Quegli amori «proibiti» di Neanderthal e Denisova
La nostra specie si sarebbe ibridata diverse volte con i Neanderthal e i Denisovani
Sappiamo con ragionevole certezza che tutte le popolazioni non africane possiedono circa un 4% del genoma di un’altra specie umana, i Neanderthal, e minuscoli ricordi del genoma di loro parenti abbastanza stretti, i Denisovani, che vivevano nei monti dell’Altai al confine tra Russia, Mongolia, Cina e Kazakistan. I nostri antenati si sono quindi incrociati con specie diverse dalla loro, e ora una ricerca appena pubblicata su Science ci aiuta a fare ulteriore luce su quegli amori “proibiti” di cui siamo figli.
Dall’Eurasia al Pacifico…
Migliaia di chilometri a sud-est e decine di migliaia di anni dopo quegli incontri, le popolazioni della Nuova Guinea e degli arcipelaghi vicini sono ben differenziate dalle altre che hanno colonizzato l’Oceania; esse infatti discendono probabilmente da pionieri sbarcati tra i 30.000 e i 50.000 anni fa e poi rimasti isolati per alcune migliaia di anni. Le centinaia di lingue e culture diverse che si sono sviluppate in questo spicchio di Pacifico, storicamente noto come Melanesia, sono da sempre una calamita per gli antropologi, e anche il loro DNA riserva parecchie sorprese. Qui troviamo per esempio i famosi melanesiani biondi: si tratta di un tratto evolutosi in Oceania indipendentemente dalle popolazioni europee, dove coinvolge altri geni.
Ma soprattutto, è in queste popolazioni che possiamo trovare le tracce più evidenti del DNA dell’uomo di Denisova. Purtroppo, però, i fossili di antiche specie umane sono rarissimi ed è ancora più raro estrarne un genoma integro da confrontare con quello dei nostri contemporanei. Basti pensare che dei Denisova oggi ci rimangono un paio di molari trovati nell’omonima grotta in Siberia e solo “sacrificando” per l’analisi un minuscolo frammento di mignolo particolarmente ben conservato gli scienziati sono entrati in possesso del genoma completo di un individuo.
Una tecnica rivoluzionaria
Da due anni, però, esiste un metodo matematico – rientra nella biologia computazionale – che permette di identificare sequenze di DNA ereditate da ominini arcaici, senza doverle per forza confrontare con quelle della specie estinta. La condizione sine qua non è disporre del genoma “ad alta definizione” di parecchi individui odierni. Il lavoro uscito sulla rivista Science, guidato dai genetisti dell’Università di Washington a Seattle Benjamin Vernot e Joshua M. Akey, assieme a Svante Pääbo dell’Istituto Max Planck di Lipsia, è quindi cominciato con il sequenziamento genomico di ben 35 abitanti delle Isole Bismarck, un arcipelago della Papua Nuova Guinea. Prima i ricercatori hanno identificato con il metodo della biologia computazionale tutte le sequenze arcaiche; poi hanno usato le sequenze disponibili di Neanderthal e di Denisova per distinguerne i rispettivi contributi, riuscendo così per la prima volta a “puntare il dito” su quello che rimaneva di questi nostri antichi cugini del nord in queste remote isole tropicali.
Questi nuovissimi dati sul genoma dei Melanesiani sono poi stati esaminati assieme a quelli dei 1300 genomi disponibili grazie al 1000 Genome Project, che tra il 2008 e il 2015 ha compilato il più ampio catalogo della variabilità genetica umana esistente. Dal confronto coi genomi di altre popolazioni in Eurasia, secondo i ricercatori si possono dedurre almeno tre eventi distinti di ibridazione con i Neanderthal: uno in Asia Orientale, uno in Europa, e uno in Asia Meridionale, mentre le popolazioni della Melanesia si confermano quelle in cui è più evidente anche l’eredità dei Denisovani.
Altre specie arcaiche all’orizzonte?
I ricercatori hanno anche cercato di capire perché alcune regioni del nostro genoma conservano sequenze neandertaliane, mentre altre regioni ne sono totalmente prive. Come già proposto da altri autori, è probabile che le sequenze identificate garantiscano un vantaggio adattativo, e in effetti anche questo studio associa alcune di esse a geni coinvolti nel metabolismo e nelle risposte immunitarie. Al contrario, tra i “deserti neandertaliani”, come sono in genere chiamate le regioni povere di tracce arcaiche, i ricercatori hanno trovato estese regioni genomiche implicate nello sviluppo cerebrale e del linguaggio. La selezione naturale ha probabilmente “ripulito” regioni come questa da sequenze neanderthaliane non vantaggiose, anche se non si esclude il contributo di meccanismi non selettivi come i riarrangiamenti cromosomici.
Nello studio è stata coinvolta Serena Tucci, dottoranda in genetica dell’Università di Ferrara. Secondo Tucci, che ha partecipato alle analisi con l’innovativa tecnica, «grazie a questo metodo, cosiddetto “fossil free”, potrebbe essere possibile identificare regioni del genoma che abbiamo ereditato da specie arcaiche ancora sconosciute». I fossili che contengono DNA antico sono davvero rari, specialmente in alcune regioni geografiche, quindi «le potenzialità sono davvero stupefacenti». E al di fuori del campo dell’antropologia, nulla vieta di usarlo per ricostruire la storia evolutiva delle piante e di altri animali.
Stefano Dalla Casa, da Zanichelli Aula di Scienze
Immagine in apertura: By User:Kahuroa [Public domain], via Wikimedia Commons
Immagine box: Neanderthal Museum/H. Neumann