Una grande famiglia lungo le coste del Mediterraneo
Ricostruire la storia genetica (e culturale) del Mediterraneo: ci aiuta una ricerca coordinata dall’Università di Bologna
Quasi sempre i confini politici non spiegano le nostre origini, risultato scambi e migrazioni avvenute nel corso della storia dell’uomo. Lo conferma una nuova ricerca internazionale pubblicata su Nature Scientific Reports e coordinata dall’Università di Bologna. I ricercatori hanno ricostruito i profili genetici di 23 popolazioni delle coste del Mediterraneo, dalla Sicilia alla Calabria e alla Grecia, passando per l’Albania, poi li hanno confrontati con i dati già disponibili di decine di popolazioni dell’area euro mediterranea, per un totale di ben 68 popolazioni e oltre 1.300 individui.
Il quadro che ne emerge è che tra le popolazioni che si affacciano sul mediterraneo esiste una continuità genetica che trascende i confini e anche le lingue. Per esempio, gli abitanti delle isole greche sono geneticamente più simili alle popolazioni del Sud Italia di quanto non lo siano rispetto alle popolazioni dell’entroterra della Grecia.
Inoltre, questa “grande famiglia” costiera è caratterizzata da una presenza genetica affine alla regione del Caucaso arrivata nell’età del bronzo, ed è priva dell’ impronta genetica caratteristica della migrazione delle Steppe Pontiche, finora associata alla diffusione delle lingue indoeuropee. Questo significa che quella migrazione non è sufficiente a spiegare come lungo le coste del mediterraneo si parlino italiano, greco e albanese, suggerendo che la storia sia più complessa.
Ma quali sono stati gli eventi che hanno determinato la formazione di questa continuità genetica? Stefania Sarno dell’Università di Bologna, principale autrice della ricerca, ha raccontato: «L’ascendenza condivisa tra le popolazioni del Mediterraneo risale probabilmente alla preistoria, risultato di diverse ondate migratorie culminate durante il neolitico e l’età del bronzo».
La presenza di minoranze etno-linguistiche in Italia parlanti Greco, come il grecanico, dialetto greco-calabro, o il grico in Salento, era stata imputata principalmente alla colonizzazione del Sud Italia da parte dei Greci (Magna Grecia) e dei bizantini, eppure – ci spiega Chiara Barbieri del Max Planck Institute e coautrice della ricerca – non è possibile distinguere geneticamente i parlanti greci dalle altre popolazioni del sud Italia, a differenza del caso degli Albanesi d’Italia (Arbreshe), ricondotti a una migrazione avvenuta nel medioevo. Queste comunità hanno quindi mantenuto una fortissima identità culturale, quasi sicuramente riconducibile alla Magna Grecia, ma le tracce genetiche della colonizzazione si sono probabilmente diluite attraverso gli scambi con altre popolazioni.
I ricercatori si sono serviti di molti collaboratori per poter raccogliere il DNA necessario alle analisi. Per esempio, ci spiega ancora Chiara Barbieri, nell’area di Reggio Calabria è stato determinante coinvolgere Circolo di Cultura Greca “Apodiafazzi”. Le persone delle popolazioni oggetto della ricerca hanno volontariamente partecipato al progetto perché interessate a scoprire qualcosa in più sulle proprie radici. Una buona pratica che si sta diffondendo nello studio della genetica umana è quella di raccontare i dettagli delle scoperte alle persone che hanno messo a disposizione il loro DNA alla ricerca, e i ricercatori si preparano a farlo anche in questo lavoro, se possibile anche incontrandosi di persona con alcuni tra i tanti membri della famiglia costiera.
Stefano Dalla Casa, da Zanichelli Aula di Scienze
Immagine in apertura: Tempio di Hera a Metaponto (Immagine: By Σπάρτακος (Own work) [CC BY-SA 3.0 (http://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0)], via Wikimedia Commons)