Buona parte delle attuali specie minacciate non avrà testimonianze fossili

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Molte specie minacciate non lasciano tracce fossili del loro passaggio sulla terra; questa è un’ulteriore causa che comporta una sottostima del livello di perdita di biodiversità durante le grandi estinzioni di massa

L’uomo sta portando una buona parte delle specie all’estinzione ad un tasso superiore di quello naturale (si stima che, per i soli vertebrati, sia cento volte maggiore dell’atteso, nell’ultimo secolo). L’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN, International Union for Conservation of Nature) mostra delle percentuali agghiaccianti riguardanti le specie minacciate (mammiferi: 26%; uccelli: 13%; squali e razze: 31%; camaleonti: 39%; coralli di barriera: 33%; conifere: 34%). Nel 2015, le specie a rischio tra quelle censite erano quasi 25000. È ormai evidente che l’uomo ha innescato il processo di quella che viene chiamata sesta estinzione di massa. 

Sulla Terra, infatti, si sono susseguite cinque grandi estinzioni (le cosiddette “Big Five”). La prima tra l’Ordoviciano e il Siluriano (450 milioni di anni fa) spazzò via l’85% delle specie a causa di forti glaciazioni. La seconda risale alla fine del Devoniano (377 milioni di anni fa), durante la quale scomparve più del 70% delle specie (le cause non sono chiare; forse un raffreddamento globale o l’impatto di un asteroide). La terza, tra il Permiano e il Triassico (251 milioni di anni fa), è la madre di tutte le grandi estinzioni perché si estinsero il 96% delle specie marine e il 70% di quelle  terrestri (ipotizzate diverse cause come il vulcanismo o l’impatto di un asteroide). La quarta tra il Triassico e Giurassico (203 milioni di anni fa) eliminò il 76% delle specie (ci fu un forte innalzamento della temperatura). In seguito alla quinta tra il Cretaceo e Cenozoico (66 milioni di anni fa), forse la più conosciuta di tutte, scomparve il 76% delle specie, a causa dell’impatto di un asteroide. Indipendentemente dal fattore scatenante (p.es. glaciazioni, vulcanismo, impatto di asteroidi), tutte quante hanno una caratteristica comune, ovvero il cambiamento climatico e/o ambientale e questa sesta estinzione non fa eccezione.

L’uomo distrugge molti degli habitat naturali, direttamente o indirettamente, minacciando, così, lo stato della maggior parte degli esseri viventi. Essi, infatti, non riuscendo ad adattarsi così velocemente ai cambiamenti ambientali, periscono e questo comporta conseguenze enormi sulla stabilità degli ecosistemi. Tuttavia, è difficile dire quanto l’attuale estinzione sia più imponente rispetto alle cinque del passato, dato che per la prima ci si basa, principalmente, sui valori di perdita di biodiversità che stanno avvenendo in tempo reale, mentre per le altre ci dobbiamo affidare al record fossile, che spesso risulta lacunoso, frammentato o, addirittura, assente.

Uno studio pubblicato su Ecology Letters ha voluto provare ad analizzare la portata di questa sesta estinzione, partendo proprio dai ritrovamenti fossili dei soli mammiferi moderni, sia minacciati (“estinta”, EX, “estinta in natura”, EW, “in pericolo critico”, CR, e “in pericolo”, EN) che non minacciati (“vulnerabile”, VU, “quasi minacciata”, NT, e “di minor preoccupazione”, LC). Il campione contava 5515 specie, per un totale di 1250 generi, le quali sono state suddivise in quattro diverse categorie a seconda dello stato di conservazione e della presenza di eventuale record fossile (specie minacciate con record fossile, specie minacciate senza record fossile, specie non minacciate con record fossile, specie non minacciate senza record fossile). Successivamente, per ciascun mammifero, sono state stimate la dimensione corporea, la distribuzione spaziale e la densità, perché, si pensa, possano influenzare la probabilità di una specie di lasciare tracce fossili. Combinando le informazioni ecologiche con quelle paleontologiche, è emerso che solo il 9% delle specie minacciate (EX, EW, CR, EN) e il 20% delle specie non minacciate (VU, NT, LC) presentano campioni fossilizzati. Ad esempio, del 38.6% delle specie dell’ordine Cetartiodactyla (p.es. ruminanti e cetacei) identificate nel record fossile, solo il 18% è rappresentato da specie minacciate. Oppure, solo il 3.3% di uccelli e l’1.6% di rettili minacciati godono di testimonianze fossili. Al contrario, le specie più comuni sono anche quelle che si ritrovano maggiormente nel record fossile.

Generalizzando questa attuale situazione al passato,  tali risultati hanno suggerito che i nostri valori sulle grandi estinzioni potrebbero essere addirittura delle sottostime, a maggior ragione, se si pensa al fatto che il processo di fossilizzazione è già, di per sé, un evento improbabile (bisogna che si verifichino precise condizioni biologiche ed ambientali). Infine, gli autori hanno suggerito che specie di grandi dimensioni e ampiamente distribuite tendono ad avere una maggior rappresentanza fossile di quelle dalle dimensioni più ridotte e dall’areale ristretto, indipendentemente dalla loro densità.

Concludendo, comparare le grandi estinzioni del passato è un compito arduo, se si pensa che buona parte delle specie minacciate non lascerà alcuna traccia fossile. Inoltre, essendo il ritrovamento di fossili e il processo di fossilizzazione eventi rari, le stime sulla reale perdita di biodiversità non potranno che essere soggette ad ulteriori errori. L’uomo deve quanto prima raggiungere un equilibrio con il mondo naturale, non sentendosi più il padrone indiscusso, ma un elemento che fa parte di esso. È la prima volta, nella storia del nostro pianeta, che un’estinzione di massa viene portata avanti da una sola specie. Fortunatamente, l’uomo è un animale consapevole e questo ci lascia la speranza che la situazione possa cambiare.


Riferimenti:
Plotnick R.E., Smith F.A. et Lyons F.K. (2016). The fossil record of the sixth extinction. Ecology Letters, doi: 10.1111/ele.12589

Immagine da Wikimedia Commons