Antropizzazione e Blue Economy: la vulnerabilità del Golfo di Trieste

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Grazie a uno studio condotto dall’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale, un gruppo di ricercatori ricorda quanto sia importante salvaguardare i nostri mari e trovare nuove strategie di controllo e protezione dei nostri ecosistemi.

Se le pressioni antropiche degli ultimi decenni hanno modificato e altamente compromesso numerosi habitat terrestri, gli effetti delle attività umane marittime (il traffico portuale, il turismo e la pesca ne sono solo alcuni esempi) non hanno risparmiato le coste, i mari e gli oceani. Il loro sfruttamento ha infatti portato a impatti negativi su quasi l’87% di questi ambienti. Il Mar Mediterraneo, in particolare, è una delle aree più vulnerabili agli impatti disastrosi che possono essere causati dalla forte antropizzazione ambientale.

Per quantificare i gradi di disturbo e la loro distribuzione nello spazio e nel tempo, è necessario partire da studi di fisiografia, di batimetria, di oceanografia e di biologia delle aree marittime in esame, integrandoli successivamente con ricerche specifiche in ambito ecologico. A supporto procedurale di possibili interventi marini, sono in vigore attualmente due direttive europee di fondamentale importanza: la prima è la Marine Strategy Framework Directive (2008/56/EC), o MSFD, il cui scopo è stabilire un quadro d’azione per la politica marina, mentre la seconda è la Maritime Spatial Planning Directive (2014/89/UE), o MSPD, il cui scopo è la pianificazione dello spazio marittimo (MSP – Marine Spatial Planning). È essenziale, e quasi imprescindibile, anche trovare e applicare una strategia che permetta di <strong”>minimizzare gli impatti sull’ambiente e, allo stesso tempo, che mantenga i benefici derivanti dall’economia dei mari. Una recente ricerca pubblicata su People and Nature dai ricercatori dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale si è focalizzata su una regione dell’Adriatico settentrionale, in particolare sull’area geografica del Golfo di Trieste. Qui sono già stati riscontrati e valutati non solo i rischi di vulnerabilità ambientale ma anche gli impatti umani che compromettono l’integrità di una regione fortemente antropizzata. Lo scopo principale dello studio è stato quello di analizzare le numerose pressioni presenti, studiarne gli indicatori ambientali per esaminare la salute degli habitat marini e costieri e, infine, identificare quali siano le zone su cui andare ad agire, il tutto partendo dalla costruzione di due mappe indicative dei vari dati raccolti.

La grande variabilità dei dati del Golfo di Trieste

Per supportare le attività marine, gli sviluppi costieri e un uso delle risorse marittime sostenibile attraverso l’applicazione di un approccio ecosistemico, dal 2013 al 2015, è stato condotto il progetto ADRIPLAN (ADRiatic Ionian Maritime spatial PLANning) con lo scopo di implementare l’MSP, ovvero un’essenziale e riassuntiva categorizzazione delle attività antropiche nella regione adriatica. I dati del progetto sono una delle fonti principali di conoscenze usate dai ricercatori dell’OGS per questo lavoro e rappresentano un grande supporto organizzativo per lo studio.

Una delle aree esaminate dal progetto ADRIPLAN si trovava appunto
nella parte orientale dell’Adriatico settentrionale, ovvero il Golfo di Trieste, un bacino semichiuso di circa 500 km2 fortemente influenzato da interventi antropici ma caratterizzato anche da numerose aree di interesse ecosistemico e da una biodiversità unica ed eterogenea. Quasi il 60% della costa Adriatica tra Muggia e Lignano è sfruttata per il turismo balneare, il 30% per i principali usi industriali e il 10% per lallevamento di molluschi (Mytilus galloprovincialis e Tapes philippinarum). I dati ambientali raccolti riguardano le aree protette (Natura2000, Ramsar Sites, Regional Natural Reserves: Stella Mouths e Miramare Marine Protected Area) e le rilevazioni biochimiche per la qualità dei corpi idrici, le quali fanno riferimento sia alle percentuali di inquinanti ambientali (indicative di elementi chimici definiti “prioritari”) che a indici quali concentrazione di ossigeno, grado di salinità e temperatura delle acque. Oltre a questi parametri, sono stati poi quantificati e integrati i disturbi recati dall’uomo, disponibili grazie a diversi database in open access di diverse istituzioni: l’Infrastruttura Regionale Dei Dati Ambientali E Territoriali del Friuli Venezia Giulia (IRDAT FVG), l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente del Friuli Venezia Giulia (ARPA FVG), il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM) e OpenStreetMap. In particolare, per implementare l’MSP, è stato anche sfruttato l’European Marine Observation and Data Network (EMOD net), uno speciale dataset supportato dall’UE che rende disponibile una “banca” delle conoscenze marine. Per integrare i dati è stato usato il Geographic Information System (GIS), affiancato da un sistema decisionale basato su una analisi multicriteriale (MCDA). Si è arrivati così alla costruzione di due mappe, entrambe rappresentative dei diversi fattori agenti sul Golfo di Trieste: una specifica per la vulnerabilità dei fondali marini e l’altra specifica per la vulnerabilità dell’ambiente marino.

