Quando non hai lo spazzolino…
Ok, non sarà Mr. Finezza e nemmeno Mr. Universo, ma non ha un faccione tanto simpatico?! Signore e signori, ecco a voi “Bocca che trita, occhio rugoso”! Non sto scherzando, è il suo vero nome! Ma procediamo con ordine.Un team di paleontologi burloni ha recentemente descritto una nuova specie di dinosauro erbivoro sulla base di uno scheletro incompleto trovato nella […]
Ok, non sarà Mr. Finezza e nemmeno Mr. Universo, ma non ha un faccione tanto simpatico?! Signore e signori, ecco a voi “Bocca che trita, occhio rugoso”! Non sto scherzando, è il suo vero nome! Ma procediamo con ordine.
Un team di paleontologi burloni ha recentemente descritto una nuova specie di dinosauro erbivoro sulla base di uno scheletro incompleto trovato nella regione ovest del New Mexico. La nuova specie, soprannominata Jeyawati rugoculus, è stata trovata in rocce che hanno preservato i resti di un ecosistema di una lussureggiante foresta paludosa cresciuta circa 91 milioni di anni fa intorno alle rive di un vasto mare interno. Parte delle ossa del cranio, diverse vertebre e alcuni frammenti di costole: a prima vista questi resti erano stati attribuiti ad un adrosauro dal becco di anatra, rettile diffuso in tutto l’emisfero boreale per gran parte della tarda epoca cretacea, tra 80 e 65 milioni di anni fa. Il nostro nuovo amico però, rispetto a quello che comunque – come è emerso – era un suo parente stretto, conserva alcune caratteristiche primitive dei denti e delle mascelle. Da qui l’identificazione della nuova specie.
Ma quali sono le caratteristiche dell’animaletto? Innanzi tutto la bestiola probabilmente era un erbivoro ghiotto di felci e conifere. Come è stato dedotto? Questa volta nessuno studio di coproliti (aulico termine di etimologia greca atto ad indicare lo sterco fossile). Sebbene fosse un amante delle Daygum e avesse un’alimentazione ricca di fibre, il soggetto non aveva sfortunatamente ancora scoperto qualcosa che ci potesse rendere partecipi della sua quotidiana regolarità. D’altro canto è riprovato da inattaccabili documenti di registrazione che il Bifidus Actiregularis è una scoperta più recente. Ebbene, come risolvere dunque l’enigma? Gli studiosi hanno recuperato alcuni fossili vegetali all’interno dello stesso strato di roccia e hanno fatto 2+2. In fondo è stato usato l’avverbio “probabilmente”, non “certamente”.
A questo punto vi starete chiedendo (e se non lo state facendo vi istigo a farlo): ma non si chiamava “Bocca che trita, occhio rugoso”? Se è così, perché continui a chiamarlo Jeyawati? Visto che a voi non ve la si fa, vi sarete sicuramente già accorti che la seconda parte del nome, rugoculus, deriva dai termini latini per “ruga” e “occhio”. Tale scelta è stata fatta per descrivere una caratteristica unica della nuova specie: una delle ossa che formano l’incavo oculare esibisce una peculiare rugosità – o piuttosto una grana ruvida sul lato esterno – suggerendo che lo Jeyawati presentasse una o più grandi scaglie sopra ed intorno ai propri specchi dell’anima. E la parte della bocca da dove sbuca? Per ritrovarlo vi basterà tradurre “bocca che trita” in lingua Zuni, celeberrimo idioma proprio della tribù di nativi americani del fiume Zuni nell’ovest del New Mexico. Ecco quindi prendere vita il nome Jeyawati, ad indicare un sofisticato meccanismo di masticazione evoluto dalla discendenza erbivora a cui il dinosauro appartiene. Q.E.D.
