Un concento di geni per un collo da giraffa
La comparazione del genoma della giraffa con quello del suo parente evolutivo più prossimo, l’okapi, offre importanti indizi sulla comparsa del lungo collo e sugli adattamenti fisici e fisiologici necessari a sostenerlo
Quando si parla di evoluzione non si può evitare di parlare del collo della giraffa (Giraffa camelopardalis), sulla cui origine sono state scritte importanti pagine che hanno fatto la storia della biologia evoluzionistica. . Una morfologia come quella del grosso mammifero africano richiede anche un grande numero di altri adattamenti per esistere, molti dei quali sono stati individuati. Ad esempio, per poter far giungere una quantità sufficiente di sangue a un cervello che, in un maschio adulto, può essere posto anche ad un altezza di 6 m, la giraffa possiede una pressione sanguigna di 240/180 mmHg, con punte che durante uno sforzo possono anche toccare i 300. Per sostenere questa pressione il cuore deve infatti compiere grandi sforzi. Nelle arterie del collo sono presenti valvole di non ritorno; mentre la pelle spessa e rigida degli arti inferiori funziona come una calza contenitiva che evita il ristagno di sangue nelle parti del corpo più vicine al suolo con la deformazione e il rigonfiamento delle vene locali (vene varicose). Il lungo collo presenta poi un ulteriore problema quando l’animale lo abbassa per bere: la forza di gravità e la pressione sanguigna che in posizione eretta agiscono in senso contrario finiscono per combinarsi. Per evitare che l’aumento di pressione faccia letteralmente esplodere i vasi sanguigni cerebrali, la giraffa possiede nel cervello una rete di capillari che rimangono chiusi quando la testa è alzata, ma si dilatano quando all’abbassarsi della testa la pressione aumenta.
La bacchetta del direttore
L’evoluzione del collo della giraffa è quindi dovuta al contemporaneo cambiamento di diverse componenti anatomiche e fisiologiche, alcune delle quali potenzialmente pericolose: un’evoluzione parallela e armonica che ha permesso la sopravvivenza solo degli individui in grado di sostenere il ‘peso’ di questo adattamento. Inoltre, molti degli adattamenti della giraffa, come per esempio la sua alta pressione sanguigna, sono simili a caratteristiche che, quando riscontrate nell’essere umano, sono indicative di un’alta probabilità di incorrere in patologie. Per questo motivo la curiosità verso questo mammifero e la sua fisiologia hanno anche motivazioni più pratiche della semplice conoscenza. Per chiarire il percorso genetico che ha portato all’evoluzione della giraffa, Morris Agaba, dell’Institute of Science and Technology di Arusha (Tanzania), in collaborazione con colleghi di altre università africane, statunitensi e inglesi, ha confrontato il genoma di questa specie con quello del suo parente più stretto oggi esistente: l’okapi (Okapia johnstoni). I due genomi sono stati poi confrontati con quelli di altri mammiferi già noti, tra cui con quello della comune mucca domestica (Bos taurus). I ricercatori hanno così potuto individuare i tratti genetici che distinguono la famiglia delle Giraffidae, cui giraffa e okapi appartengono, da tutti gli altri mammiferi. Tolta questa sorta di “rumore di fondo” gli autori hanno potuto stabilire quali differenze genetiche distinguono nel dettaglio tra loro le due specie, stabilendo che, con ogni probabilità, queste variazioni sono strettamente legate agli adattamenti peculiari della giraffa.
Ossa e cuore
I risultati della ricerca, pubblicati su Nature communication, hanno messo in evidenza come i geni che hanno subito un percorso divergente tra giraffa e okapi siano già noti per regolare, in altri mammiferi, tanto lo sviluppo dell’apparato osseo quanto la fisiologia di quello cardiocircolatorio. Ma più di tipo effettore, cioè del genere che produce un risultato diretto sul fenotipo, i geni individuati nel corso della ricerca sono di tipo regolatore, del tipo che agisce in modo indiretto regolando l’espressione di altri geni. I regolatori individuati sono per di più implicati contemporaneamente sia nel controllo dello sviluppo osseo che di quello circolatorio: ogni loro mutazione potrebbe quindi avere effetti su entrambi gli apparati. Probabilmente le mutazione di geni attivi su uno solo dei due sistemi hanno finito, nel corso dell’evoluzione, per produrre individui “sbilanciati” con zampe o collo troppo lunghi o troppo corti in relazione alla loro fisiologia vascolare. Individui quindi con scarsa probabilità di sopravvivenza e riproduzione. Le mutazioni dei geni regolatori comuni avrebbe invece garantito che in ogni momento del percorso evolutivo ci fosse la pressione ‘giusta’ per la lunghezza del collo corrispondente. Per avere un’orchestra intonata si deve avere un buon direttore.
