Alla ricerca delle origini dell’Hobbit
Una nuova ricerca avvalora l’ipotesi che i reperti dell’isola di Flores appartengano a un lignaggio precoce, a lungo sopravvissuto, del genere Homo, che sarebbe apparso in Africa nel Pleistocene inferiore e da qui si sarebbe spinto fino all’Indonesia in una finora sconosciuta migrazione
La posizione filogenetica dei resti trovati nel 2003 a Liang Bua sull’isola di Flores, in Indonesia, e attribuiti alla specie Homo florensiensis, una piccola specie umana vissuta fino a poche decine di migliaia di anni fa, è ancora controversa; in questi anni si sono alternate diverse ipotesi, di cui Pikaia ha seguito le vicende: qui un resoconto della situazione a settembre 2014, insieme a un elenco degli articoli precedenti; in calce al presente articolo i link a quelli dello scorso anno.
Ora una nuova ricerca pubblicata sul “Journal of Human Evolution” si propone di dare una risposta forse definitiva al quesito, grazie al più ampio studio condotto finora, sia per la quantità dei dati considerati, sia per le tecniche utilizzate.
Innanzitutto lo studio è stato compiuto confrontando le caratteristiche del reperto LB1, H. floresiensis, con un ampio insieme di resti di diverse specie dei generi Australopithecus e Homo, tra cui, A. afarensis, A. africanus, H. habilis, H. rudolfensis, H. ergaster, H. erectus e H. sapiens. In secondo luogo, il confronto si è avvalso di un insieme molto ricco di dati morfologici, comprendente 50 caratteri cranici, 26 mandibolari, 24 dentali e considerando per la prima volta anche 33 caratteri della regione postcraniale. I dati sono stati tratti dalla letteratura e, per quanto riguarda Homo floresiensis, dall’osservazione diretta dei caratteri svolta sul materiale fossile originario di LB1.
Inoltre i ricercatori hanno usato due metodi differenti per la ricostruzione filogenetica: il metodo della massima parsimonia e quello della filogenetica Bayesiana; queste tecniche usano criteri di ottimizzazione diversi per stabilire gli alberi filogenetici più probabili, ma hanno fornito risultati altamente concordanti.
In base a tali risultati, gli studiosi ritengono di poter respingere alcune ipotesi sollevate in passato, in particolare: che LB1 rappresenti un individuo di Homo sapiens affetto da un disturbo genetico (sindrome di Down o microcefalia); che appartenga a una popolazione di umani moderni soggetta all’effetto del fondatore e a una rapida deriva genetica; che costituisca un fenomeno di nanismo insulare in un parente stretto di Homo erectus.
Per quanto riguarda la prima ipotesi, essa implica che Homo floresiensis abbia alcuni caratteri in comune con Homo sapiens e altri tipici della patologia ipotizzata; non solo, ma i caratteri che li differenziano dovrebbero essere correlati a quella sindrome. Tuttavia entrambe le implicazioni sono smentite dai risultati ottenuti. In particolare, l’albero filogenetico che vedrebbe Homo floresiensis direttamente imparentato con Homo sapiens risulta il meno probabile tra tutti quelli esplorati in questo studio. Tra l’altro, qualora venga confermata l’assegnazione al lignaggio di Homo floresiensis degli altri reperti venuti alla luce nel 2016 a Flores, nel sito di Mata Menge, sarebbe ulteriormente corroborata la natura non patologica del primo reperto LB1.
Per quanto riguarda la seconda ipotesi, c’è da dire che gli umani moderni hanno dato luogo ripetutamente a fenomeni di nanismo nel mondo, ma nessuno si avvicina alle proporzioni e all’anatomia uniche di Homo floresiensis. Inoltre il nanismo insulare nei grandi animali produce tipicamente caratteri pedomorfici, ma nessun membro del genere Homo, in nessuna età dello sviluppo, possiede proporzioni degli arti comparabili a quelli di LB1.
Per quanto riguarda la terza ipotesi, essa implicherebbe una stretta relazione tra le due specie Homo erectus e Homo floresiensis; ma l’assunzione che le due specie siano “gruppi fratelli” porta a costruire alberi filogenetici molto lontani da quelli ottenuti con le tecniche di ottimizzazione. D’altronde questa relazione è già stata smentita in precedenti ricerche.
I risultati dello studio supportano invece due ipotesi: la prima colloca l’Homo floresiensis come “gruppo fratello” del solo Homo habilis, l’altra lo situa invece come fratello di un clade che comprende varie specie del genere Homo.
La prima ipotesi è quella maggiormente supportata: i due taxa condividono alcuni tratti che si estendono all’intero scheletro; per alcuni di questi la condizione morfologica di Homo floresiensis e Homo habilis è unica, cioè non posseduta da alcun altro esemplare del genere Homo. In questa prospettiva, Homo floresiensis e Homo habilis discenderebbero da un antenato comune che non è condiviso con nessun’altra delle specie esaminate. Negli alberi filogenetici costruiti sia col metodo della parsimonia che con quello bayesiano, le due specie sono reciprocamente monofiletiche, non sembrano quindi avere tra loro una relazione di discendenza. In tal caso, entrambi i lignaggi devono essere almeno tanto antichi quanto Homo habilis, la cui più remota evidenza risale a circa 1,75 milioni di anni fa, nel Pleistocene inferiore.
Tuttavia non può essere respinta nemmeno la seconda ipotesi, che vede Homo floresiensis come gruppo fratello di una più ampia diramazione che comprende almeno Homo habilis, Homo erectus, Homo ergaster e Homo sapiens. Se così fosse, il lignaggio di Homo floresiensis dovrebbe essere ancora precedente alla più antica delle specie del clade fratello; dunque l’età minima per la divergenza sarebbe superiore a 1,75 milioni di anni fa.
Finora le uniche evidenze di questa specie sono quelle di Liang Bua, datate circa 86.000 anni fa; e probabilmente Mata Menge, datata 700.000 anni fa. La maggior parte dei fossili di ominini del Pleistocene inferiore provengono dal continente africano; gli autori ritengono dunque che anche il lignaggio di Homo floresiensis abbia avuto origine in Africa, da cui sarebbe migrato almeno una volta nel periodo che va dal Pleistocene inferiore a circa 700.000 anni fa.
La mancata concordanza nelle diverse ricerche che si sono finora occupate di Homo floresiensis potrebbe essere dovuta alla differenza nei reperti utilizzati, ma anche ad altri fattori, come gli ipodigmi (complessi di fossili attribuiti a una specie) adottati nei rispettivi studi. Questo è dovuto al fatto che non è ancora concluso il dibattito circa i confini delle specie negli ominini. Gli autori ritengono quindi che future ricerche filogenetiche dovrebbero innanzitutto basarsi su ipodigmi condivisi, eventualmente dividendo i taxa che sono oggetto di controversie in gruppi più piccoli universalmente accettati.
Riferimenti
Debbie Argue, Colin P. Groves, Michael S.Y. Lee, William L. Jungers. The affinities of Homo floresiensis based on phylogenetic analyses of cranial, dental, and postcranial characters. Journal of Human Evolution, April 2017 DOI: 10.1016/j.jhevol.2017.02.006
Immagine: By Ryan Somma (originally posted to Flickr as Flores) [CC BY-SA 2.0], via Wikimedia Commons
Lista articoli di Pikaia su Homo floresiensis del 2016
Homo floresiensis: ritrovati resti di un probabile antenato datati 700.000 anni fa (13/6/2016)
Gli hobbit hanno davvero convissuto con noi? (04/05/2016)
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