Un inaspettato sguardo nella vita segreta delle iene
L’antropologo Marcus Baynes-Rock racconta i suoi giorni ad Harar, in Etiopia, per studiare le relazioni tra umani e iene
Titolo: La vita segreta delle iene
Autore: Marcus Baynes-Rock
Traduzione: Isabella C. Blum
Editore: Adelphi
Anno: 2024
Pagine: 398
Isbn: 9788845938818
Nel settembre 2009, Marcus Baynes-Rock parte per Harar, in Etiopia, per raccogliere informazioni e dati utili alla compilazione della sua tesi di dottorato in antropologia. Il tema è la relazione tra umani e iene. In quella lontana città africana accade qualcosa che ai nostri occhi risulta strana, se non allarmante: gli abitanti del luogo convivono in ambiente urbano con questi animali, che non solo sono protagonisti di tradizioni e riti, ma sono diventati anche attrazioni turistiche in una sorta di spettacolo quotidiano che consiste nel dar loro da mangiare alla presenza di forestieri e turisti per lo più incuriositi. Una prospettiva inaspettata, un paesaggio sconosciuto che Baynes-Rock esplora conducendoci verso riflessioni inattese. Lo studioso rimarrà ad Harar fino all’aprile del 2011 e racconterà di questa esperienza che gli ha cambiato la vita nel libro Among the Bone Eaters – Encounters with Hyenas in Harar (Tra i mangiatori di ossa – Incontro con le iene di Harar), pubblicato nel 2015 con la prefazione dell’etologa Elizabeth Marshall Thomas, giunto in Italia solo quest’anno nella collana Animalia di Adelphi con il titolo La vita segreta delle iene.
Noi e le iene
Le iene non sembrano particolarmente amate dagli esseri umani. Carnivori feliformi, hanno un aspetto respingente, con quei crani dalle mascelle possenti, adatte a spaccare ossa, la camminata saltellante, le vocalizzazioni inquietanti e l’abitudine a nutrirsi coi resti del pasto di altri animali (anche se in realtà sanno anche cacciare). Ernest Hemingway, in Verdi colline d’Africa, scrive di come una guida kenyota avesse apostrofato una iena appena uccisa dallo scrittore:
«[…] la iena, ermafrodita, autofaga, divoratrice di morti, inseguitrice di vacche partorienti, capacissima di staccarti un pezzo di faccia quando dormi, triste cagna al seguito degli accampamenti, fetida, sporca, fornita di mascelle buone a spezzare le ossa che il leone ha lasciato, strascinantesi nella piana bruna con il suo ventre penzoloni, e la faccia furba da cane bastardo sempre voltata indietro».
Le iene si sono coevolute con noi da milioni di anni, in una relazione che sembra essere iniziata con la competizione per le carcasse di ungulati quando eravamo ancora degli Homo habilis. I nostri rapporti con loro sono tradizionalmente tesi, sviluppatisi in una istintiva repulsione. Lettrici e lettori cambieranno probabilmente idea una volta coinvolti in questa avventura che li porterà tra i vicoli di Harar, seguendo e osservando le sue iene.
Coesistenza e riflessioni sulla conservazione della natura
Le pagine de Le vita segreta delle iene sono estremamente scorrevoli per la loro forza narrativa, è un racconto dal taglio quasi cinematografico denso di riflessioni.
Dopo mesi trascorsi a osservare le iene di Harar, ad ascoltare credenze e tradizioni dagli abitanti della zona, ad assistere a riti, e — aspetto più emozionante — a interagire con questi animali, comprendendone il comportamento su campo e legandosi sempre più a loro, Marcus Baynes-Rock entra in contatto con il gruppo che studia le iene della Riserva Naturale di Masai Mara, in Kenya. Il loro approccio è quello della ricerca biologica, etologica: analisi del comportamento tramite osservazione, contatti tra umani e animali ridotti al minimo se non nulli, utilizzo di radiocollari e altri strumenti per migliorare la qualità dei dati. Un contrasto notevole, perché la modalità conoscitiva e di raccolta delle informazioni dell’antropologo è totalmente diversa: è immerso nella vita quotidiana delle iene, le chiama per nome, le spia, le conosce e si fa conoscere, fino addirittura a giocare al chiaro di luna con alcune di loro. Baynes-Rock scrive:
«Io esploravo le possibilità che sorgono quando le iene devono coesistere con il loro antico nemico evolutivo, e lo facevo esaminando relazioni complesse dal punto di vista sociale, politico ed ecologico, come pure il modo in cui queste due specie, e anche altre, operavano per plasmare reciprocamente la propria coesistenza in una città di centomila abitanti e duecento iene».