Riferimenti:
Agaba, M. et al. Giraffe genome sequence reveals clues to its unique morphology and physiology. Nat. Commun. 7:11519 doi: 10.1038/ncomms11519 (2016).
Immagine: By Raul654 (Own work) [GFDL (http://www.gnu.org/copyleft/fdl.html) or CC-BY-SA-3.0 (http://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0/)], via Wikimedia Commons
La bacchetta del direttore
L’evoluzione del collo della giraffa è quindi dovuta al contemporaneo cambiamento di diverse componenti anatomiche e fisiologiche, alcune delle quali potenzialmente pericolose: un’evoluzione parallela e armonica che ha permesso la sopravvivenza solo degli individui in grado di sostenere il ‘peso’ di questo adattamento. Inoltre, molti degli adattamenti della giraffa, come per esempio la sua alta pressione sanguigna, sono simili a caratteristiche che, quando riscontrate nell’essere umano, sono indicative di un’alta probabilità di incorrere in patologie. Per questo motivo la curiosità verso questo mammifero e la sua fisiologia hanno anche motivazioni più pratiche della semplice conoscenza. Per chiarire il percorso genetico che ha portato all’evoluzione della giraffa, Morris Agaba, dell’Institute of Science and Technology di Arusha (Tanzania), in collaborazione con colleghi di altre università africane, statunitensi e inglesi, ha confrontato il genoma di questa specie con quello del suo parente più stretto oggi esistente: l’okapi (Okapia johnstoni). I due genomi sono stati poi confrontati con quelli di altri mammiferi già noti, tra cui con quello della comune mucca domestica (Bos taurus). I ricercatori hanno così potuto individuare i tratti genetici che distinguono la famiglia delle Giraffidae, cui giraffa e okapi appartengono, da tutti gli altri mammiferi. Tolta questa sorta di “rumore di fondo” gli autori hanno potuto stabilire quali differenze genetiche distinguono nel dettaglio tra loro le due specie, stabilendo che, con ogni probabilità, queste variazioni sono strettamente legate agli adattamenti peculiari della giraffa.
Ossa e cuore
I risultati della ricerca, pubblicati su Nature communication, hanno messo in evidenza come i geni che hanno subito un percorso divergente tra giraffa e okapi siano già noti per regolare, in altri mammiferi, tanto lo sviluppo dell’apparato osseo quanto la fisiologia di quello cardiocircolatorio. Ma più di tipo effettore, cioè del genere che produce un risultato diretto sul fenotipo, i geni individuati nel corso della ricerca sono di tipo regolatore, del tipo che agisce in modo indiretto regolando l’espressione di altri geni. I regolatori individuati sono per di più implicati contemporaneamente sia nel controllo dello sviluppo osseo che di quello circolatorio: ogni loro mutazione potrebbe quindi avere effetti su entrambi gli apparati. Probabilmente le mutazione di geni attivi su uno solo dei due sistemi hanno finito, nel corso dell’evoluzione, per produrre individui “sbilanciati” con zampe o collo troppo lunghi o troppo corti in relazione alla loro fisiologia vascolare. Individui quindi con scarsa probabilità di sopravvivenza e riproduzione. Le mutazioni dei geni regolatori comuni avrebbe invece garantito che in ogni momento del percorso evolutivo ci fosse la pressione ‘giusta’ per la lunghezza del collo corrispondente. Per avere un’orchestra intonata si deve avere un buon direttore.
Riferimenti:
Agaba, M. et al. Giraffe genome sequence reveals clues to its unique morphology and physiology. Nat. Commun. 7:11519 doi: 10.1038/ncomms11519 (2016).
Immagine: By Raul654 (Own work) [GFDL (http://www.gnu.org/copyleft/fdl.html) or CC-BY-SA-3.0 (http://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0/)], via Wikimedia Commons