Se ti ingrossi non ti evolvi: la “complessa” esistenza dei genomi composti
Cos’è la vita? L’Amministrazione Nazionale dell’Aeronautica e dello Spazio statunitense (leggasi NASA, non ANAS – quest’ultima rimane un piacere tutto nostro) definisce la vita come un “sistema chimico che si auto-sostiene capace di evoluzione darwiniana”. Se prendiamo per buona questa definizione, fin qui ci siamo: a domanda, risposta.Come si è originata la vita? Ora iniziano i problemi: a domanda, più […]
Cos’è la vita? L’Amministrazione Nazionale dell’Aeronautica e dello Spazio statunitense (leggasi NASA, non ANAS – quest’ultima rimane un piacere tutto nostro) definisce la vita come un “sistema chimico che si auto-sostiene capace di evoluzione darwiniana”. Se prendiamo per buona questa definizione, fin qui ci siamo: a domanda, risposta.
Come si è originata la vita? Ora iniziano i problemi: a domanda, più risposte possibili. Possiamo però dire che le teorie SCIENTIFICHE ruotano attorno a due idee principali: una focalizzata sul metabolismo; l’altra sulla genetica, con replicazione di RNA o DNA come condizione essenziale per l’attuarsi dell’evoluzione darwiniana. È chiaro che, in entrambi i casi, tutto dev’essere cominciato con semplici molecole organiche formatesi da processi prebiotici. Per i più scettici su questo punto rimando all’esperimento di Miller-Urey, quello famoso con la palla di vetro, il brodino, i fulmini, ecc.. Per capirci, quello che ha dimostrato la possibilità di formazione di molecole organiche a partire da sostanze inorganiche.
L’ipotesi genetica rende protagoniste le molecole di RNA o DNA. Sarebbero loro infatti ad essersi inizialmente replicate, in un processo estremamente complesso che richiedeva una corretta combinazione di monomeri per produrre la catena molecolare (o polimero). I difensori della prima teoria, quella incentrata sul metabolismo, sostengono invece che i processi evolutivi dovessero dipendere da un metabolismo primordiale: una specie di rete chimica che comportava un alto grado di catalisi reciproca tra le sue componenti. Queste, a loro volta, tenevano conto di adattamento ed evoluzione, senza alcuna replicazione molecolare.
L’ipotesi “Metabolism first” venne formulata nella prima metà del XX secolo da Alexander Oparin che consolidò così il ruolo primario delle cellule come piccole gocce di coacervati (precursori evolutivi delle prime cellule procariote). Oparin non fece mai allusione a RNA o DNA, in quanto a quel tempo non era esattamente chiaro quanto fosse importante il ruolo di queste molecole negli organismi viventi. Ciò nonostante egli creò una solida base per l’idea di auto-replicazione quale proprietà collettiva di composti molecolari.
Più recentemente, la scienza ha dimostrato che set di elementi chimici mantengono informazioni circa la loro stessa composizione che possono essere duplicate e trasmesse ai loro discendenti. Tali set vengono quindi chiamati “genomi composti” o composomi. In altre parole, l’ereditarietà non richiede informazioni da immagazzinare nelle molecole di RNA o DNA. Questi “genomi composti” apparentemente soddisfano le condizioni richieste per essere considerate unità evolutive.
Orsù dunque, direte voi, perché stiamo ancora qui a discuterne? Sembra ormai chiaro:
Metabolismo 1 – Acidi (desossi)ribonucleici 0..
Ma prima del triplice fischio, nei minuti di recupero, ecco giungere una nuova ricerca sulle pagine di PNAS a guastare le nostre certezze. Per la prima volta, anche grazie a simulazioni numeriche e analitiche, è stata svolta una rigorosa analisi per studiare la supposta evoluzione di queste reti molecolari. Lo studio, condotto tra gli altri da un ricercatore del Dipartimento di Genetica e Microbiologia dell’UAB (Università Autonoma di Barcellona), Mauro Santos, ha dimostrato che i “genomi composti” non possono essere considerati unità evolutive: infatti, una volta raggiunti una dimensione critica e un maggiore livello di complessità, le popolazioni molecolari composte risultano incapaci di essere soggette a evoluzione darwiniana.
I ricercatori hanno perciò concluso che questa fondamentale limitazione delle reti chimiche dovrebbe mettere in guardia dalle teorie che pongono il metabolismo all’inizio dell’origine della vita. Ciò nonostante, proseguono, i primi sistemi metabolici potrebbero aver offerto un habitat stabile per l’evoluzione di polimeri primitivi quali l’RNA.
Tutto da rifare quindi? Quel che è certo è che differenti scenari di una Terra prebiotica potrebbero ora essere considerati.
“Dannati minuti di recupero!”, starà pensando da lassù il buon vecchio dottor Oparin.
Luca Perri
Riferimenti:
Vera Vasas, Eörs Szathmáry, Mauro Santos. Lack of evolvability in self-sustaining autocatalytic networks: A constraint on the metabolism-first path to the origin of life. PNAS, doi/10.1073/pnas.0912628107, 2010.
Immagine di Luca Perri