Un esercizio di evoluzione inversa
E’ Mario Capecchi, professore emerito di genetica umana alla School of Medicine della University of Utah, a dare l’annuncio di questo importante risultato dalle pagine della rivista Developmental Cell. Si tratta di un vero e proprio evento di “evoluzione inversa”, che aiuta a capire come funziona l’evoluzione a livello molecolare. Il processo di duplicazione di un gene, e la successiva […]
E' Mario Capecchi, professore emerito di genetica umana alla School of Medicine della University of Utah, a dare l'annuncio di questo importante risultato dalle pagine della rivista Developmental Cell. Si tratta di un vero e proprio evento di "evoluzione inversa", che aiuta a capire come funziona l'evoluzione a livello molecolare. Il processo di duplicazione di un gene, e la successiva mutazione indipendente dei due geni prodotti, con conseguente diversificazione della funzionalita', e' certamente un evento accaduto molte volte nel corso dell'evoluzione. Ed e' proprio a partire da due geni moderni della celebre famiglia Hox che svolgono la loro specifica funzione nel topo, che Capecchi e i suoi collaboratori sono riusciti a ricostruire il gene ancestrale dal quale i due si separarono. Nel corso dell'evoluzione i geni appartenenti alla famiglia Hox sono andati incontro ad episodi di duplicazione e di mutazione, e in qualche caso di estinzione: il risultato di tutti questi eventi ha portato ad avere 39 geni Hox nei moderni mammiferi, umani compresi.
I due geni di topo selezionati per l'esperimento sono Hoxa1(che controlla lo sviluppo embrionale del tronco cerebrale; la sua disattivazione provoca la morte del topolino subito dopo la nascita) e Hoxb1 (che controlla lo sviluppo embrionale di alcuni nervi impegnati nell'espressione facciale; la sua disattivazione provoca nel topolino una paralisi facciale che gli impedisce di sbattere le palpebre, muovere le vibrisse o piegare le orecchie). Essi derivano da un gene ancestrale denominato Hox1, dal quale si formarono per quadruplicazione (altri due geni si sono poi essenzialmente persi nel corso dell'evoluzione) e cominciarono a divergere per mutazione circa 500 milioni di anni fa. In origine Hox1 riusciva a svolgere il duplice compito funzionale al quale oggi sono deputati Hoxa1 e Hoxb1: quando i geni prodotti per moltiplicazione divergono dividendosi il compito del gene ancestrale si parla di subfunzionalizzazione.
Inizialmente i ricercatori hanno dimostrato in modo molto elegante che i due geni sono intercambiabili e che a mutare nel tempo, quindi a conferire diversa funzionalita' ai due geni, sono state le sequenze regolatorie dei geni stessi (porzioni del gene che regolano la sua espressione), e non le porzioni codificanti. Come hanno fatto? Semplice: hanno scambiato le porzioni codificanti tra i due geni, e hanno dimostrato sui topolini mutanti che i nuovi Hoxa1 e Hoxb1 erano in grado di esprimere le proteine dettate dalle sequenze regolatorie e non dalle porzioni codificanti scambiate (ad esempio, se Hoxb1 contiene ora la porzione codificante di Hoxa1, esso continuera' ad esprimere la proteina di Hoxb1 non modificato). Successivamente i ricercatori sono riusciti a ricostruire Hox1 combinando opportune sequenze regolatorie dei due geni Hoxa1 e Hoxb1 sul solo gene Hoxa1 e hanno ottenenuto nei topolini la stessa funzionalita' normalmente espressa da entrambi i geni.
Un'importante conseguenza di questo lavoro, afferma Capecchi, consiste nella possibilita' di sviluppare un nuovo tipo di terapia genica, in cui un gene mutato e non piu' funzionale puo' essere sostituito nei suoi compiti inserendo le opportune sequenze regolatorie del gene difettoso in un gene normale ad esso correlato e gia' operante nell'organismo.
Paola Nardi