Autopsia di Australopithecus sediba
Già dalla sua presentazione, poco più di un anno fa sulla copertina di Science, Australopithecus sediba si configurò come un rompicapo evolutivo (Pikaia ne ha parlato qui), in quanto presentava diverse caratteristiche comuni sia al genere Homo che alle altre australopitecine.Oggi la medesima prestigiosa rivista americana pubblica uno speciale su questa specie, in cui diversi gruppi di esperti hanno analizzato […]
Già dalla sua presentazione, poco più di un anno fa sulla copertina di Science, Australopithecus sediba si configurò come un rompicapo evolutivo (Pikaia ne ha parlato qui), in quanto presentava diverse caratteristiche comuni sia al genere Homo che alle altre australopitecine.
Oggi la medesima prestigiosa rivista americana pubblica uno speciale su questa specie, in cui diversi gruppi di esperti hanno analizzato alcune componenti anatomiche che considerate fondamentali per l’origine della nostra specie. In particolare, è stata realizzata una scansione ad altissima definizione del cranio di un giovane individuo maschio (MH-1) e sono state condotte minuziose analisi della mano, del bacino e degli arti inferiori di una femmina adulta (MH-2), quasi completamente conservati (qui una galleria di immagini). Infine, un ultimo studio ha datato con estrema precisione i due reperti, che risalgono a 1.977 milioni di anni fa.
L’autopsia di questa specie ha rilevato interessanti somiglianze con il genere Homo nell’organizzazione cerebrale, anche se le dimensioni del cranio sono decisamente più piccole e tipiche degli australopitechi (440 cm cubici contro i 1400 circa della nostra specie). In particolare, la regione orbitofrontale sembra portare i segni di una riorganizzazione neurale che potrebbe rappresentare un abbozzo del lobo frontale umano.
Anche l’analisi del bacino ha portato risultati inaspettati, dal momento che A. sediba presenta alcune caratteristiche che si ritenevano si fossero evolute in specie più recenti come adattamento al parto di neonati con dimensioni cerebrali sempre maggiori. Questo indicherebbe che il bacino umano potrebbe non essersi evoluto in risposta all’incremento della capacità cranica, ma in fasi precedenti, forse in seguito all’assunzione della postura eretta.
La forma e le proporzioni della mano presentano tratti in comune con gli australopitechi e con il genere Homo. La forte muscolatura carpale la accomuna con le specie arboricole e indica, quindi, che questa specie viveva ancora parzialmente sugli alberi, come viene confermato anche dall’organizzazione dei piedi e delle caviglie (che indicano anche un’andatura bipede particolare). D’altro canto, la dita corte e il pollice proporzionalmente lungo, tipico del genere Homo, sono una chiara testimonianza della sua capacità di afferrare con precisione gli oggetti e forse della possibilità di fabbricare e maneggiare utensili rudimentali.
Date queste caratteristiche intermedie tra gli australopitechi e gli uomini e considerando anche la sua datazione, antecendente ad H. abilis e H. rudolfensis, nel complesso questi risultati suggeriscono un nuovo scenario sull’evoluzione umana: è possibile che A. sediba rappresenti un ‘vero’ antenato di H. erectus, considerato unanimemente un diretto progenitore della nostra specie. Secondo questa nuova ipotesi, sostenuta con vigore da Lee Berger (lo scopritore di A. sediba) H. erectus si sarebbe originato da una linea evolutiva separata da quella di H. abilis e H. rudolfensis, che non sarebbero quindi progenitori di questa specie (e quindi nemmeno di H. sapiens).
In ogni caso, questa è una possibilità, ben supportata dalle evidenze empiriche, ma che in nessun modo cancella l’ipotesi precedente. Saranno necessarie ulteriori prove per poter sancire che A. sediba sia realmente un antenato diretto del genere Homo e non ramo che non ha lasciato discendenti del cespuglio evolutivo degli ominidi.
Andrea Romano
Riferimenti:
Kristian J. Carlson, Dietrich Stout, Tea Jashashvili, Darryl J. De Ruiter, Paul Tafforeau, Keely Carlson, Lee R. Berger. The Endocast of MH1, Australopithecus sediba. Science, 2011; DOI: 10.1126/science.1203922
Job M. Kibii, Steven E. Churchill, Peter Schmid, Kristian J. Carlson, Nichelle D. Reed, Darryl J. De Ruiter, Lee R. Berger. A Partial Pelvis of Australopithecus sediba. Science, 2011; DOI: 10.1126/science.1202521
Tracy L. Kivell, Job M. Kibii, Steven E. Churchill, Peter Schmid, Lee R. Berger. Australopithecus sediba Hand Demonstrates Mosaic Evolution of Locomotor and Manipulative Abilities. Science, 2011; DOI: 10.1126/science.1202625
Bernhard Zipfel, Jeremy M. Desilva, Robert S. Kidd, Kristian J. Carlson, Steven E. Churchill, Lee R. Berger. The Foot and Ankle of Australopithecus sediba. Science, 2011; DOI: 10.1126/science.1202703
Robyn Pickering, Paul H. G. M. Dirks, Zubair Jinnah, Darryl J. De Ruiter, Steven E. Churchil, Andy I. R. Herries, Jon D. Woodhead, John C. Hellstrom, Lee R. Berger. Australopithecus sediba at 1.977 Ma and Implications for the Origins of the Genus Homo. Science, 2011; DOI: 10.1126/science.1203697
Ecologo e docente di Etologia e Comportamento Animale presso il Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell’Università di Milano. Ha scritto di animali ed evoluzione su Le Scienze, Mente e Cervello, Oggiscienza e Focus D&R . Collabora con Pikaia, di cui è stato caporedattore dal lontano 2007 al 2020.