Andrew T. McDonald, autore principale dello studio e studente di dottorato presso il Dipartimento della Terra e delle Scienze Ambientali della Penn (l’Università della Pennsylvania), dichiara che il nostro fossile, quando ancora respirava e ruminava, deve aver avuto una vita difficile. Molti dei frammenti delle costole, infatti, presentano una superficie gonfia e accidentata: questo indica che l’animale ad un certo punto della sua esistenza subì delle fratture e che tali ferite si cicatrizzarono prima della sua morte. Il dottorando dal cognome illustre spiega inoltre che osservando i resti più completi di specie affini a Jeyawati, è possibile fare diverse ipotesi, tra cui quella secondo cui l’animale camminasse probabilmente a quattro zampe, ma che fosse anche capace di issarsi su due.
Sebbene soltanto ora sia stato possibile confermare che si tratti di una specie nuova, i resti fossili dello Jeyawati vennero scoperti nel 1996 dal paleontologo Douglas Wolfe, principal investigator del Progetto Paleontologico del bacino dello Zuni. La raccolta dei reperti è proseguita per 13 anni con l’aiuto, tra gli altri, di alcuni volontari della Società Paleontologica del Southwest. Quando McDonald ha iniziato a classificare i reperti era ancora uno studente dell’Università del Nebraska. In Italia ci si lamenta della Salerno-Reggio Calabria o della Palermo-Messina, ma c’è da dire che anche nel nuovo mondo sono tempestivi! Comunque, alla fine, i risultati di quest’impresa titanica sono stati pubblicati a maggio sul Journal of Vertebrate Paleontology.
Jeyawati attualmente riposa al Museo di Storia Naturale dell’Arizona, insieme ad amici di vecchia data. Nella stessa zona della scoperta sono stati infatti rinvenuti anche scheletri di altri dinosauri che coesistettero con il nostro protagonista. Tra questi, degno di nota è il Nothronychus, un erbivoro sfortunato (non aveva nell’armonia delle forme il proprio punto di forza, diciamo così) appartenente ad una stirpe che, fino a questo rinvenimento, era conosciuta soltanto in Asia. Menzione speciale anche per il più antico dinosauro cornuto conosciuto del Nord America, lo Zuniceratops christopheri.
ZUNIceratops: la fantasia abbonda tra i paleontologi… poi non vi lamentate se, per scampare alla routine, a qualcuno viene il vezzo di dare nomi in lingue esotiche!
Luca Perri
Riferimenti:
Andrew T. Mcdonald, Douglas G. Wolfe, James I. Kirkland. A new basal hadrosauroid (Dinosauria: Ornithopoda) from the Turonian of New Mexico. Journal of Vertebrate Paleontology, DOI: 10.1080/02724631003763516, 2010.
Un team di paleontologi burloni ha recentemente descritto una nuova specie di dinosauro erbivoro sulla base di uno scheletro incompleto trovato nella regione ovest del New Mexico. La nuova specie, soprannominata Jeyawati rugoculus, è stata trovata in rocce che hanno preservato i resti di un ecosistema di una lussureggiante foresta paludosa cresciuta circa 91 milioni di anni fa intorno alle rive di un vasto mare interno. Parte delle ossa del cranio, diverse vertebre e alcuni frammenti di costole: a prima vista questi resti erano stati attribuiti ad un adrosauro dal becco di anatra, rettile diffuso in tutto l’emisfero boreale per gran parte della tarda epoca cretacea, tra 80 e 65 milioni di anni fa. Il nostro nuovo amico però, rispetto a quello che comunque – come è emerso – era un suo parente stretto, conserva alcune caratteristiche primitive dei denti e delle mascelle. Da qui l’identificazione della nuova specie.
Ma quali sono le caratteristiche dell’animaletto? Innanzi tutto la bestiola probabilmente era un erbivoro ghiotto di felci e conifere. Come è stato dedotto? Questa volta nessuno studio di coproliti (aulico termine di etimologia greca atto ad indicare lo sterco fossile). Sebbene fosse un amante delle Daygum e avesse un’alimentazione ricca di fibre, il soggetto non aveva sfortunatamente ancora scoperto qualcosa che ci potesse rendere partecipi della sua quotidiana regolarità. D’altro canto è riprovato da inattaccabili documenti di registrazione che il Bifidus Actiregularis è una scoperta più recente. Ebbene, come risolvere dunque l’enigma? Gli studiosi hanno recuperato alcuni fossili vegetali all’interno dello stesso strato di roccia e hanno fatto 2+2. In fondo è stato usato l’avverbio “probabilmente”, non “certamente”.
