Scimmie intelligenti? Ognuna a modo suo

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L’idea che esista un’intelligenza “generale”, un fattore sotteso a tutte le diverse abilità esibite dal nostro cervello e che dia conto delle diverse capacità di ogni essere umano è antica di almeno un secolo ed è passata in mezzo a numerose controversie e vicende storiche. Ciò nondimeno, è alla base di tutti i tentativi di misurazione di quello che chiamiamo […]

L’idea che esista un’intelligenza “generale”, un fattore sotteso a tutte le diverse abilità esibite dal nostro cervello e che dia conto delle diverse capacità di ogni essere umano è antica di almeno un secolo ed è passata in mezzo a numerose controversie e vicende storiche. Ciò nondimeno, è alla base di tutti i tentativi di misurazione di quello che chiamiamo anche Q.I. (quoziente intellettivo), anche se solo questi e poco altro sono ciò che rimane della ricerca su quella che Spearman per primo chiamò g o facoltà generale del cervello, perlomeno fino ad oggi.

In un tentativo di aggiungere nuovi dati alla difficile ricostruzione del percorso evolutivo dell’intelligenza umana, difatti, un gruppo di ricercatori della Harvard University guidati da Konika Banerjee ha pubblicato su PlosOne uno studio svolto su un gruppo di tamarini a chioma di cotone (Saguinus oedipus), teso a dimostrare che anche questi primati possiedono un’intelligenza “generale” che distingue gli individui tra loro. L’ipotesi su g esposta nello studio, è bene precisarlo, non la pone in contrasto con la teoria che vuole il cervello come diviso in aree specializzate, semplicemente gli autori dello studio precisano come a loro avviso si possa parlare di una generale “facoltà cerebrale” diversa per ogni individuo, sottesa alle capacità più specifiche ed evolutasi in rapporto all’aumentare delle dimensioni cerebrali fino a diventare massima nella nostra specie.

Per cercare di capire quanto e come differissero tra loro questi ventidue tamarini nelle prestazioni cognitive sono stati sottoposti a 11 differenti test implicanti diverse abilità cognitive come la memoria a breve termine, la velocità di elaborazione delle informazioni e così via. Una volta ottenuto un insieme di risultati abbastanza consistente, praticamente dopo aver calcolato una specie di Q.I. per ogni esemplare, si è facilmente notato come le scimmie che risultano eccellere in un test tendano a farlo anche in tutti gli altri, e ovviamente il discorso vale anche per gli esemplari meno “dotati”. In sostanza sembra quindi che un fattore generale sotteso a tutte le varie funzioni del cervello sia effettivamente presente anche in un taxon di primati molto lontano dal nostro, e che ogni tamarino sia “intelligente a modo suo”, una caratteristica tipicamente considerata umana.

Questo fattore g appare influenzare le prestazioni dei tamarini per circa il 20%, il resto della variazione riscontrata tra i risultati degli esemplari è infatti attribuibile ad altri fattori o semplicemente all’errore sperimentale, un valore molto minore di quello riscontrato tra gli umani dove questa percentuale si attesta invece tra il 40 e il 60. Questi risultati sembrano consistenti con l’ipotesi dei ricercatori, che invocano inoltre nuovi studi su altri taxon (in particolare suggeriscono di lavorare su macachi Reso, scimpanzé e scimmie scoiattolo, tre specie largamente presenti in cattività) per continuare a scavare in quello che sembra un filone di ricerca promettente: il percorso evolutivo dell’intelligenza nell’ordine dei primati, ovvero di come in esso si siano modificate le abilità cognitive, di pari passi col modificarsi delle strutture cerebrali.

Marco Michelutto


Riferimenti:
Konika Banerjee et al. General Intelligence in Another Primate: Individual Differences across Cognitive Task Performance in a New World Monkey (Saguinus oedipus). PLoS One, 4(6)