Radici profonde e clima globale
Le piante influenzano il clima globale piu’ di quanto si e’ ritenuto finora: e’ il risultato al quale sono pervenuti biologi e climatologi della University of California at Berkeley, guidati da Todd Dawson, Jung-Eun Lee e Inez Fung, recentemente pubblicato in un articolo sulla rivista PNAS. Gli scienziati sanno da tempo che la vegetazione e’ in grado di modificare il […]
Gli scienziati sanno da tempo che la vegetazione e’ in grado di modificare il clima, attraverso la rimozione dell’anidride carbonica, con la fotosintesi clorofilliana, e l’immissione di vapor d’acqua nell’atmosfera. Il modello finora considerato, tuttavia, era troppo semplice, e non spiegava l’entita’ dell’influenza riscontrata: esso viene sostituito con uno schema piu’ complesso, grazie ad uno studio condotto nella foresta amazzonica. Si e’ scoperto, infatti che in questa regione, le radici profonde delle piante sono in grado di trasferire fino al dieci per cento dell’acqua piovana, largamente disponibile durante la stagione delle piogge, in bacini di riserva situati in profondita’, fino a tredici metri nel sottosuolo. Quando le piogge non sono piu’ abbondanti , e la stagione si fa sempre piu’ secca, l’acqua raccolta nei bacini sotterranei puo’ essere riportata in superficie, per mantenere umidi gli strati superficiali del terreno. Cio’ fornisce un duplice vantaggio: da una parte permette alla vegetazione di operare piu’ efficacemente la fotosintesi; dall’altra determina un maggiore raffreddamento atmosferico locale, assicurato dalla maggiore evapotraspirazione, che durante la stagione secca presenta un’efficienza che si stima essere del 40% superiore a quella calcolata assumendo il classico meccanismo di utilizzo dell’acqua disponibile superficialmente. La scoperta della generale capacita’ delle piante di sollevare elevate colonne d’acqua dal terreno, grazie alla evapotraspirazione dell’acqua stessa attraverso gli stomi (le piccole aperture fogliari che determinano gli scambi gassosi), e’ stata affiancata vent’anni fa dall’ulteriore evidenza che alcune piccole piante sono in grado di richiamare acqua attraverso le proprie radici profonde. Dawson ha scoperto negli anni ’90 che questo meccanismo, denominato redistribuzione idraulica, poteva essere attribuito anche a grandi alberi, appartenenti a piu’ di sessanta differenti specie. Il ricercatore brasiliano Rafael Oliveira ha recentemente verificato nella Floresta Nacional do Tapajós che anche molte specie amazzoniche sono in grado di operare la redistribuzione idraulica: si tratta di un processo passivo, guidato dal gradiente di concentrazione chimica, che permette alla pianta di spostare acqua nel terreno in maniera molto piu’ efficace rispetto alla semplice percolazione, usando le proprie radici come se fossero condutture di un sistema idraulico. All’occorrenza l’acqua viene poi richiamata verso gli strati superficiali del terreno: i ricercatori sono convinti che questo meccanismo abbia lo scopoprimario di massimizzare l’apporto dei nutrienti verso la pianta. La redistribuzione idraulica agisce in altre regioni del globo soggette alla stagione secca, dalle foreste del Congo a quelle degli Stati Uniti; dal Mediterraneo all’Australia sud-orientale. La sua efficienza nel migliorare fotosintesi e traspirazione dipende certamente dalla quantita’ d’acqua disponibile durante la stagione umida: in questo senso eventi come El Niño possono rendere i periodi secchi talmente severi da deprimere fortemente tale effetto. Quando il principio di redistribuzione idraulica e’ stato inserito nel modello climatico globale denominato National Center for Atmospheric Research Community Atmospheric Model Version 2 (NCAR’s CAM2), uno dei piu’ importanti oggi utilizzati, gli scenari climatici della foresta amazzonica hanno trovato una migliore rispondenza con le evidenze osservate. La redistribuzione idraulica spiega, ad esempio, un fenomeno che finora non aveva una valida spiegazione: la forte diminuzione della temperatura in Amazzonia proprio durante i mesi di Giugno e Luglio, in piena stagione secca.
Alla luce di quanto esposto, risulta ancor piu’ evidente che gli effetti della deforestazione dell’Amazzonia e di altre importanti foreste del globo, anche extra-tropicali, influirebbero in maniera significativa sulla capacita’ della biosfera di contrastare il cambiamento del clima su scala globale.
Paola Nardi