Una nuova datazione per Little Foot
Uno studio prova a risolvere la controversia della datazione del fossile di Australopithecus di Sterkfontein, in Sud Africa
I fossili, una volta portati alla luce dopo essere stati sepolti anche per milioni di anni, riprendono in un certo senso a vivere e possono diventare protagonisti di vicende curiose. Nel 1994, il paleoantropologo Ronald Clarke, mentre stava esaminando alcuni reperti rinvenuti nelle grotte di Sterkfontein, in Sud Africa, tra i numerosi fossili di primati, carnivori e bovini raccolti in un contenitore, notò quattro ossa di quello che sembrava essere il piede sinistro di un ominide. I fossili furono catalogati con la sigla Stw 573 e, per le loro piccole dimensioni, l’individuo a cui dovevano essere appartenute fu battezzato Little Foot (“piccolo piede”), e attribuito al genere Australopithecus, forse A. africanus.
Qualche anno più tardi, nel 1997, Clarke, aprendo l’armadio dove erano custoditi i fossili di Little Foot, posò lo sguardo sulle numerose cassette contenenti materiale proveniente da Sterkfontein e vide che alcune di esse erano state catalogate con l’etichetta “Cercopitecoidi”. Da tempo interessato anche a questi primati, Clarke pensò di esaminare il contenuto di queste cassette ma al suo interno trovò alcune ossa che non sembravano affatto quelle di una scimmia. Con sua sorpresa, infatti, si accorse che queste ossa combaciavano con quelle di Little Foot e, nei giorni seguenti, trovò sparsi in altri contenitori anche la tibia e il perone, insieme a parte della tibia destra e delle ossa del piede destro, tutte attribuibili a Little Foot. Clarke si convinse, a questo punto, che il resto dello scheletro di questo misterioso ominide doveva essere ancora all’interno della grotta in cui erano state rinvenute le ossa che aveva tra le mani e decise di tentare di portarlo alla luce.
Tra il 1997 e il 1998, e poi durante scavi successivi, furono trovate numerose altre ossa, compreso il cranio, fino a comporre quello che si è rivelato essere uno degli scheletri di Australopithecus più completi mai rinvenuti, anche più di quello, ben più celebre, di Lucy (A. afarensis). Per molto tempo la datazione di Little Foot è rimasta controversa, essendo resa difficile dalla complessa storia geologica del sito. Per esempio, i fossili di Sterkfontein, per l’assenza di strati di cenere vulcanica, non si prestano a essere datati con il metodo del potassio-argon. L’analisi stratigrafica può fornire risultati non affidabili, a causa dell’attività estrattiva che ha rimosso molta roccia calcarea e per i particolari processi di sedimentazione che hanno interessato questo sistema di grotte. E anche la datazione con il metodo dell’uranio-piombo non è riuscita a mettere la parola fine alla discussione. Le stime dell’età di Little Foot, perciò, hanno continuato a variare, dai 3,5 fino ai 2,2 milioni di anni.
Ora Ronald Clarke, insieme ad altri ricercatori, prova a fornire una risposta al problema in uno studio pubblicato su Nature, in cui viene proposta una datazione di Little Foot, basata sul metodo dell’alluminio-26- e berillio-10, due isotopi che si formano quando la roccia si trova in superficie esposta ai raggi cosmici. Quando la roccia, e i fossili che contiene, viene sepolta sotto la superficie, i due elementi iniziano a decadere secondo un tasso conosciuto. Dalla concentrazione dei due isotopi in diversi campioni contenenti i fossili, è possibile dedurre se la roccia ha subito processi di erosione e di ri-esposizione alla superficie tali da rendere non affidabile la stima. Con questo metodo gli autori hanno calcolato, per Little Foot, un’età di circa 3,67 milioni di anni e hanno datato anche alcuni strumenti in pietra, per i quali è stata stimata un’età di 2,18 milioni di anni.
Mentre la controversia sulla datazione potrebbe essere stata risolta, la collocazione tassonomica a livello di specie di Little Foot rimane ancora in parte dibattuta, sebbene i più propendano per la specie africanus. Rimane da approfondire anche la sua relazione con gli A. afarensis dell’Africa orientale, e le altre australopitecine finora scoperte, soprattutto per quanto riguarda il loro rispettivo ruolo come possibili forme di transizione verso la linea evolutiva che ha portato al genere Homo.
Riferimento:
Darryl E. Granger, Ryan J. Gibbon, Kathleen Kuman, Ronald J. Clarke, Laurent Bruxelles, Marc W. Caffee. New cosmogenic burial ages for Sterkfontein Member 2 Australopithecus and Member 5 Oldowan. Nature, 2015; DOI: 10.1038/nature14268
Credit image: Wits University, via Wikimedia Commons