Un rettile-airone gigante: identikit dello pterosauro Quetzalcoatlus lawsoni
Recenti ricerche ricostruiscono alcuni aspetti della vita di Quetzalcoatlus lawsoni: l’habitat, l’alimentazione, il movimento a terra e in volo
Verso la fine del Triassico, circa 200 milioni di anni fa, mentre i mai fuori moda dinosauri muovevano i primi passi, gli pterosauri già dominavano i cieli del pianeta Terra. Questi rettili, diversificati in numerose specie di altrettante forme e dimensioni, non solo detengono il primato di primi vertebrati ad aver spiccato il volo (sempre di non ritrovare un incredibile anfibio volante nel prossimo futuro) ma anche quello di essere viventi più grandi ad aver mai solcato i cieli.
Per questo primato bisogna spostarsi però alla fine del Cretaceo, all’interno della famiglia degli Pterosauri Azhdarchidi: qui incontriamo, infatti, il famoso gigante dei cieli Quetzalcoatlus northropi, che ci avrebbe osservato dai suoi 5 metri di altezza mostrandoci la sua apertura alare di ben 10 metri.
Dove viveva il gigante, e il suo fratello minore
I fossili di questo gigante provengono dalla famosa Javelina formation all’interno del Big Bend National Park, al confine tra Texas e Messico. Una zona arida, ricchissima di fossili appartenenti a questi pterosauri, che continua a restituire agli scienziati. Solo nel 2021 le nuove specie classificate sono state ben 3: Javelinadactylus sagebieli, Wellnhopterus brevirostris e Quetzalcoatlus lawsoni.
Secondo le più recenti ricostruzioni Javelina formation doveva essere particolarmente gradita nel tardo Cretaceo a questi pterosauri. Clima caldo e secco di tipo sub-tropicale, foreste di gimnosperme e angiosperme ricche di invertebrati, come le termiti ritrovate all’interno dei tronchi di Javelinoxylon, e bacini lacustri alcalini poveri di pesci e tartarughe ma ricchi di gasteropodi e decapodi, dei quali rinveniamo le tane a forma di tunnel, fossilizzate nella successione di strati fangosi.
Proprio di questo ambiente era un assiduo frequentatore Quetzalcoatlus lawsoni, un parente stretto, sebbene più piccolo, di Q. northropi, ma provvisto di maggior documentazione fossile. Un recente ed esaustivo paper di morfologia funzionale ci chiarisce alcuni aspetti della sua vita, che in parte possiamo usare come guida per capire anche la specie più grande.
Stile di vita Quetzalcoatlus lawsoni
Q. lawsoni, infatti, con i suoi 5 metri di apertura alare si muoveva abitualmente in questa zona anche se per ora non è chiaro se fosse stanziale o si recasse nella Javelina formation solo per nidificare. Si muoveva… ma come? Una bella domanda. Perché se gli scienziati sono piuttosto concordi sul modo di volare dei rettili Azhdarchidi, grandi animali planatori come ad esempio i nostri albatri, la loro locomozione a terra risulta ancora dibattuta.
A causa della loro altezza era probabile che a terra non avessero una postura come quella degli uccelli ma piuttosto poggiassero anche le zampe anteriori sul terreno per sostenere il proprio corpo. Un’andatura quadrupede quindi… ma non proprio. Il team di scienziati che ha ricostruito la possibile andatura di Q. lawsoni ha rivelato un’andatura bipede in cui solo gli arti posteriori danno la spinta per avanzare mentre gli arti anteriori (o superiori) fungono da “lunghi bastoni da passeggio” come scrivono gli stessi autori. Q. lawsoni camminava quindi in questo modo: partendo dalla posizione su quattro arti alzava la zampa anteriore destra e, mentre la proiettava avanti, si dava la spinta con la zampa posteriore destra, la quale avanzava poggiando a terra mentre, la zampa anteriore destra stava ancora compiendo il movimento, essendo molto più lunga. Dopodiché ripeteva la sequenza con gli altri due arti. E in questo modo, un po’ buffo ma sicuramente efficiente, avanzava sul terreno… oppure nell’acqua.
Che cosa mangia uno pterosauro gigante
Infatti, un’altra questione interessante è l’alimentazione: di cosa si nutrivano questi animali? Mascella e mandibola sono prive di denti e risultano essere molto lunghe e strette, improbabile quindi che ingerisse grandi prede. Sembrano essere non particolarmente robuste e gli scienziati escludono potesse consumare elementi duri come grandi conchiglie di molluschi e semi o strappare brandelli di carne.
