Archeologia dei primati: uso di strumenti in pietra da parte dei macachi in Tailandia
Sono stati effettuati i primi scavi archeologici per ottenere ed esaminare reperti di strumenti utilizzati da un’altra specie di primati del Vecchio Mondo
L’evoluzione del comportamento umano nella preistoria e nella storia è documentata da oltre 3 milioni di anni di evidenze derivate da scavi archeologici, ma manca una controparte consistente di indagini archeologiche a supporto degli studi sul comportamento di altri primati che ci permetta di trarre conclusioni sull’evoluzione della loro capacità tecnologica (ossia di produrre strumenti).
Per questo motivo, un gruppo di archeologi e primatologi provenienti dalle Università di Oxford, Bangkok e Singapore ha deciso di effettuare degli scavi nei sedimenti sabbiosi di un’area situata sulla costa orientale dell’isola di Piak Nam Yai, in Tailandia, dove vivono due gruppi di macachi della sottospecie Macaca fascicularis aurea (macaco cinomolgo dalla coda lunga). In questa zona, le maree depositano quotidianamente vari crostacei sulla costa e i macachi fanno uso di pietre selezionate per rompere i gusci di ostriche e lumache di mare su una superficie usata come incudine. Questo comportamento, già osservato negli scimpanzé, è piuttosto raro nei macachi ed è stato spiegato notando che nell’isola le piante e i loro frutti sono fortemente sensibili ai fenomeni stagionali, e questo può aver spinto le scimmie a cercare una fonte di cibo più stabile.
Il sito è stato scelto per due motivi: l’assenza di attività umana nota in grado di produrre strumenti e la presenza di un grosso macigno in basalto, sul cui lato inferiore si trovano una gran quantità di ostriche; questo ha fatto ritenere probabile che i macachi potessero lasciare gli strumenti lì dopo averli usati. Gli scavi, effettuati a mano con palette, sono stati limitati nella loro ampiezza (tre aree adiacenti da 0,25 metri quadri ciascuna) e profondità (60 cm) dalle tempistiche dell’alta marea che inondava la zona due volte al giorno.
Di tutti i reperti in pietra recuperati, sono stati considerati strumenti solo quelli che riportavano tracce e danni specificamente riconducibili all’uso ripetuto (come la presenza di piccole spaccature alle estremità o concavità nella parte centrale formate dall’azione di colpi ripetuti) per aprire ostriche attaccate ad uno scoglio oppure altri molluschi gasteropodi usando un masso come incudine.
I risultati di questa indagine sono stati pubblicati in un articolo pubblicato recentemente sul Journal of Human Evolution. Da oltre 200 reperti sono stati chiaramente identificati 10 strumenti in pietra. Tramite radioisotopi del carbonio, è stato possibile datare i resti delle conchiglie di ostrica trovati negli stessi strati sedimentari delle pietre; i risultati indicano che la loro età non supera i 65 anni, ed è quindi minore rispetto ad altre stime dell’epoca in cui i macachi hanno cominciato a usare strumenti (circa 120 anni fa). Questo non esclude l’esistenza di strumenti più antichi; è possibile che questi non siano stati trovati per i limiti inerenti alla ricerca o perché trasportati al largo dalle maree.
Si tratta comunque di un primo passo verso uno studio sistematico delle testimonianze ‘archeologiche’ sull’uso di strumenti da parte di scimmie eurasiatiche. Gli autori della ricerca sono convinti che valga la pena effettuare ulteriori studi nella zona selezionata, e che ulteriori scavi siano necessari per costruire un insieme di evidenze sufficientemente solido da permettere un confronto tra l’evoluzione dell’uomo e degli altri primati. Tra gli altri motivi di interesse, si può tentare di verificare l’ipotesi sostenuta da alcuni secondo cui l’uso delle risorse presenti sulla costa possa aver spronato lo sviluppo della abilità tecnologiche negli antenati dell’uomo moderno.
Riferimenti:
Michael Haslam et al. Archaeological excavation of wild macaque stone tools. Journal of Human Evolution, doi: 10.1016/j.jhevol.2016.05.002
Immagine di By Haslam M. et al. (2013) “Use-Wear Patterns on Wild Macaque Stone Tools Reveal Their Behavioural History”. PLoS ONE 8(8): e72872. doi:10.1371/journal.pone.0072872, CC BY 2.5