Una prospettiva differente, un punto di vista che probabilmente fa accapponare la pelle a molti scienziate e scienziati, ma che ci pone davanti a quesiti profondi sulla coesistenza tra umani e animali selvatici e sulla conservazione della natura, soprattutto in aree in via di sviluppo. È in qualche modo possibile superare il tabù per cui il nostro contatto con gli animali selvatici sia una condanna per quest’ultimi? Esiste veramente in questa epoca, sul nostro pianeta, la possibilità di non interferire in alcun modo con la vita di questi animali? Qual è il modo più corretto di intrattenere queste relazioni affinché nessuno ne paghi conseguenze negative? I nostri progetti di conservazione della natura, a volte calati dall’alto su popolazioni umane con gravi problemi di povertà e sopravvivenza, non dovrebbero cercare di trovare un compromesso con i bisogni delle comunità umane che li coinvolgono? Se lo domanda anche l’autore del libro:
«come fare affinché le popolazioni locali concepiscano gli animali selvatici come li concepiamo noi? E i nostri sforzi in tal senso sono giustificati?».
Relazioni trasformative
Ad affascinare ancora è il rapporto particolarmente stretto che Baynes-Rock riesce a instaurare con tre delle iene che studia nel territorio di Harar: Baby, Kamareya e Willi. È proprio con quest’ultimo che creerà un legame di scambio, è grazie a lui che riuscirà a concepire l’Altro, fino a costruire una relazione che trasformerà entrambi, avvicinandoli, abbassandone le difese che la loro appartenenza a due specie diverse ha innalzato nel corso dei millenni. Marcus e Willi non hanno paura l’uno dell’altro: il primo ha seguito l’altro nelle scorribande notturne, ha giocato con lui, ha imparato a muoversi al ritmo dei suoi passi e a leggerne la postura e lo sguardo; il secondo ha guidato l’autore nella vita del suo clan, si è fidato, e si è abituato alla sua presenza, quasi cercandola. Entrambi sono cambiati, aprendo possibilità di vulnerabilità soprattutto per la iena.
Se è comprensibile che non si debba abituare gli animali selvatici alla presenza umana per proteggerli da pericoli ed evitare a nostra volta rischi — soprattutto quando parliamo di grandi carnivori —, è necessario essere consapevoli che il nostro percorso di coevoluzione con altre specie continua, anche intraprendendo vie altre. La vita sul nostro pianeta ci espone a nuove interazioni che potrebbero portarci su sentieri imprevisti, proprio come accadde decine di migliaia di anni fa tra noi e i lupi.
Come scrive nella prefazione del libro Elizabeth Marshall Thomas riferendosi a Marcus Baynes-Rock:
«Io credo che sia stato il primo scienziato ad affrontare un gruppo di individui, in parte esseri umani e in parte iene, come se appartenessero a un’unica cultura mista, la cultura multistrato di Harar, città oggetto delle sue ricerche in Etiopia. E perché questo è importante? Perché, quando si tratta di relazioni e di mescolanze di stili di vita, sul pianeta non vi è forse una sola forma di vita che si limiti a interagire con i propri simili».
Laureata in Scienza e Tecnologie per la Diagnostica e Conservazione dei Beni Culturali, dottoressa di ricerca in Geomorfologia e Dinamica Ambientale, è infine approdata sulle rive della comunicazione. Giornalista pubblicista dal 2014, racconta storie di animali umani e non umani e dell’ambiente in cui vivono. Potete ascoltare i suoi consigli di lettura sul canale Telegram Il Trilobite legge o iscrivervi alla sua newsletter Foglie sparse, in cui troverete riflessioni su natura, animali, scienza e comunicazione.