Siamo tutti africani

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Telmo Pievani racconta la conferenza di Donald Johanson, lo scopritore di Lucy, che ha recentemente tenuto una conferenza all’Università di Padova

Siamo figli dell’Africa e di un’avvincente storia di diversità che ci ha fatto giungere fin qui: ora dobbiamo avere più rispetto per la natura che ci ha creato. Questo il messaggio che Donald Johanson, lo scopritore di Lucy, ha lanciato dinanzi a una platea gremita e attenta, affollata in particolare di studenti, nell’aula magna del Dipartimento di Biologia. E la grande partecipazione è stata premiata da una lezione memorabile. Il settantenne paleo-antropologo americano di origini svedesi ha trascinato l’uditorio in un racconto appassionante del viaggio dell’umanità, dalle prime forme di ominini bipedi africani all’australopitecina Lucy, scoperta nel novembre 1974 nella regione di Hadar in Etiopia, nel triangolo che delimita la depressione di Afar e custodisce nelle sue stratigrafie i passaggi fondamentali dell’evoluzione umana.
Da quei fragili e preziosi resti fossilizzati, appartenuti a una femmina di Australopithecus afarensis morta in una palude 3,2 milioni di anni fa, è dipesa la carriera scientifica di Johanson ma anche, probabilmente, la nostra stessa discendenza umana, dato che Lucy si colloca ancora adesso nello snodo principale del ricco e intricato albero della famiglia ominina. E’ infatti la diversità di specie conviventi, ciascuna portatrice di un peculiare mix di adattamenti, la cifra essenziale dell’evoluzione umana, ha spiegato Johanson. Non si è trattato dunque di una scala di progresso lineare, né di una marcia di avvicinamento a Homo sapiens, inteso come culmine di un processo inevitabile, bensì di un’esplorazione di possibilità evolutive molteplici sperimentate da una pletora di specie (forse più di 20, divise in almeno quattro generi), in un percorso ramificato pieno di vicoli ciechi, di estinzioni, di diversificazioni parallele, di contingenze storiche e di vicissitudini ambientali.
In questo cespuglio di forme, il motore del cambiamento non fu certamente la crescita del cervello, che cominciò soltanto a due terzi dell’evoluzione umana, con la comparsa del genere Homo. L’adattamento cruciale – ha precisato il cacciatore di fossili ora in forza all’Arizona State University – fu piuttosto la postura eretta, realizzata attraverso differenti modalità di bipedismo (plasticamente descritte da Johanson durante la conferenza). Per molto tempo i nostri antenati e cugini sono vissuti in ambienti mutevoli, fra radure aperte e zone di foresta, mantenendo flessibilmente sia la capacità di camminare eretti sia quella di arrampicarsi ancora sugli alberi alla bisogna. Poi presero il largo e non smisero più di camminare, di cercare cosa c’era dall’altra parte della collina. Siamo figli di buoni piedi insomma – come quelli dei consimili di Lucy che lasciarono impresse nella cenere vulcanica le straordinarie orme di Laetoli, 3,75 milioni di anni fa – prima che di un grande cervello.
lucy museum
Lo scheletro di Lucy conservato al museo nazionale di Addis Abeba. Foto: Baftali Hilger/Laif/Contrasto
Johanson si è divertito a commentare le tante controversie passate della paleo-antropologia, mostrando quanto la disciplina negli ultimi decenni si sia irrobustita e arricchita di evidenze convergenti (paleontologiche, paleoecologiche, molecolari). Dopo aver a lungo cercato le origini umane in Europa (chi in Germania con Neanderthal, chi in Francia con Cro-Magnon, chi in Gran Bretagna con la frode di Piltdown, opponendo i rispettivi orgogli nazionali), oggi sappiamo che le innovazioni cruciali dell’evoluzione umana sono avvenute tutte in Africa. Anche quando le specie del genere Homo, due milioni di anni fa, al tramonto dell’epoca delle australopitecine come Lucy, cominciarono a espandersi fuori dal continente africano, è pur sempre attraverso ripetute “uscite dall’Africa”, e ogni volta dal Corno d’Africa, che avvenne il popolamento degli altri continenti. Anche noi Homo sapiens, ha concluso Johanson smantellando ogni eurocentrismo evoluzionistico, siamo nati in Africa, intorno a 200mila anni fa, e sempre in Africa abbiamo dato inizio alla rivoluzione comportamentale associata all’emergenza dell’intelligenza simbolica, immaginativa e loquace tipica della nostra specie. Considerando che secondo l’antropologia molecolare gli attuali sette miliardi di esseri umani derivano tutti da un piccolo gruppo di pionieri, vissuti probabilmente in Africa meridionale fra 60 e 80mila anni fa, dire che “siamo tutti africani” non è una metafora ma un dato di fatto.
Telmo Pievani
da Il Bo, il giornale dell’Università degli Studi di Padova
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Foto: Massimo Pistore