Cacciatori di specie

6126

Da diversi mesi seguo il lavoro del collega e amico Dario Sonetti che con un progetto dell’associazione Foreste per sempre sta realizzando una stazione biologica presso la riserva Doña Karen Mogensen in Costarica per studiare la biodiversità di questa incredibile nazione. Non ho quindi potuto non leggere “Cacciatori di specie: eroi e folli alla scoperta della natura” in cui Richard […]

Da diversi mesi seguo il lavoro del collega e amico Dario Sonetti che con un progetto dell’associazione Foreste per sempre sta realizzando una stazione biologica presso la riserva Doña Karen Mogensen in Costarica per studiare la biodiversità di questa incredibile nazione.

Non ho quindi potuto non leggere “Cacciatori di specie: eroi e folli alla scoperta della natura” in cui Richard Conniff racconta la vita e le spedizioni di molti viaggiatori che dalla fine del settecento alla fine dell’ottocento (tra cui anche Darwin e Wallace) hanno esplorato le terre più lontane permettendoci di conoscere e classificare migliaia di specie sparse per il pianeta perché “la natura è una bellissima e pudica donna celata sotto molti veli” che deve essere svelata, come ebbe a dire Constantine Rafinesque durante una conferenza alla Transylvania University di Lexington nel Kentucky.

Sebbene guidati da interessi diversi (gloria, guadagno, …) per tutti il viaggio non era certamente uno scherzo dato che la spedizione era accompagnata da “pessimo cibo, scorbuto, mal di mare, miasmi fetenti, ambienti stretti e affollati, umidità continua e la stretta compagnia di una congerie di parassiti”.

Oltre agli aspetti legati alle spedizioni e ai naturalisti (alcuni dei quali erano figure veramente insolite), ci sono almeno tre aspetti di grande interesse in questo libro ovvero la rilevanza scientifica di queste spedizioni, il rapporto tra gli scienziati da museo/laboratorio e i naturalisti da campo e infine la presenza di donne naturaliste.

Come sottolinea Conniff: “La grande epoca della scoperta biologica, l’epoca dei cercatori di specie, raggiunse così il suo apice negli ultimi trent’anni del XIX secolo, nazioni, musei, università, tutti organizzavano spedizioni investendo enormi cifre per sostenere gruppi di scienziati che conducessero campagne di ricerca per mesi o anni. Per amore della scienza o per la gloria di avere il proprio nome legato a una specie appena scoperta, uomini e donne dotati di ricchezze, sponsorizzavano spedizioni e a volte vi partecipavano. E ovunque sorgevano musei di storia naturale che ordinavano ed esibivano il bottino: in Germania ce n’erano 150 e 350 negli Stati Uniti”. 

Già a fine ottocento c’erano però persone che pensavano che con la cultura non si mangia, tanto che un insegnante americano contestò l’investimento di risorse per le spedizioni naturalistiche:  “mi dica che beneficio verrà dal vostro lavoro per questa e le future generazioni. E’ questo il problema con tutte le persone di scienza. La loro conoscenza non solo è priva di utilità (dato che non ha applicazioni), ma è dannosa e porta la mente all’astrazione e di fatto è una falsa conoscenza”.

Parallelamente all’enorme interesse suscitato dalla scoperta di nuove specie animali e vegetali, si faceva largo in occidente la scienza sperimentale. “La crescita della scienza sperimentale” scrive Conniff “faceva apparire il lavoro di raccolta di esemplari e di mappatura geografica delle specie alquanto antiquato e pittoresco. La gloria del naturalista da campo è morta, lamentava un tassonomista del 1892. Biologi e fisiologi sono gli eroi del momento e guardano dall’alto con infinito disprezzo allo sfortunato essere che ancora si accontenta di cercare specie”.

L’ottocento fu quindi un momento di scontro tra coloro che nei musei e nelle Università si ritenevano i veri “professionisti” della scienza rispetto a coloro che in modo amatoriale, o peggio ancora per guadagno, lavoravano sul campo. Lo stesso Wallace faticò a togliersi questa sorta di “marchio di infamia” che ne minava la credibilità scientifica. Questa rappresenta indubbiamente una pagina non felice nella storia delle scienze naturali, ma la cosa che non manca di colpirmi è che purtroppo un simile atteggiamento è spesso presente ancora oggi all’interno delle università (o perlomeno di alcune università) nei confronti di naturalisti da campo che (in realtà per sfortuna loro) non vivono di scienze naturali, ma facendo altro e dedicando alle scienze naturali tempo e energie.

Il terzo punto di interesse che emerge dalla lettura del libro di Conniff è  legato al contributo femminile alle scienze naturali. Da Mary Kingsley a Sylvia Earle, Brigit Sattler e Jane Goodall oggi è evidente l’importanza dal contributo femminile nella crescita delle nostre conoscenze del monda naturale. Non è però sempre stato così tanto che Conniff ci ricorda che “le donne con una inclinazione scientifica potevano magari aiutare i mariti nell’illustrazione dei loro libri o diventare anch’esse raccoglitrici e fornire esemplari ai mariti. In entrambi i casi in genere non veniva però riconosciuto il valore del loro lavoro”. I popolari libri del biologo marino Philip Henry Gosse e dell’ornitologo John Gould dovevano gran parte del loro successo alle illustrazioni delle consorti il cui contributo venne ovviamente omesso. Le scienze naturali erano una cosa da uomini e per molto tempo il riferimento agli organi sessuali era evitato anche quando si parlava di anatomia comparata per evitare di “turbare la fragile psiche delle presenti”. Fortunatamente questo aspetto è sempre meno presente nella comunità scientifica attuale sebbene non vi sia ancora un reale equilibrio nella presenza maschile e femminile all’interno della comunità scientifica.

Un ultimo punto di interesse molto attuale è legato al rapporto tra le scienze naturali e la medicina. Molto spesso oggi la ricerca medica tende a soffocare le scienze naturali come fossero un ricordo del passato, una scienza meno nobile e meno utile. Penso che sia quindi molto utile per riflettere leggere gli ultimi capitoli del libro di Conniff laddove ci viene ricordato che “il matrimonio fra storia naturale e ricerca medica ha portato a numerose scoperte culminate alla fine degli anni novanta dell’ottocento quando i ricercatori capirono il collegamento tra causa ed effetto per malattie quali la febbre gialla, la peste e la malaria, così come alcuni valenti naturalisti (quale Edward Jenner) applicando un metodo di puntuale osservazione e sperimentazione derivato da esperienze nelle scienze naturali ottennero ottimi risultati in ambito medico. Forse non molti sanno o ricordano che Jenner iniziò il proprio lavoro come etologo da campo tanto che fu il primo a riferire che i piccoli del cuculo eliminano i legittimi avversari spingendone le uova fuori dal nido. Questa idea fu considerata ridicola finché non ne venne data la prova fotografica 130 anni dopo a dimostrare come il metodo scientifico può fare grande tanto un naturalista quanto un medico.

Mauro Mandrioli