A questo punto vi starete chiedendo (e se non lo state facendo vi istigo a farlo): ma non si chiamava “Bocca che trita, occhio rugoso”? Se è così, perché continui a chiamarlo Jeyawati? Visto che a voi non ve la si fa, vi sarete sicuramente già accorti che la seconda parte del nome, rugoculus, deriva dai termini latini per “ruga” e “occhio”. Tale scelta è stata fatta per descrivere una caratteristica unica della nuova specie: una delle ossa che formano l’incavo oculare esibisce una peculiare rugosità – o piuttosto una grana ruvida sul lato esterno – suggerendo che lo Jeyawati presentasse una o più grandi scaglie sopra ed intorno ai propri specchi dell’anima. E la parte della bocca da dove sbuca? Per ritrovarlo vi basterà tradurre “bocca che trita” in lingua Zuni, celeberrimo idioma proprio della tribù di nativi americani del fiume Zuni nell’ovest del New Mexico. Ecco quindi prendere vita il nome Jeyawati, ad indicare un sofisticato meccanismo di masticazione evoluto dalla discendenza erbivora a cui il dinosauro appartiene. Q.E.D.
Andrew T. McDonald, autore principale dello studio e studente di dottorato presso il Dipartimento della Terra e delle Scienze Ambientali della Penn (l’Università della Pennsylvania), dichiara che il nostro fossile, quando ancora respirava e ruminava, deve aver avuto una vita difficile. Molti dei frammenti delle costole, infatti, presentano una superficie gonfia e accidentata: questo indica che l’animale ad un certo punto della sua esistenza subì delle fratture e che tali ferite si cicatrizzarono prima della sua morte. Il dottorando dal cognome illustre spiega inoltre che osservando i resti più completi di specie affini a Jeyawati, è possibile fare diverse ipotesi, tra cui quella secondo cui l’animale camminasse probabilmente a quattro zampe, ma che fosse anche capace di issarsi su due.
Sebbene soltanto ora sia stato possibile confermare che si tratti di una specie nuova, i resti fossili dello Jeyawati vennero scoperti nel 1996 dal paleontologo Douglas Wolfe, principal investigator del Progetto Paleontologico del bacino dello Zuni. La raccolta dei reperti è proseguita per 13 anni con l’aiuto, tra gli altri, di alcuni volontari della Società Paleontologica del Southwest. Quando McDonald ha iniziato a classificare i reperti era ancora uno studente dell’Università del Nebraska. In Italia ci si lamenta della Salerno-Reggio Calabria o della Palermo-Messina, ma c’è da dire che anche nel nuovo mondo sono tempestivi! Comunque, alla fine, i risultati di quest’impresa titanica sono stati pubblicati a maggio sul Journal of Vertebrate Paleontology.
Jeyawati attualmente riposa al Museo di Storia Naturale dell’Arizona, insieme ad amici di vecchia data. Nella stessa zona della scoperta sono stati infatti rinvenuti anche scheletri di altri dinosauri che coesistettero con il nostro protagonista. Tra questi, degno di nota è il Nothronychus, un erbivoro sfortunato (non aveva nell’armonia delle forme il proprio punto di forza, diciamo così) appartenente ad una stirpe che, fino a questo rinvenimento, era conosciuta soltanto in Asia. Menzione speciale anche per il più antico dinosauro cornuto conosciuto del Nord America, lo Zuniceratops christopheri.
ZUNIceratops: la fantasia abbonda tra i paleontologi… poi non vi lamentate se, per scampare alla routine, a qualcuno viene il vezzo di dare nomi in lingue esotiche!
Luca Perri
Riferimenti:
Andrew T. Mcdonald, Douglas G. Wolfe, James I. Kirkland. A new basal hadrosauroid (Dinosauria: Ornithopoda) from the Turonian of New Mexico. Journal of Vertebrate Paleontology, DOI: 10.1080/02724631003763516, 2010.