Le mappe di vulnerabilità

Per quanto riguarda il grado di vulnerabilità dei fondali, modificati soprattutto dalla pesca dei molluschi tramite draghe e turbo soffiatori, dagli ancoraggi delle imbarcazioni, dai canali di accesso ai porti e dalle condutture subacquee, le aree meno a rischio sono molto circoscritte. Si collocano nella parte più occidentale della laguna di Grado e Marano e nella parte nordorientale del Golfo (davanti a Monfalcone), entrambe zone in cui i livelli di protezione e conservazione sono già alti. In mare aperto, invece, vicino a Trieste e a sud della costa di Grado e Lignano, si trovano le aree in cui il fondale marino è più vulnerabile e danneggiato dalle attività antropiche.
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Mappa di vulnerabilità dei fondali marini. Immagine: dalla pubblicazione.

Prendendo invece in considerazione la mappa di vulnerabilità dell’ambiente marino nella sua totalità, le regioni di spazio con meno criticità sono limitate a due piccole aree della laguna di Marano e Grado, alla foce del fiume Isonzo e alla costa nordorientale. Alte percentuali di disturbi si riscontrano invece nella zona vicino Trieste e Muggia, aree dove sono presenti numerosi porti, piccole metropoli, industrie e alto traffico marittimo.
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Mappa di vulnerabilità dell’ambiente marino. Immagine: dalla pubblicazione.

La necessità di discutere i dati ottenuti

La ricerca ha evidenziato aree con differenti gradi di vulnerabilità ambientale a causa dell’ingombrante presenza dell’uomo. Entrambe le mappe mostrano che gli effetti antropici sul bacino Adriatico sono molto evidenti e coprono anche areali molto ampi, sia per i fondali, che per l’ambiente marino nella sua totalità. Le aree meno disturbate sono, invece, decisamente più limitate e spesso coincidono con le aree in cui sono già attive campagne di protezione ambientale e di salvaguardia della biodiversità. In generale, inoltre, lo studio ha stabilito che le fonti principali dei disturbi umani su questi ambienti derivano soprattutto dalle industrie e dalle attività portuali. Per quanto riguarda invece i rischi relativi solamente ai fondali marini, sembrerebbero essere gli ancoraggi delle imbarcazioni, lo scarico dei fanghi di dragaggio e soprattutto la pesca dei molluschi i fattori principalmente coinvolti nella modifica degli ecosistemi. Tenendo presente che solo lo 0,03% del mar Mediterraneo è sotto integrale protezione e che l’Italia protegge, su differenti livelli, circa il 19% delle sue acque territoriali, aver stabilito che le aree a minor rischio coincidono con quelle dove la protezione e la conservazione dell’ambiente è garantita, dovrebbe far riflettere sulle prossime mosse da intraprendere. Mettere in atto pratiche di salvaguardia garantisce quindi che i nostri mari siano sani, produttivi da un punto di vista economico e soprattutto poco vulnerabili agli stress che influenzano ormai la maggior del globo. Le due mappe qui descritte sono, in conclusione, il punto di partenza di un nuovo, innovativo e ambientale piano organizzativo per sostenere la crescita dei nostri mari, bilanciando il contributo umano con quello derivante dalle attività naturali. Come ricorda la stessa Martina Busetti, uno degli autori della ricerca,
“una corretta pianificazione dello spazio marittimo è, quindi, indispensabile per lo sviluppo di un’economia blu sostenibile”
La così detta “blue growth” promossa dall’UE (United Nations Sustainable Development Goals) si basa proprio sull’equilibrio tra uomo e natura e non su uno sfruttamento incontrollato delle risorse a nostra disposizione, che esse siano terrestri o marine.
Riferimenti: Pagano, M., Fernetti, M., Busetti, M., Ghribi, M., & Camerlenghi, A. (2023). Multicriteria GIS-based analysis for the evaluation of the vulnerability of the marine environment in the Gulf of Trieste (north-eastern Adriatic Sea) for sustainable blue economy and maritime spatial planning. People and Nature, 00, 1–20. https://doi.org/10.1002/pan3.10537 Immagine in apertura: dalla rassegna stampa.