“Varioma”: predire la variabilità attraverso l’evoluzione
Osservando i maggiori pattern di conservazione e/o divergenza del genoma tra specie a noi prossime, alcuni scienziati hanno elaborato modelli bioinformatici in grado di predire secondo un indice di probabilità evolutiva la variabilità di diverse posizioni del genoma umano
I diffusi tentativi di sequenziamento caratterizzano il trend della ricerca biologica attuale, offrendo un quadro sempre più complesso e dettagliato dell’enorme variabilità delle specie viventi. Un team di ricercatori statunitensi insieme al giapponese Koichiro Tamura e il genetista saudita primo autore dello studio Sudhir Kumar, ha proposto una nuova metodologia per predire la produzione di variabilità nel genoma umano e vagliarne possibili implicazioni anche in associazione allo sviluppo di malattie.
Si tratta di un approccio che differisce dall’altro principale strumento con cui ottenere una mappa della variabilità genomica umana, ovvero le tecniche usate per il sequenziamento del maggior numero possibile di genomi, il “1000 Genome Project” che mira all’individuazione della maggior parte delle varianti genetiche che abbiano una frequenza di almeno l’1% nelle popolazioni umane. Più precisamente Kumar ha scommesso sul fatto che la conoscenza della storia evolutiva possa fornire delle chiavi di studio predittive in grado di confrontarsi con la costituzione delle popolazioni attuali, ponendo al vaglio la plausibilità dell’aspettativa formulata dallo studio evolutivo.
Secondo la teoria neutra dell’evoluzione molecolare (Kimura M. 1983. The neutral theory of molecular evolution. Cambridge: Cambridge University Press) la variazione intraspecifica è una fase transitoria di evoluzione interspecifica. In base a questa posizione, i modelli di conservazione e divergenza genomica tra le specie potrebbero fornire utili indicazioni per predire la variabilità genomica all’interno di una specie. Basandosi su questo principio, lo studio pubblicato sulla rivista Molecular Biology and Evolution ha individuato una nuova metodologia di biologia evoluzionistica e molecolare per calcolare le probabilità evolutive “neutre” di ogni posizione nucleotidica in determinati loci genomici all’interno della specie Homo sapiens, usando solo la storia interspecifica di tale posizione. Infatti, su un albero filogenetico di 46 specie di vertebrati diffuse nell’arco di 500 milioni di anni, è stato possibile calcolare le probabilità evolutive di circa 10 milioni di posizioni del genoma umano che riguardano geni codificanti per proteine. Senza usare i dati esistenti sui polimorfismi intraspecifici, cioè sulle mutazioni puntiformi presenti e sparpagliate in diversi cromosomi della popolazione in esame, è stato così elaborato il “varioma evolutivo” che esprime complessivamente le probabilità evolutive di quanto più numerosi loci genomici. Tali probabilità si attestano su valori molto bassi, coerentemente al fatto che la maggior parte delle mutazioni si rivelano nocive.
É altresì curioso che molte delle variazioni evolutivamente improbabili siano state trovate nei sequenziamenti del “1000 Genome Project”, suggerendo una stretta correlazione tra questi variazioni improbabili e gli aspetti adattativi più caratteristici della specie umana. Ma il varioma evolutivo umano che ritrae la variazione proteica nel tempo, fornisce un catalogo utile per stabilire la relazioni tra tali variazioni e l’insorgenza di malattie. Ancora una comparazione con i dati del “1000 Genome Project” evidenzia l’alto potere predittivo del varioma che sembra in grado di diagnosticare correttamente quelle mutazioni benigne e quelle patogenetiche verificatesi.
Se siamo sulla strada per svelare il fato della variabilità umana è decisamente prematuro immaginarlo, possiamo però asserire con una discreta gradazione di certezza che questo tipo di approccio è destinato a suscitare crescente attenzione. In un mondo in cui la “medicina di precisione”, basata sull’intervento clinico-diagnostico sulla dimensione molecolare del paziente, è al centro della scena, le strade per comprendere meglio le eventuali basi genetiche delle malattie, per lo più multifattoriali e cioè non univocamente correlate a singole mutazioni genomiche, sono sempre più affollate.
Riferimenti:
Li Liu, Koichiro Tamura, Maxwell Sanderford, Vanessa E. Gray, Sudhir Kumar. A Molecular Evolutionary Reference for the Human Variome. Molecular Biology and Evolution, 2015; msv198 DOI: 10.1093/molbev/msv198
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