stagni. Inoltre, è importante ricordare che i fossili di Eileanchelys waldmani sono stati recuperati in gran parte ancora articolati (situazione che si manifesta in assenza di trasporto, cioè quando il corpo di un animale deceduto si deposita e fossilizza nell’ambiente in cui vive) e non come accade quando i corpi di animali terrestri vengono trasportati dalle acque dilavanti che ne causano la frammentazione e la seguente deposizione in ambiente acquatico.

Tutte queste informazioni, assieme alle recenti scoperte di fossili di tartarughe avvenute in Argentina (Condorchelys antiqua ) e Russia (Heckerochelys romani), ci permettono di riflettere su come e quando queste creature hanno cominciato a sviluppare una forma idonea al “nuoto”. Ciò che più sorprende è che l’adattamento all’ambiente acquatico di questi animali si è probabilmente verificato ancor prima di quanto ci potessimo aspettare.

Barbara Caselli


Riferimenti:
Jérémy Anquetin, Paul M. Barrett, Marc E. H. Jones, Scott Moore-Fay and Susan E. Evans,
A new stem turtle from the Middle Jurassic of Scotland: new insights into the evolution and palaeoecology of basal turtles; Proceedings of the Royal Society B; doi:10.1098/rspb.2008.1429

Fonte dell’immagine: Wikimedia Commons