Le analisi fatte sul movimento del collo e della testa, in accordo con la morfologia del muso, porta i ricercatori ad escludere comportamenti di caccia come lo skimming, nel quale l’animale vola a pelo d’acqua con il muso che percorre il fluido pronto a ghermire la preda, e il plunge-diving, nel quale gli animali raccolgono le ali e si tuffano in acqua centrando il loro bersaglio. Tutti comportamenti predatori al di là delle possibilità della fragile struttura cranica e post-cranica di Q. lawsoni. Escluso anche il consumo di carogne che poco si addice ad un muso lungo e sottile incapace di spezzare le dure ossa.
Gli scienziati hanno così concluso che Q. lawsoni potesse avere un’alimentazione simile a quella delle nostre gru e aironi: poggiando su quattro arti nell’acqua bassa, con ampi movimenti verticali ed orizzontali del collo avrebbe setacciato l’acqua alla ricerca di invertebrati come molluschi e gamberetti, e piccoli vertebrati come pesci e anfibi. Esattamente come gli aironi avrebbe poi utilizzato il lungo muso per aggiustarsi la preda in bocca, alzarla verticalmente e servirsi della gravità per ingoiarla senza masticare.
Il decollo e il volo
Presto o tardi Q. lawsoni però avrebbe rispiccato il volo. Il decollo degli Azhdarchidi è un’annosa questione che ancora oggi non trova una soluzione soddisfacente. Gli autori hanno proposto due possibili decolli per Q. lawsoni: uno partendo da una posizione bipede e l’altro prendendo una sorta di slancio dalla posizione quadrupede. Nella prima (in alto nella figura), l’animale, dopo essersi raccolto, compie un poderoso salto in verticale con gli arti posteriori prima di sbattere le possenti ali e guadagnare il volo. Nella seconda (in basso), l’animale si posiziona come uno sciatore ai blocchi di partenza, prima di balzare in avanti facendo perno sugli arti anteriori, prendendo velocità e spiccando il volo.
Anche una volta in aria gli scienziati si dividono ma questa volta sulla membrana alare: il patagio, membrana di pelle che permette il volo in questi rettili, si sarebbe esteso dall’estremità dell’arto superiore fino a solamente metà degli arti posteriori, sempre parzialmente retratti come nei pipistrelli, dando origine ad un’ala più sottile e di minore area rispetto a quella con il quale solitamente li rappresentiamo (che viceversa, come nei pipistrelli, si estende dall’estremità dell’arto superiore all’estremità di quello inferiore). Gli arti inferiori avrebbero però, secondo questa ipotesi, conservato un secondo patagio. La seconda ipotesi, concorda con l’ala dalla superficie ridotta della prima ipotesi, scartando però il patagio supplementare e proponendo, invece, che gli arti inferiori fossero raccolti sotto il tronco esattamente come accade negli uccelli.
Quetzalcoatlus lawsoni, quindi, occupava una nicchia ecologica simile a quella degli aironi. Cacciava in specchi d’acqua alcalini dove pescava pesci, ma soprattutto, crostacei e molluschi e forse, azzardano gli autori, lo faceva in maniera gregaria accompagnandosi a decine di altri individui.
Un rettile-airone alto più di due metri che grazie a studi come questo torna a muoversi, cacciare e volare.
Riferimenti:
Kevin Padian, James R. Cunningham, Wann Langston JR. & John Conway (2021) Functional morphology of Quetzalcoatlus Lawson 1975 (Pterodactyloidea: Azhdarchoidea), Journal of Vertebrate Paleontology, 41:sup1, 218-251, DOI: 10.1080/02724634.2020.1780247
Thomas M. Lehman (2021) Habitat of the giant pterosaur Quetzalcoatlus Lawson 1975 (Pterodactyloidea: Azhdarchoidea): a paleoenvironmental reconstruction of the Javelina Formation (Upper Cretaceous) Big Bend National Park, Texas, Journal of Vertebrate Paleontology, 41:sup1, 21-45, DOI: 10.1080/02724634.2019.1593184Immagine in apertura: Quetzalcoatlus lawsoni in volo in un’illustrazione di John Conway, che ha firmato il paper sulla sua morfologia, via UT News
Mi sono laureato in Biologia Evoluzionistica all’Università degli Studi di Padova. Ho scritto per OggiScienza e sono attivo nel campo della divulgazione scientifica. Ho creato e dirigo il progetto di divulgazione scientifica multipiattaforma “Just a Story”