Cellule nelle cellule: l’immunità innata nella simbiosi tra anemoni di mare e alghe dinoflagellate

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Osservata la vomocitosi, un inusuale processo di espulsione del materiale fagocitato, nelle larve dell’anemone di mare Aiptasia. I dinoflagellati che si stabiliscono negli anemoni come simbionti riuscirebbero a sfuggire all’espulsione inibendo geni dell’immunità innata altamente conservati

Nella storia dei viventi i meccanismi dell’immunità innata sono comparsi molto presto, e sono cambiati di poco: cellule come i nostri macrofagi si comportano ancora non troppo diversamente dalle amebe, fagocitando materiale riconosciuto come estraneo. La fagocitosi è uno dei metodi con cui l’immunità innata fa da prima linea di difesa, immediata e non specifica, per il nostro organismo; in effetti, ha questo ruolo negli organismi pluricellulari in generale. Geni omologhi dell’immunità innata si possono trovare nell’uomo come nelle mosche della frutta, nei nematodi e persino nelle piante.

Ecco perché possiamo studiare questi meccanismi in organismi tanto diversi da noi. È quanto hanno fatto Annika Guse, biologa specializzata nello studio dell’endosimbiosi, e colleghi dell’Università di Heidelberg. Lo studio, pubblicato su Nature Microbiology, ha indagato come i dinoflagellati, un gruppo di protisti fotosintetici, prendono residenza come simbionti nelle cellule di Exaiptasia diaphana, un anemone di mare comunemente detto Aiptasia. Per farlo, i dinoflagellati devono eludere l’immunità innata di Aiptasia, che tende a “mostrare loro la porta” con un processo di espulsione detto vomocitosi.

Alghe unicellulari e cnidari: una relazione intima

Partiamo dai più piccoli tra i protagonisti dello studio, i dinoflagellati. Sono organismi unicellulari acquatici, che possiedono due filamenti mobili, i flagelli appunto, diversi tra loro. Possiamo trovarli nel fitoplancton e vengono considerati alghe, sebbene non siano né piante né animali; vero è che molte specie sono capaci di fare la fotosintesi. Alcuni dinoflagellati si sono adattati a vivere nelle cellule animali come simbionti, a volte portando vantaggi e a volte in modo parassitario. In questo sono simili agli apicomplexi, un gruppo filogeneticamente vicino di parassiti che comprende gli agenti di toxoplasmosi e malaria; Guse e colleghi sottolineano infatti come lo studio dei dinoflagellati potrebbe aiutarci nella lotta ai loro parenti più pericolosi.

Gli anemoni di mare, invece, somigliano a strane piante che danno colore al fondo marino, ma sono a tutti gli effetti animali. Fanno parte del phylum degli cnidari, insieme a meduse e coralli; sono formati, generalmente, da un corpo cilindrico, un piede adesivo e una bocca coronata da tentacoli. Sono carnivori, ma alcune specie formano simbiosi mutualmente vantaggiose con dinoflagellati fotosintetici: l’anemone offre protezione alle microalghe, e in cambio gode dei prodotti della loro fotosintesi.

I complessi ecosistemi delle barriere coralline dipendono da relazioni analoghe tra coralli e dinoflagellati del genere Symbiodinium. Lo sbiancamento dei coralli, che mette in pericolo le barriere, avviene perché i coralli espellono i dinoflagellati quando sono sottoposti a eccessivo riscaldamento dell’acqua o altri stress. Così perdono il colore e, soprattutto, una fonte di sostentamento. Aiptasia è un importante modello per studiare questo fenomeno, usato regolarmente negli studi di Guse e colleghi: la natura della sua simbiosi è la stessa, ma Aiptasia è molto più facile da studiare rispetto ai coralli, che vivono in colonie e creano strutture splendide, ma piuttosto ingombranti.

Vomocitosi e come sfuggirle

Le larve di Aiptasia appena nate non hanno ospiti dinoflagellati, devono acquisirli. Il vantaggio è che sono trasparenti, quindi Guse e colleghi hanno seguito l’intero processo al microscopio. Così, hanno visto che le cellule di anemone fagocitavano indiscriminatamente microalghe di diversi generi, come pure biglie microscopiche di polistirene. Una volta internalizzate però le microalghe non venivano digerite, come spesso accade dopo la fagocitosi: erano espulse intatte, spesso per essere nuovamente fagocitate.

I ricercatori si sono accorti che le cellule di Aiptasia non usavano i meccanismi consueti dell’esocitosi (un processo con cui le cellule espellono del materiale contenuto in vescicole), ma piuttosto la vomocitosi, un processo dal risultato analogo che interessa diverse vie molecolari. La vomocitosi è stata osservata in organismi mono e pluricellulari soprattutto in risposta a infezioni fungine: alcuni funghi sembrano indurla come metodo per sfuggire alla digestione nei fagociti e disseminarsi indisturbati nell’ospite.

L’obiettivo dei dinoflagellati simbionti, però, è quello opposto: devono rimanere nelle cellule, e quindi inibire la vomocitosi attuata normalmente negli Aiptasia. Secondo Guse e colleghi, lo farebbero agendo sull’espressione di geni nella via molecolare dei recettori Toll-like (TLR). I TLR sono un classico esempio di recettori che riconoscono le strutture molecolari conservate in microorganismi patogeni; appartengono a quelle vie dell’immunità innata altamente conservate, e sono presenti anche nell’uomo. È da notare che queste vie sono importanti nella risposta immunitaria ai parassiti apicomplexi che causano toxoplasmosi e malaria.

Il ruolo della vomocitosi negli cnidari adulti e nello sbiancamento dei coralli non si può ancora stabilire con certezza. Tuttavia, Guse e colleghi vedono nella vomocitosi un meccanismo di difesa evolutivamente antico, che forse è usato negli cnidari proprio per consentire ai dinoflagellati di stabilire la simbiosi. Comprenderla potrebbe mostrare il percorso che ha portato alcuni protozoi, benefici o patogeni che siano, a vivere all’interno di cellule animali.

Riferimenti:
Jacobovitz, M.R., Rupp, S., Voss, P.A. et al. Dinoflagellate symbionts escape vomocytosis by host cell immune suppression. Nat Microbiol (2021). 

Immagine:
Michelleraponi via Pixabay